LA STANZA DEI GIOCHI

Nella stanza dei giochi avveniva il rito della roulette russa, col Capo che subito dopo consumava il sesso con la sopravvissuta.
Tanti specchi per riflettere lo spettacolo della paura.
Le ragazze non avevano scelta, dovevano sottomettersi al capriccio del proiettile o, altrimenti, non avrebbero avuto nemmeno quella chance.
Entravano nude nella stanza.
Al Capo piaceva vedere le goccioline della paura che inumidivano la riga tra i seni, ed infilare le sue dita tra le cosce della ragazza che si puntava la pistola alla tempia.
Il tocco della sua mano sarebbe stato l’ultimo contatto col mondo prima che la testa esplodesse in un lugubre carnevale di capelli e occhi e denti.
La vincitrice aveva poi l’obbligo di divertire il capo, e doveva farlo con convinzione ed arte, se non voleva tornare subito a sfidare il destino.

L’IMMORTALE

Una giovane slava, dalla faccia butterata, sempre coperta da una mascherina azzurra, e il corpo perfetto di  Venere, era la preferita del Capo.
Era lei che sempre vinceva.
L’Immortale, questo il soprannome che le era stato dato.
Le ragazze, e i gregari, sospettavano che le partite con lei fossero truccate per rendere più spietato il gioco, alimentare una leggenda, acuire la paura delle sfidanti allo scopo di eccitare il Capo.
Quando la giocatrice di turno si trovava davanti la donna con la mascherina azzurra sapeva di non aver scampo, ed era allora che il piccolo fiume della paura iniziava a scorrere, inarrestabile, tra gli argini dei seni, mentre le dita del Capo scavavano, eccitate, nell’alveo asciutto della vagina.
L’ultima umiliazione prima dell’esplosione.

L’ULTIMA VOLTA DI CRISTINE

Quando Cristine vide la donna con la mascherina azzurra fu colta da svenimento.
Subito, l’Italiano, il braccio destro del capo, si adoperò per farla rinvenire.
Le fece inspirare sali aromatici, e la slava fu condotta via.
Quando lei riaprì gli occhi nella stanza c’era solo l’Italiano che le parlava a voce bassa, cantilenante, come si fa con i bambini quando si vuole convincerli a prendere una medicina amara.
Cristine, scossa da brividi, batteva i denti e pronunciava frasi sconnesse mentre, con uno sguardo folle, frugava la stanza, senza davvero vederla, alla ricerca di una impossibile via di fuga.
L’Italiano le carezzava le mani e i capelli, cercando di tranquillizzarla, di convincerla che non doveva aver paura, che erano loro due soli, che la donna con la mascherina azzurra non c’era, anzi, a dirla tutta, non c’era mai stata, che era stata solo la sua tremenda ansia a palesarla.
E di cosa aveva così paura?
Tutte storie, leggende, quelle che circondavano l’Immortale, lo sapeva ben lui che era preposto a caricare la pistola. Il destino non si cura della nazionalità. Certo, dalla sua, quella donna aveva una fortuna sfacciata che aveva contribuito alla costruzione del suo mito ma, appunto, solo di questo si trattava: fortuna, che prima o poi, anche a lei sarebbe venuta meno. E’ quell’unico proiettile che decide la sorte, non la mano che preme il grilletto. E, adesso, Cristine, doveva riscattarsi ai suoi stessi occhi prim’ancora che a quelli del Capo, fare appello al suo orgoglio ed accettare la sfida, proprio con lei, l’Immortale.
Non c’era alternativa possibile.
Meglio una chance che nessuna. Concluse soavemente l’Italiano.

E la porta si aprì ed entrò la donna statuaria che sedette, in silenzio, di fronte a lei.
Cristine, con gli occhi chiusi, ne respirava il profumo esotico, azzurro e velenoso, inebriandosene al punto di soffocare, perdere di nuovo i sensi per acquistare illusori attimi di vita.
Ma nessuna possibilità vera.
Forse l’Italiano aveva ragione.
Forse stavolta la fortuna avrebbe voltato le spalle all’Immortale.
Raccogliendo tutte le sue forze volle sparare lei per prima ed il colpo, fasullo, andò a vuoto.
L’Immortale si puntò la pistola alla tempia, sorridendo, mentre premeva il grilletto.
Lo scatto illusorio non produsse nulla.
Fu allora che Cristine avvertì la paura ruscellarle tra i seni, piccole gocce fredde che s’allungavano sul ventre e le bruciavano la pelle.
E, mentre con gli occhi chiusi, si puntava di nuovo la pistola alla tempia, sentì le dita del Capo farsi strada, strisciando, fra le sue cosce.
Pigiò il grilletto: il tempo di visualizzare il rosso dello scoppio di un palloncino ubriaco.
Poi, entrò nel buio.

MARGARETHA
Tra le nuove reclute, quelle che avrebbero sostituito le cadute sul campo, arrivò Margaretha, la più bella, la più orgogliosa.
L’inaccessibile.
Il suo corpo nero, perfetto, senza sfumature, come una scultura d’ebano, così attraente che il Capo l’aveva da subito gratificata del suo letto, evitandole il rito crudele della roulette russa e scatenando la rabbia impotente dell’Immortale che, in quella nuova passione, presagiva la sua condanna a morte.
Dall’entrata in scena di Margaretha, la slava, dietro la mascherina azzurra, calcata come un gesso inamovibile sul suo volto deturpato, iniziò a consumare la sua solitaria agonia.
Ma nei confronti di colei che l’aveva spodestata, l’Immortale, provava anche un senso infinito di pena perché ben sapeva cosa significava essere la favorita del Capo, le umiliazioni che avrebbe subito, la solitudine senza conforto, l’odio delle altre ragazze.
Anche per la nuova eletta, forse, così come era stato per lei, avrebbero coniato un nomignolo da operetta per costruirci intorno una leggenda di terrore.
Ma di sicuro, il tamburo della S&W dell’Italiano, non avrebbe più girato a vuoto per lei.

Margaretha apparteneva alla stirpe delle indomabili, quelle donne non assoggettabili, altere nei sentimenti e nella cognizione della loro specie: una Regina.
Una Regina nuda, ma pur sempre una Regina che, seppur prigioniera e costretta a spalancare le gambe, non sarebbe mai appartenuta a nessun’altro che a se stessa.
Una donna inviolabile.
Ed era quest’appartenenza indiscutibile che spingeva il Capo a sottrarla al rito della roulette russa: l’avrebbe forzata a consegnarsi a lui prima ancora che alla paura.

LA REGINA NUDA
Da questa camera nemmeno una Regina può scappare. Qui dentro si respira la paura.
Quella personale e quella di tutte le altre che l’hanno preceduta.
La paura è la più ermetica delle serrature.
Ma una Regina non può arrendersi ad essa e, per quanto il Capo tenti di deturparla con le umiliazioni indicibili degli stupri quotidiani, lei gli oppone una resistenza strenua, consapevole.
Mai disperata.
In virtù di questo, paradossalmente, è la Regina Nuda a condurre il gioco, consapevole che fino a che riuscirà a controllare la sua paura, la belva non sferrerà l’attacco mortale.
Lei è la domatrice e lui la bestia furente, in agguato all’estremo opposto del cerchio di fuoco.

Da quella camera da letto non si scappa.
Dalla paura sì.
Dove la teneva nascosta la pistola se quando è entrata era più nuda di un fiore?
Celata tra i capelli, in quella sua chioma amazzonica, fitta e nera, come una notte d’eclissi totale.
Nera, come la S&W rubata all’Italiano, che tra un pò sparerà il suo unico proiettile e non dovrà fallire, e non fallirà, perché il bersaglio è così vicino e la tempia a portata di mano.
Non ha un vero piano, Margaretha, sa solo che la pistola è invisibile nel rifugio impenetrabile dei suoi capelli e che la donna con la mascherina azzurra, quando gliel’ha porta, forse sorrideva.
Ma non può esserne sicura.
La sola cosa che conta davvero è la S&W che tra un pò, nella stanza della paura, partorirà il suo unico figlio, e produrrà un vagito di morte.
La sola cosa che conta davvero è non fallire il bersaglio.
Attendere paziente che lui s’accanisca alla ricerca di quell’orgasmo che lei, abiurando la paura, gli ha tutte le volte negato ma che oggi, invece, nel giorno del riscatto, è disposta, sia pur nella finzione, a concedergli.
Non deve sbagliare nemmeno una mossa.
La parte più difficile sarà inscenare la paura: le goccioline del terrore ruscellanti dalla riga dei seni.
Ma è certa che lo stupore, prodotto da quella sua inaspettata resa, sarà sufficiente a darle il tempo di premere il grilletto nel momento preciso in cui un uomo, seppur armato, è assolutamente indifeso.
L’attimo unico che intercorre tra il tempo di vedere e quello di capire.

Come una illusionista, Margaretha ha materializzato dalla foresta inestricabile dei suoi capelli, la pistola, e gliel’ha cacciata in bocca nel momento stesso in cui lui sta emettendo il primo rantolo di piacere.

Succhialo tu, adesso, il mio gingillo.
Game over, bastardo!

Chissà se lui ha udito, di sicuro ha capito, perché l’attimo prima dello sparo si è pisciato addosso.
Il copioso ruscellare della paura.