Che voi siate maledetti, mille volte maledetti!

Quale insana mania, quale perversa, folle, assurda mania vi ha indotto a resuscitare dall’oblio delle chiese e dei musei ove da sempre sono sepolti, i personaggi che ho scolpito nella mia pittura, estraendoli a viva forza dal fondo oscuro in cui languivano per illuminarli con la mia visione?

E quale oscuro sortilegio, quale stregoneria vi ha permesso di metterli insieme, imberbi fanciulli e dolci puttane dei bassifondi romani dalla bocca di miele, appiattiti in quell’immonda tavola che adesso chiamate schermo, come se uno schermo non servisse per nascondere, anziché per mostrare!

Ah, se ancora camminassi sulla terra, nel mio corpo di carne e di sangue, saprei come vendicarei questa ingiuria affondando il mio pugnale nelle vostre luride gole, ma come ben sapete la mia realtà è di polvere e ricordo, e posso solo inveire, maledire, urlare.

Eppure io nella mia vita ho sempre amato, amato con folle passione donne e giovinetti, ma soprattutto la mia pittura, di cui le une e gli altri erano le muse, prima che un folle gesto mi portasse a perdere tutto e a fuggire, braccato come un animale fino alla beffa di morire sulla soglia del perdono.

Ma questa è vita, e la mia vita è passata.

Non ho mai cercato il divino nella perfezione, non fui Michelangelo. Il mio Dio era negli umili, nelle persone, e nei miei quadri cercai sempre il realismo, il vero, il drammatico, perché io sapevo e so, e anche voi dovrete scoprire, che la vita non è altro che un folle rotolare verso l’ultima dimora, quella che nessuno conosce e nessuno può abbandonare, l’enigmatica tomba.

Così ecco la mia maledizione, folli o forse ignari profanatori della mia quiete, e questa è colpa ben più grave, questo è il contrappasso a cui con dantesca ironia vi condanno: prendete quei volti, sofferenti, pensierosi, sorridenti, seri che sono appartenuti tutti a persone vissute e ora polvere nel tempo, prendeteli tutti e specchiatevi nei loro occhi. Riconoscetevi in ciascuno di loro perché ognuno di essi è stato come voi prima che li rendessi immortali, meditate sulla vostra caducità e sentite, per un minuto, una notte o tutta la vita, sui vostri nervi il brivido freddo dello sguardo della triste mietitrice che vi attende.

Così io, Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, vi maledico nei secoli dei secoli!