DAVE
Era furioso, Susan gli aveva fatto vedere la piccola croce di legno con inciso un rametto d’ulivo che portava al collo. Gli spiegò che il loro Ted, dall’aldilà, attraverso Maggie la cartomante, le aveva detto di tenerlo sempre con sé per protezione.
«Oh Susan! Non capisci che è tutto un imbroglio?»
«Non dire così Dave, tu stesso hai parlato con Ted l’altro giorno da Maggie».
«Ti dico che è un imbroglio Susan, non mi credi? Ebbene te lo dimostrerò al più presto».
Quella stessa notte Dave si recò, come alcune notti prima, presso la casa di Maggie. Per fortuna questa volta non pioveva. Spense le luci e scese dalla macchina, attraversò di corsa il giardino fino alla porta d’entrata, estrasse alcuni piccoli attrezzi per forzare la serratura. Con sorpresa la porta si aprì senza sforzo. “Che fortuna – pensò Dave sogghignando – ha dimenticato di chiudere a chiave”. Entrò con cautela nell’atrio, accese la torcia e cominciò ad aprire le porte lungo il corridoio. Doveva assolutamente trovare la prova che quella vecchia fosse un’imbrogliona, doveva farlo per Susan. Rivide la stanza dove avevano “comunicato” col figlio Ted, entrò e cominciò a guardarsi intorno. Stava quasi per rinunciare quando vide il piccolo cassetto del tavolo in mezzo alla stanza. Lo aprì e per poco non si mise a gridare dalla gioia. Era pieno di piccole croci di legno, identiche a quella di Susan. Dave ne raccolse una manciata e le mise in tasca. Richiuse il cassetto e tutte le porte che aveva aperto prima quindi uscì dalla casa chiudendo piano la porta d’entrata. Rientrato in macchina però, si rese conto che qualcosa non quadrava: la porta già aperta, quella strana sensazione che la casa fosse disabitata, fu quasi tentato di ritornarvi per controllare il piano superiore ma cambiò subito idea, mise in moto e tornò a casa. La moglie dormiva, la svegliò, non poteva aspettare oltre.
«Susan, Susan, svegliati».
«Cosa c’è Dave, stai male?»
«No anzi, sto benissimo, sono andato a casa di Maggie e…»
«Cosa? Quando… stanotte?»
«Sì sono appena tornato, guarda cosa ho trovato, avevo ragione io, quella donna è un’imbrogliona, una ciarlatana!»
Le mostrò le piccole croci, alcune erano già incise, Susan le guardò e subito gli occhi le si riempirono di lacrime, guardò il marito un istante poi si lasciò andare a un pianto sconsolato. Aveva creduto alla medium, aveva bisogno di credere, invece suo figlio Ted non le aveva mai parlato, era tutta una farsa, maledetta donna! Meriterebbe di morire! Dave la guardava senza poter fare nulla, mentre in cuor suo meditava vendetta…
JOSH
Nella grande biblioteca in città, Josh chiese di poter visionare alcuni articoli. Attese che l’incaricato gli desse la password per accedere al web. Digitò la data dell’incidente e il nome di suo padre. Apparve l’articolo che lo riguardava sul quotidiano locale:
“Un tragico incidente è avvenuto ieri sera sul ponte che attraversa il fiume e porta in città. Adam Trevor, 50 anni, ha perso la vita precipitando con la sua auto nel prato sottostante. Nessun segno di frenata. L’uomo lascia la moglie e un figlio adolescente”.
Josh fu percorso da un brivido nel ricordare quei drammatici momenti, si fece coraggio e cercò ancora. Qualche giorno dopo il giornale forniva informazioni più dettagliate:
“La polizia ha avviato un’indagine sulla morte di Adam Trevor. Si deve appurare se sia stato un incidente oppure un suicidio. Sono stati interrogati i vicini dell’uomo, tutti concordi nel dire che Trevor era una persona gentile e tranquilla, non beveva, non dava segni di inquietudine, quindi escludevano a priori il suicidio. L’autopsia stabilirà se l’uomo abbia avuto un malore”.
Josh passò all’articolo seguente:
“Indagato un amico e socio in affari di Adam Trevor.
Jim Garret è stato interrogato a lungo dagli inquirenti a proposito della morte del suo socio. Nell’auto di Trevor è stato trovato un accendino con incise le iniziali J.G. L’uomo ha spiegato che lo aveva perso giorni prima, comunque non era strano che si trovasse nell’auto di Trevor, in quanto a volte si recavano insieme da alcuni clienti. Inoltre, la sera dell’incidente Garret era a casa con la moglie, che ha confermato l’alibi, e la figlia”.
Josh restò impietrito. Maggie aveva detto che quel Garret era un uomo falso, ricordava bene le sue parole: “Ci deve essere dell’altro, è un farabutto”. Lesse l’ultimo articolo, in realtà era solo un trafiletto che comunicava la chiusura del caso come incidente causato dall’alta velocità o da un colpo di sonno, in quanto Adam Trevor non aveva neppure tentato di frenare. Molto turbato, Josh uscì dalla biblioteca, aveva bisogno di fare chiarezza nella sua mente, un’infinità di dubbi e sospetti si accavallavano, doveva parlare con qualcuno. Il pensiero corse a Maggie, sì, avrebbe chiesto consiglio a lei. La donna lo accolse con la solita benevolenza, si accorse subito che era molto agitato:
«Cosa c’è Josh, è successo qualcosa?»
«Ho bisogno dei tuoi consigli Maggie, non so a chi rivolgermi».
«Dimmi caro, cosa ti turba?»
Le fece un riassunto degli articoli dei giornali che aveva appena letto.
«Cosa ne pensi Maggie? Mio padre non ha neppure frenato, l’accendino di Jim Garret trovato in macchina, il suo alibi confermato dalla moglie. Hanno concluso che è stata l’alta velocità la causa dell’incidente ma, se penso al fatto che Garret mi tiene alla larga da sua figlia, quindi non vuole avere a che fare con me, che era in affari con mio padre e che, come mi hai detto tu, i miei genitori frequentavano quelli di Eva… insomma Maggie mi scoppia la testa, non riesco a mettere in fila i pensieri».
«Alt! – disse Maggie interrompendo quel flusso disordinato di parole – facciamo il punto della situazione partendo dal principio:
Primo: le due famiglie si frequentavano in passato.
Secondo: dopo la nascita dei rispettivi figli, lentamente il loro rapporto si incrina, perché? Forse le due donne hanno litigato? Potresti chiedere chiarimenti a tua madre o alla moglie di Jim.
Terzo: i due uomini restano comunque soci in affari, quindi si frequentano ancora.
Quarto: tutto prosegue così per alcuni anni finché capita l’incidente a tuo padre.
Quinto: tu ed Eva Garret vi innamorate. A questo punto i genitori della ragazza e in particolare Jim, ti tengono alla larga. Portano rancore verso tua madre?
Sesto: tua madre non ti ha mai raccontato di averli conosciuti in passato. Dovresti chiederle il motivo.
Settimo ed ultimo punto: l’accendino di Jim Garret nell’auto di tuo padre, il suo alibi perfetto confermato dalla moglie (ovviamente). Cosa ti suggerisce tutto questo? Due più due deve fare per forza quattro figliolo. Ragiona su questi punti e trai le conclusioni».
«Oh Maggie! Sono più confuso di prima. Farò come dici, chiederò chiarimenti a mia madre, sperando che si senta meglio. Grazie Maggie, sei un’amica, ora vado all’ospedale dalla mamma».
Uscito Josh, Maggie stirò le labbra in quello che non era un sorriso ma un ghigno…
SAM
Quella sera Sam, finito il lavoro al bar, telefonò a Maggie:
«Devo parlarti subito, ci sono complicazioni».
«D’accordo vieni, ma sbrigati che ho sonno».
Arrivò dopo mezz’ora, Maggie lo fece salire al piano superiore:
«Allora cosa c’è di tanto urgente?»
«Maggie, sono preoccupato, la moglie di Albert Wilson ha un biglietto scritto dal marito prima di suicidarsi, dove le dice che io sono al corrente dei motivi del suo gesto.
«Hai parlato?»
«No! – mentì Sam – naturalmente no».
«Bravo, tieni la bocca cucita, altrimenti ti rovino, lo sai».
Sam pensò che era il momento giusto per liberarsi per sempre di quella donna. Accarezzò il coltello che aveva nella tasca della giacca, pronto ad usarlo, quando sentirono un rumore al piano di sotto.
«C’è qualcuno» disse Sam.
«Non hai messo il chiavistello?»
«No».
«Imbecille!»
Sam si affacciò con cautela alla balaustra, giusto in tempo per vedere la sagoma di un uomo uscire dalla porta. Non riuscì a capire chi fosse, l’ombra si dileguò in fretta oltre gli alberi.
«Accidenti! Se n’è andato, non l’ho riconosciuto».
«Sei un idiota! – sibilò Maggie – controlla la casa e vattene!»
Sam perse il coraggio di usare il coltello, scese di sotto e controllò le stanze, era tutto in ordine. Se ne andò pieno di rabbia. Maggie chiuse la porta ma non riuscì a dormire. Chi era entrato in casa? E soprattutto cosa cercava? Mai avrebbe immaginato che Dave Cordell aveva trovato le piccole croci di legno…
JOSH
Lasciata Maggie andò all’ospedale dalla madre, la trovò seduta sul letto, lo accolse con un sorriso.
«Ciao tesoro».
«Ciao mamma, hai un bell’aspetto».
«Sì caro, mi sento meglio, forse mi dimetteranno domani».
Il medico prese Josh in disparte:
«Dimetteremo sua madre domani o dopodomani, ma non si illuda, non c’è guarigione, le daremo una cura per tenerla tranquilla, ma è solo un palliativo».
Josh tornò da Liza cercando di non far notare la sua amarezza. Si scambiarono sorrisi e parole d’affetto, poi Josh si decise ad affrontare l’argomento che gli stava a cuore:
«Mamma, ti ricordi dei Garret? Jim e Sarah Garret?»
Liza lo guardò incuriosita:
«Sì, hanno una figlia, non so come si chiama».
«Si chiama Eva, quando li hai conosciuti?»
«Pochi anni fa mi pare, ma cosa c’entra?»
«Mamma cerca di ricordare, ho saputo casualmente che vi conoscevate ancora prima che noi nascessimo, poi avete smesso di frequentarvi. Come mai, avete litigato?»
L’espressione di Liza divenne cupa:
«Quella Sarah, che donna stupida! Voleva allontanarmi da tuo padre, era invidiosa del nostro bel rapporto d’amore».
«Davvero mamma? Lei voleva papà?»
«Già! Decidemmo di rompere l’amicizia, tu ed Eva eravate piccoli, non capivate».
«Hai fatto bene mamma, hai difeso il tuo matrimonio».
Liza guardava nel vuoto, lo sguardo si era un po’ appannato:
«Io amavo tuo padre».
«Sì mamma, lo so. Però mi risulta che papà e Jim Garret fossero soci in affari, loro hanno continuato a lavorare insieme. E’ così?»
«Ma chi ti racconta tutte queste cose?»
Josh abbassò la testa sentendosi un po’ in colpa:
«L’ho scoperto dai giornali mamma, in biblioteca. Volevo sapere tutto sulla morte di papà».
«Ha avuto un incidente, guidava troppo veloce».
«Lo so mamma, però c’era scritto che hanno trovato l’accendino di Jim Garret in macchina, che lui disse di averlo perso, che quella sera era in casa con moglie e figlia. Ora i Garret mi tengono lontano da Eva, Jim mi ha detto in faccia che non potrò mai darle una vita agiata, possibile che dopo tanto tempo serbino ancora rancore? Hai qualche spiegazione per questo?»
«Non è Jim, è Sarah che gli impone di dire certe cose. Non mi ha mai potuta soffrire e si vendica su di te. Per quanto riguarda l’incidente, il caso è chiuso, il povero Adam non tornerà certo in vita. Vai a casa tesoro, non crucciarti più, se non ti vogliono non ti meritano. Ora sono stanca».
«Sì mamma, vado. Cerca di riposare».
Liza guardò il figlio uscire dalla stanza, gli occhi pieni di lacrime, si lasciò andare sui cuscini in preda allo sconforto.
Rientrato a casa Josh mangiò qualcosa, poi andò nella camera da letto della madre per controllare che tutto fosse in ordine per il suo ritorno. Aprì il cassetto del comò, tirò fuori pigiama e biancheria pulita, stava per richiudere quando si accorse di un portagioie sul fondo del cassetto. Era chiuso con un piccolo lucchetto, Josh sorrise con tenerezza vedendo che la madre aveva dimenticato di togliere la chiave. Lo aprì e rimase stupito, credeva di trovare piccoli gioielli, ricordi di gioventù, invece c’erano solo alcuni biglietti di carta piegati più volte. Josh si vergognò come un ladro, non avrebbe dovuto guardare fra le cose personali della madre ma, la curiosità era troppo forte. Aprì il primo biglietto e iniziò a leggere “ma cos’è questa storia?” pensò incredulo. Un brutto presentimento gli strinse lo stomaco…
MAGGIE
Dalla sera in cui qualcuno entrò nella sua casa mentre discuteva con Sam il barista, Maggie viveva in uno stato di inquietudine, non tanto durante il giorno, in quanto c’era sempre qualcuno che chiedeva di lei per un giro di tarocchi o per evocare qualche spirito. Il problema era la notte, al buio per Maggie cominciava l’incubo. Appena riusciva ad addormentarsi, sentiva il rumore della porta che si apriva, lo scricchiolio dei gradini della scala quindi si risvegliava madida di sudore, si rannicchiava nel letto fissando terrorizzata la porta della camera, come se qualcuno dovesse entrare per ucciderla. Per questo aveva preso l’abitudine di bere una tisana e prendere un sonnifero, riuscendo così a concedersi qualche ora di sonno ristoratore. Quella sera però era peggio del solito, un’angoscia le pesava sul petto, si sentiva sola, oppressa, sporca dentro. Era in cucina, indecisa se preparare o no la tisana, scostà la tenda ma la richiuse subito, temeva di vedere i fari dell’auto come quella sera. Allora si sedette sulla poltroncina di fronte alla tv spenta, si strinse nello scialle e, subito i ricordi l’assalirono…
STORIA DI MAGGIE
Fu concepita una notte in cui suo padre tornò a casa ubriaco fradicio e costrinse la moglie ad un rapporto sessuale. Durante la gravidanza non risparmiò botte e insulti alla povera donna, non voleva un moccioso tra i piedi, diceva, un altro mangiapane a tradimento da mantenere. Quando la piccola nacque non andò neppure a vederla all’ospedale e quando madre e figlia tornarono a casa non trovò altro da dire se non “Non hai saputo neanche fare un maschio”. Crebbe così Maggie, testimone silenziosa e terrorizzata della violenza paterna. Quando, anni dopo, ripensava alla madre, la ricordava sempre in lacrime curva nel suo dolore. Nelle ore in cui il padre era fuori per lavoro o al bar ad ubriacarsi, la mamma la prendeva tra le braccia e la cullava, cantandole canzoncine e raccontandole favole. Poi “lui” tornava a casa e ricominciava l’inferno. Un bruttissimo giorno la madre cadde a terra priva di sensi. Un ictus, dissero i medici, tentarono di tutto per salvarla ma fu inutile,morì in pochi giorni. Fu l’inizio del calvario per Maggie, ormai grandicella. Una sera la porta della sua cameretta si aprì, la sagoma del padre, illuminata grottescamente dalla luce del corridoio,si stagliò nel vano dell’uscio. Era ubriaco, con passo traballante si avvicinò al letto e tirò via le coperte. La bimba tremava, credeva che volesse picchiarla ma era molto peggio ciò che avvenne in realtà. Abusò di lei, ignorando le sue grida disperate. Dopo quella volta ce ne furono altre… troppe. Durò alcuni anni quell’inferno, finché Maggie disse basta! Una sera si sdraiò nel letto tenendo fra le mani un grosso coltello da cucina, quando sentì la porta aprirsi si tenne pronta. Il padre si avvicinò al letto, mentre si abbassava verso di lei, Maggie raddrizzò il coltello infilzando l’uomo, che le si accasciò sopra esanime. A fatica riuscì a sfilarsi da quella massa inerme, il letto era sporco di sangue e anche la sua camicia da notte. Si cambiò completamente, intanto pensava febbrilmente a ciò che poteva raccontare alla polizia. Decise di farlo sembrare un suicidio, avvicinò la mano del padre al manico del coltello, chissà, potevano anche crederle. Andò a svegliare i vicini piangendo e gridando che il papà era morto. Tutti, polizia compresa, trovarono molto strano che si fosse ucciso in quel modo e per giunta sul letto della ragazzina ma, sapevano anche che era un ubriacone fuori di testa, tutto sommato la società non avrebbe perso un granché. Archiviarono il caso come suicidio.
Ma i problemi per Maggie non erano finiti. Trovò lavoro come cameriera presso la villa di un medico chirurgo, faceva le pulizie e gli serviva i pasti. Un giorno la ragazza ebbe un mancamento, per fortuna il dottore era ancora in casa, la fece sdraiare e la visitò.
Terminata la visita le confermò ciò che lui aveva già intuito: era incinta! Maggie sprofondò nella disperazione più totale:
«No! Non voglio il figlio di quel maiale» gridò con le mani nei capelli. Raccontò tutto al medico, il quale le disse di non preoccuparsi, ci avrebbe pensato lui.
«Non voglio andare all’ospedale».
«Niente paura Maggie, all’ospedale i bambini li faccio nascere, sistemerò tutto qui, in casa».
Fu doloroso, ma dopo Maggie si sentì davvero libera. Col tempo imparò ad assistere il medico durante gli aborti, non immaginava che fossero così numerosi, non provava nessuna compassione per quelle ragazze che rinunciavano al figlio perché non erano sposate, perché non volevano suscitare scandalo, oppure perché avevano tradito i loro mariti. Le disprezzava tutte, Il suo cuore si era indurito, non provava niente per nessuno, ne aveva passate troppe, odiava il mondo intero. Due anni dopo il destino la mise di nuovo alla prova: un uomo chiese di parlare col dottore, Maggie lo fece accomodare, per un lungo istante i loro occhi si incontrarono, la ragazza si sentì rimescolare dentro, non le era mai successo prima. Com’era bello! Era alto e ben messo, occhi neri, bocca sensuale, che uomo affascinante! Imbarazzata, si ritirò in cucina, ma non poteva fare a meno di pensare a lui. Mentre preparava la cena, il dottore entrò chiedendole di aggiungere un posto a tavola per il signor Henry Vince, l’uomo che aveva visto poc’anzi nello studio. Maggie si sentì avvampare dall’emozione, mise la massima cura nella preparazione dei cibi e, quando li servì a tavola, tenne sempre gli occhi bassi, evitando di incontrare quelli dell’ospite che, al contrario, li teneva fissi su di lei. “Ma cosa mi succede – pensava Maggie – mi sento così stupida!” Riuscì a captare alcune parole dai discorsi dei due uomini:
«Mi piace… pensi che potrei… è bella…»
«Non so… se vuoi…»
Parlavano di lei? Maggie moriva dalla curiosità. Fu presto accontentata, Henry la raggiunse in cucina per complimentarsi della cena squisita:
«Sei una cuoca eccezionale Maggie – disse – e sei anche molto carina, posso venire a trovarti qualche volta?»
Arrossendo come una collegiale la ragazza rispose di sì. Da quel giorno Henry le fece una corte serrata, ci sapeva fare con le donne, era evidente, uscirono insieme alcune sere, lui non la toccò nemmeno con un dito, fu lei a gettarsi nelle sue braccia travolta dalla passione. Non c’era più dubbio: era innamorata! Dopo pochi mesi lasciò la casa del dottore per andare a vivere con Henry. Fu un periodo breve ma intenso, di grande passione, mai Maggie era stata così felice, lui era pieno di premure e sembrava innamorato perso di lei. Un giorno le disse:
«Ti voglio presentare alcune mie amiche, ti piaceranno, vi farete compagnia».
Maggie non ne fu tanto entusiasta, non voleva altra compagnia che quella del suo uomo ma accettò per non dispiacergli. Entrarono in un appartamento molto elegante, li accolse una donna un po’ attempata ma ancora affascinante, era molto truccata e indossava abiti dai colori sgargianti.
«Henry caro, che piacere vederti».
«Come va Rose? State bene voi ragazze?»
«Sì certo, va tutto a meraviglia».
«Ti ho portato una nuova amica, si chiama Maggie, mi raccomando, trattamela bene, è speciale» disse Henry sorridendo. Maggie era frastornata, erano strane le parole di lui ed era strano anche l’appartamento, con luci soffuse, musica in sottofondo, tendaggi molto colorati, alle pareti erano appese fotografie di ragazze bellissime tutte nude. Henry le cinse le spalle e le diede un bacio in fronte:
«Arrivederci cara» disse, e se ne andò.
Maggie non riuscì a replicare, lo guardò andare via, sentendosi sempre più smarrita.
Rose si avvicinò alla ragazza, la squadrò da capo a piedi, le sfiorò il viso e le toccò i capelli.
«Sì, sei proprio una bella fanciulla, Henry sceglie sempre il meglio».
«Non capisco – disse Maggie – che significa?»
Rose sorrise bonaria:
«Mia cara, vieni, ti presento alle altre».
La condusse in una sala piuttosto grande, dove alcune ragazze stavano mollemente adagiate su dei divanetti color pastello, erano quasi tutte seminude. Maggie cominciò ad agitarsi:
«Che posto è questo? Dov’è Henry? Quando torna?»
«Tesoro – disse Rose – questa è la tua nuova famiglia, starai bene con noi, basta che segui alcune regole e tutto andrà per il meglio».
«Nemmeno per sogno! – gridò Maggie – Non voglio stare qui, chi siete, cosa fate, non mi piacete affatto! Io voglio stare con Henry!»
Rose uscì dalla sala, la chiuse a chiave, poi telefonò a Henry:
«La tua gallinella fa delle storie cosa facciamo?»
«Ci penso io».
Rose tornò nella stanza:
«Henry sta venendo qui, sei contenta?»
«Meno male, me ne andrò immediatamente!»
«Da quanto state insieme?»
«Tre mesi, ci amiamo, forse presto ci sposeremo».
Rose e le ragazze si guardarono e sorrisero beffarde. In quel momento arrivò Henry, si avvicinò a Maggie e disse senza sorridere:
«Cosa c’è che non va?»
«Henry amore, portami a casa ti prego, non mi piace questo posto, io voglio stare con te, non ho bisogno di amiche».
Per tutta risposta le arrivò un manrovescio che le fece sanguinare il naso.
«Tu fai quello che dico io! Resterai qui e ubbidirai a Rose in tutto e per tutto, chiaro?»
«Henry! Ma… che significa… Henry!»
Ma lui era già uscito, sbattendo la porta.
Le porte dell’inferno si spalancarono di nuovo per la povera Maggie. Fu spogliata, profumata, truccata e istruita ad avere rapporti sessuali con uomini libidinosi, grassi e sudati, che avevano però il portafogli gonfio. Un giorno Maggie disse a Rose che rimpiangeva di aver lasciato il dottore che l’aveva ospitata in casa sua. La donna la guardò con commiserazione:
«Tesoro mio, è proprio lui che procura le ragazze a Henry, col lavoro che fa gli è piuttosto facile. Quest’ultima cocente delusione le indurì il cuore definitivamente, l’odio prevalse su tutto, promise a se stessa che si sarebbe vendicata del male che aveva ricevuto, l’avrebbe fatta pagare cara a chiunque, uomo, donna o bambino, senza pietà per nessuno. Divenne una delle ragazze più ambite di quella casa d’appuntamento, da Rose imparò a leggere i tarocchi e a simulare una trance. Quella donna era un vero portento, sapeva convincere chiunque di aver davvero parlato con un morto. Non vide mai più Henry. Un giorno un uomo, suo assiduo cliente, le chiese di sposarlo, era vecchio, solo al mondo e molto danaroso. Maggie accettò, l’uomo pagò un forte “riscatto” per lei, la sposò e la portò nella sua grande villa. Morì in breve tempo sopraffatto dall’attività sessuale a cui Maggie lo costringeva, consapevole che non avrebbe retto a lungo. Un infarto lo stroncò nel bel mezzo di un amplesso. Molti, ironicamente, dissero che aveva fatto una bella morte. Maggie ereditò tutto, finalmente era libera e ricca.
Col tempo mise in pratica tutte le ‘arti’ che aveva appreso, prima dal medico e poi da Rose, un po’ mammana e un po’ medium, meravigliandosi di quanti fossero i superstiziosi e gli amanti dell’occulto.
Ora Maggie era per tutti “la vecchia strega”, “la vecchia usuraia”, sapeva che nessuno la amava, né lei amava qualcuno. Stretta nel suo scialletto, sentì aumentare la pressione sul petto, le braccia erano indolenzite, il respiro affannoso. Pensò che il bilancio della sua vita faceva proprio schifo, aveva creduto di vendicarsi per il male ricevuto in passato, ma aveva solo condannato se stessa a una vita di solitudine e fatto soffrire persone che non avevano nessuna colpa. Avrebbe voluto pregare, ma non credeva in nessun Dio. Tutto ad un tratto la porta si spalancò, un uomo si precipitò verso di lei brandendo un coltellaccio, lei lo riconobbe, urlò:
«SAM!!!» Restò così, immobile, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta nell’ultimo grido.
Sam, il barista, si bloccò col braccio alzato, Maggie non si muoveva, le prese il polso, nessuna pulsazione… Maggie era morta, portando con sé tutti i suoi dolori, tutti i suoi peccati. Sam ringraziò in cuor suo il destino che gli aveva dato una mano e gli aveva impedito di diventare un assassino. ”Brucia all’inferno strega maledetta!” disse fra sé, quindi, senza toccare nulla, uscì dalla casa. Fece una telefonata ad Ann Wilson:
«Maggie è morta, il diavolo se l’è presa, ha avuto un infarto credo».
Ann non potè evitare un sospiro di sollievo, aveva avuto quel che meritava.
«Che strano – disse il poliziotto al medico dell’ambulanza – la porta non è stata forzata, non ci sono impronte, la donna ha un’espressione terrorizzata, nessuna ferita, sembra quasi che abbia visto un fantasma e sia morta di spavento».