LA METAMORFOSI DENTRO LA  SERRA 
 La Duchessa de Polignac entusiasticamente si apprestò a riplasmare, secondo la sua logica ed il suo gusto, quell’uccellino ancora implume, che senza il suo prodigioso intervento tale sarebbe rimasto per tutta la vita.
E non era quello un cimento facile, perché i dodici anni della vita stentata di Josephine Fournier avevano già iniziato a mostrare i loro disastrosi effetti collaterali.
Ma non era per umanità, né per mecenatismo, che la Sovraintendente ai divertimenti de la Reine s’era appassionata alle sorti di quella creatura diafana dalla voce angelica, ma perché la sua intelligenza vivace aveva valutato, nel suo futuro impiego, un tornaconto personale per consolidarsi nell’enorme influenza di cui già godeva a Versailles.
Applicò ogni cura nell’educazione societaria de la petite blanchisseuse, fornendola di una governante personale, di un precettore che le insegnasse i rudimenti della lettura e della scrittura, ed affidandola, per l’apprendimento dell’arte musicale, al maestro Jean-Phlippe Rameau, il più grande organista dell’epoca e teorico della musica francese, il quale accettò l’incarico come favore dovuto alla Duchessa, il cui entourage si era apertamente schierato dalla sua parte nella diatriba sorta con Jean-Jacques Rousseau circa le origini della musica, abbracciando il teorema di Rameau secondo cui la musica è linguaggio primievo ed  universale in antitesi a quello del filosofo svizzero che propugnava, invece, per la sua diversificazione generata dai fattori storici e culturali.
La Duchessa era una donna molto accorta, che se si vuol mantenere stabile il proprio potere bisogna fare le cose ammodo, non cedere a tentazioni poco ponderate, e che i frutti maturi sono i migliori a cogliersi, così non confidò a nessuno di questa sua adozione e del progetto conseguente, ma quel che è certo, è che nelle sue abili mani Josephine sbocciò vivida come un fiore di serra, meticolosamente protetta dagli eccessi della luce e da quelli del clima, e questo le conferì quell’aria esotica, indolente e sovrana, su cui la petite blanchisseuse avrebbe costruito la sua fama mentre lei avrebbe rafforzato la sua influenza a corte.
Saggiamente Yolande aveva permesso le visite periodiche di Marianne, consapevole che col tempo, e senza nessuna forzatura, sarebbe subentrata l’estraniazione fra madre e figlia, dovuta  alla diversità degli stili di vita, e che quella presenza materna, dimessa e supplicante, caritatevolmente accettata, avrebbe oltremodo affrettato in Josephine un distacco definitivo.
D’altronde la petite blanchiseuse non aveva alcuna nostalgia della vita passata, ed anche se a volte le sembrava di avvertire il doloroso graffio di un coltellino laddove pulsava il cuore, la Duchessa la medicava con nuovi e meravigliosi doni per far dimenticare al bocciolo di vivaio di essere stato originato da un fiore di prato.
E la vita di serra ben si confaceva a Josephine che, schiudendosi nella mitezza di quel calore temperato, respirava, assorbiva, si plasmava nel carisma della sua benefattrice, giungendo perfino a somigliarle nell’aspetto fisico, che entrambe avevano gli occhi azzurri, dentatura perfetta, un incarnato diafano e serici capelli bruni.
Così, come talvolta accade per quei cani che vivendo in empatia, o in forzata prigionia, con i loro padroni ne assumono le sembianze, i vezzi e i ghiribizzi, perfino lo sguardo, quand’anche, viceversa, sono i padroni sottomessi ad un affetto innaturale a somigliare ai loro animali che quasi t’aspetti inizino festosamente a scodinzolare e ad abbaiare a comando, o ad annusare circospetti.
Questo aspetto estremo dell’imitazione può scaturire dall’ineluttabilità di un amore viscerale così come dall’alienazione di un prolungato isolamento, quando l’universo intero si riduce alle singole fattezze dell’amante o del carceriere.
Ma al di là dei nostri strutturati ragionamenti psicologici, la somiglianza fisica di Josephine e di Yolande derivava solo da una naturale coincidenza anatomica, pur se occorre sottolineare che la petite blanchisseuse ammirava la Duchessa ed ardentemente aspirava ad esser come lei, anche se mai avrebbe immaginato di eclissarne, un giorno, lo splendore.

UN DONO PER LA REGINA
Fu la sera in cui Josephine Fournier fece la sua prima apparizione, en travesti, nel ruolo di Constantin, Page d’Amour, durante una rappresentazione al Petite Trianon, quando dispiegò la sua splendida voce di soprano appena adolescente in un assolo basato su complicatissimi virtuosismi vocali elaborati sulla portentosa estensione di quelle sue corde vocali debitamente educate dal suo precettore, Jean-Philippe Rameau, che così ritenne saldato il suo debito di gratitudine con la Duchessa de Polignac, consacrando con la sua presenza presso il regale parterre, in quell’occasione al gran completo, la sua talentuosa allieva che riscosse i favori, entusiastici ed immediati, dell’entourage reale.
Subito dopo la rappresentazione, Yolande, donò il delizioso Paggio d’Amore a la Reine.