MORRIS E GERARDINE
(insonnia)
Nulla è di più devastante di una notte insonne, aveva decretato Morris a voce alta, seppure nella sua stanza d’albergo non ci fosse nessuno. Poi era uscito sul balcone a fumarsi una sigaretta consolatoria in attesa dell’arrivo del giorno, e più tardi, dell’arrivo del treno che lo avrebbe ricondotto a casa. Scacciò quel pensiero, che pure lo inquietava, cercando motivi di distrazione nel panorama che si mostrava ancora in chiaroscuro. Spense la sigaretta respingendo la tentazione di accenderne un’altra, e dopo essersi infilato il cappotto sul pigiama scese nella hall, con la prospettiva di un caffè, caso mai il bar fosse già aperto.
Ma il bar, come prevedibile, era ancora chiuso.
Cosa pagherei per un caffè! aveva esclamato a voce alta.
– C’è un piccolo bar in fondo alla strada, apre prestissimo, per i passeggeri e il personale ferroviario.
La voce della donna lo aveva colto di sorpresa, convinto com’era d’esser solo, e nella penombra che permeava la sala, non aveva fatto caso alla sua presenza.
– Ho la pessima abitudine di pensare a voce alta – Aveva risposto, ridendo, Morris
– Anch’io, nel sonno. E credo questo sia anche peggio – Aveva ribattuto, tra il serio e il faceto, la sconosciuta
– Ho voglia anche io di un caffè, possiamo andare insieme – Aveva proposto la donna
Questo approccio così diretto lo aveva un po destabilizzato: di solito era lui a fare la prima mossa
– Con piacere. Devo però tornare in camera e vestirmi, non vorrei dare scandalo uscendo in pigiama –
– E chi ci baderà? Troppo tardi per la notte e troppo presto per il giorno: il cappotto sul pigiama è l’abbigliamento giusto – Aveva replicato la sconosciuta uscendo dall’ombra.
– Io sono Gerardine, piacere di conoscerti –
– Morris – Aveva risposto lui, tendendole la mano, un po impacciato
– Allora andiamo? Devi però spingere tu, che la strada è dissestata e da sola rischierei di capottarmi –
E così s’erano avviati, con Morris a spingere la sedia a rotelle su cui lei sedeva
– Non è distante, e il caffè è ottimo –
Le promesse di Gerardine s’erano rivelate tutte vere: per strada non avevano incontrato anima viva, il piccolo bar aperto e il caffè davvero squisito
– Buono, vero? I proprietari sono Italiani. Tutte le volte che torno qui una capatina è per me d’obbligo. Siamo diventati amici senza neppure mai esserci scambiati una confidenza. Roberto, il loro figlio, mi viene sempre premurosamente incontro facendomi spazio tra i tavolini. Di solito mi riserva questo stesso posto dove ora sediamo, il mio preferito, ma solo perché il più comodo da raggiungere. Questo mi fa sentire a casa, dove ognuno ha il suo posto, il suo spazio. Confortante, come essere in famiglia. Io sono “la giovane signora sulla sedia a rotelle” e loro “una gentile famiglia italiana”. Tra noi c’è rispetto, cordialità e un affetto discreto: non occorre altro per un’amicizia –
– Non hai paura, sulla base di questi pochi indizi, di fidarti delle persone, o degli sconosciuti, come me? – E così dicendo Morris aveva mimato un’espressione truce che l’aveva fatta ridere
– Non rimane per troppo tempo sconosciuto chi pensa a voce alta – Aveva replicato lei, ancora ridendo
– A volte, invece, molto meglio sarebbe rimanere sconosciuti. O limitarsi ad un rapporto di superficie, senza esplorare il fondo. Perché da quel fondo può accadere di non riuscire più ad emergere – Aveva ribadito Morris, con amarezza
– Io ne sono emersa…nonostante l’ingombro di questa zavorra –
Il riferimento alla sedia a rotelle era chiaro
– Insegnami come si fa. Come si fa a morire e poi rinascere? – E subito dopo aveva detto: scusami.
– Non devi scusarti di nulla – E gli aveva sorriso
– Sei bellissima. E quando sorridi, addirittura splendi. Questo, di solito, al primo incontro con una donna, mi limito solo a pensarlo. – L’imbarazzo di Morris era sincero.
– Allora stavi pensando a voce alta – La voce di Gerardine era morbida, con tante sfumature dentro.
– Hai la risposta sempre pronta, tu! – Aveva esclamato lui
– Non potrebbe essere diversamente visto che sono un avvocato –
Allora Morris, ridendo, aveva alzato le mani in segno di resa.
– Tra due d’ore salirò su un treno, e quando sarò giunto a destinazione dovrò prendere una decisione davvero difficile – Le aveva confidato Morris al momento del commiato
– E non vorrei dover prendere nessun treno. E nessuna decisione –
– Fumi? – le aveva chiesto poi offrendole una sigaretta
Erano rimasti a fumare sul marciapiede dell’albergo, in silenzio, per un lungo momento isolati nei propri pensieri.
– Ma dovrai farlo se non hai altra scelta – Gerardine aveva infine rotto quel silenzio
– Non prendere quel treno sarebbe l’alternativa – La voce di Morris era incerta, colma di stanchezza
– Se ci fosse stata quell’alternativa non avresti trascorso la notte insonne, smaniando all’alba per un caffè. Salirai su quel treno perché quella decisione così difficile l’hai già presa. Non sempre ci è dato di scegliere – Quest’ultima frase Gerardine l’aveva pronunciata in un sussurro, come parlando a se stessa
– Si, prenderò quel treno e farò ciò che deve essere fatto, anche se questo non mi fa star meglio – Aveva concluso Morris con un sospiro
– Non starai meglio ma starai in pace. O forse neppure. Nessuna certezza –
– Nessuna certezza. Ma quella di poterti rivedere, quella si… mi piacerebbe averla –
– Non hai più paura di esplorare il fondo?- Aveva domandato lei guardandolo negli occhi
– Un rischio che voglio correre – Morris, aveva ribadito, ricambiando il suo sguardo
Gerardine allora gli aveva porto un cartoncino col suo numero di cellulare
– Grazie – Aveva sussurrato Morris, e sfiorandole il viso con una carezza, aveva detto: a presto
Con quel bigliettino stretto tra le mani si sentiva pronto ad affrontare quel suo viaggio.
Pronto ad esplorare il fondo.
GIULIA E MOHAMMED
(razza lunare)
La cagnolina, dall’altro lato della strada, l’aveva intercettata e, incurante delle auto che sfrecciavano veloci, d’un balzo l’aveva raggiunta, miracolosamente incolume, per rimanere poi avvinghiata alle caviglie di Giulia
– Venus. Venus. Venus – La donna, andava ripetendo all’infinito questo nome, mentre la cagnetta si esibiva in una sorta di folle, entusiastica, bizzarra, danza d’amore.
– E’ tua? – La voce dell’uomo l’aveva colta di sorpresa, non si era accorta nemmeno della sua presenza, e neppure dello spago annodato, a mò di guinzaglio, al collo di Venus.
– E’ mia! – Aveva risposto Giulia sulla difensiva, guardando in faccia l’uomo, un arabo. O almeno quella le era sembrata l’etnia di appartenenza.
– Ti stava cercando.Sono giorni che ti cerchiamo – Il tono di lui era gentile, pacato, in ottimo italiano, mentre scioglieva dal collo dell’animale lo spago/guinzaglio, e Venus, con gratitudine, gli andava lappando la mano.
– Dove eri finita,Venus? Dove l’hai trovata? – Aveva chiesto poi all’uomo
– Di preciso non so, mi sono accorto, però, che mi seguiva alla distanza, ma era sempre sui miei passi. E allora l’ho presa con me. Che non fosse una randagia questo l’ho capito subito: ben nutrita e pulita, e si fidava delle persone. Si è fidata anche di me – E in questa sua ultima frase, Giulia, aveva colto una punta d’ironia.
– Io sono Mohammed – Le aveva porto, sorridendo, la mano
– Giulia – Aveva risposto lei, stringendo quella mano per dovere di cortesia.
– Allora, Venus, missione compiuta! – S’era chinato per una carezza a cui la cagnolina aveva risposto scodinzolando mesta, quasi avesse capito l’addio imminente.
– Cosa posso fare per sdebitarmi? – La voce di Giulia era incerta
– Tenerla d’occhio e non farla più fuggire. Ho anch’io un cane, Samir, il cui significato è “compagno di confidenze notturne” – Mohammed aveva pronunciato il nome del suo cane con tenerezza, e poi aveva proseguito – L’ho chiamato così perché di notte scrivo e lui mi fa compagnia. Gli parlo della trama dei miei racconti e lui mi ascolta, scodinzola se gli piace, altrimenti guaisce. Avrei voluto portarlo con me, ma poi l’ho lasciato a casa, a Rabat, li è al sicuro. Razza lunare, anche lui, come Venus. Sono i migliori – Aveva aggiunto col pollice alto
Giulia ora guardava in maniera diversa il suo interlocutore, d’improvviso, e suo malgrado, provando empatia per quello straniero che le confidava la nostalgia delle piccole cose segrete del suo mondo lontano. Un uomo gentile che le aveva restituito Venus e poi condiviso quel fotogramma intimo della sua vita a Rabat. Dentro di lei la diffidenza andava tramutando nel sentimento caldo della comprensione.
– Razza lunare? – Aveva chiesto con sincero interesse, perché trovava affascinanti le cose di cui Mohammed parlava.
– I bastardi, quelli senza pedigree, quelli che non sai da quale pianeta provengano: gli stranieri. Anch’io sono razza lunare. Tra simili, invece, ci riconosciamo e ci fidiamo, come ha fatto Venus – E la bastardina, al suo nome, aveva risposto con un guaito festoso.
– Tu non sembri appartenere alla “razza lunare”. Insomma, sei diverso dalla maggior parte degli immigrati che vengono qui a cercar fortuna. Tu cosa stai cercando? –
– La verità. Solo quella, per raccontare l’epopea di questa “razza lunare” e per farlo devo condividerne la vita, le delusioni, le gioie, le sconfitte, i tradimenti e la nostalgia degli affetti –
Aveva sottolineato con enfasi Mohammed. Poi aveva aggiunto – Sbagli a vedermi diverso da loro. Io sono uno di loro. Lo testimonia la tua diffidenza iniziale. Non te ne sto incolpando, ma se fossi stato Italiano forse tu non ne avresti avuta. Capita tutti i giorni, tutti i momenti. Non è facile doversi continuamente difendere dalla diffidenza. Il rischio di perdere la propria identità è forte, arriva un momento in cui non sai nemmeno più chi sei, non ti riconosci in come ti vedono gli altri, però neppure ti ritrovi in quello che eri e in quello che ora sei.Vivo nella paura di smarrire i miei ricordi, di non riuscire mai più a tornare a casa, a Rabat, dove c’è Samir, il mio cane, il mio compagno di confidenze notturne, e la mia famiglia, i miei amici, i miei libri, la mia vita. Ma non il mio futuro –
Parlavano seduti su un muretto, mentre Venus ispezionava, intraprendente, il terreno a pochi passi da loro.
– Racconterai anche di Venus nel tuo libro? –
– Racconterò di lei e di te –
– Di me? Neppure mi conosci! –
– Non è vero, ti conosco molto più di quanto tu conosca te stessa –
– E cosa racconterai di me? –
– Del nostro incontro, dei tuoi occhi, e di questo muretto su cui sediamo –
– Cosa c’è da raccontare su questo muretto? – Aveva domandato Giulia ridendo
– Che è uno di quei muri che non divide ma unisce. Un muro onesto, solido, di cui potersi fidare. Su cui sedersi e conversare, come stiamo facendo ora noi. Avrebbe potuto essere una barriera e invece s’è rivelato punto d’appoggio. Non ha nascosto ma mostrato. Io sono grato a questo muro. E sono grato a te per questa conversazione, e della tua fiducia – Aveva detto Mohammed, sorridendo e tendendole la mano nell’atto del congedo.
Quella mano che ora Giulia aveva stretto senza più alcuna riluttanza e che avrebbe voluto trattenere tra le sue per ritardare il momento del distacco.
Poi, Mohammed, s’era chinato verso Venus, per un’ultima carezza
– Fai la brava, Venus: niente più avventure on the road! –
Giulia, allora, aveva cavato dalla borsa un fogliettino su cui aveva scritto il suo numero di cellulare
– Nel caso avessi bisogno di un’amica con cui parlare nei momenti in cui ti sembrerà di non ricordare chi sei – E poi aveva detto: non perderlo.
– Non lo perderò – L’aveva rassicurata Mohammed, grato di quella fiducia
SANDRO E LIDIA
(ex)
– Sandro! Ma sei proprio tu! –
La voce femminile alla sue spalle lo aveva colto di sorpreso, perché quella voce l’aveva immediatamente riconosciuta
– Lidia! – Aveva esclamato prima ancora di voltarsi
L’attimo dopo erano l’una nelle braccia dell’altro.
– Quanto tempo è passato…fatti vedere, sei sempre molto bella e meravigliosamente in forma –
Al complimento sincero di lui, lei s’era schernita, leggermente in imbarazzo di non poter contraccambiare, perché il tempo non era stato altrettanto magnanimo con lui. Ma ben sapeva, Lidia, che quel decadimento non era d’attribuirsi all’inclemenza degli anni ma, piuttosto, al modo sregolato in cui aveva sempre vissuto, ed era stata la causa della rottura del loro matrimonio..
– In partenza o in arrivo? Perché il mio aereo decolla tra due ore, e se anche tu hai tempo possiamo prenderci un caffè e scambiare due parole – Le aveva proposto lui
– Sto aspettando mio figlio in arrivo da Londra, dove studia, ma ho tutto il tempo per un caffè e una conversazione – Aveva risposto Lidia, aderendo a quell’invito.
– Dunque hai un figlio? Come si chiama? Ti somiglia? –
Per tutta risposta, Lidia, gli aveva mostrato una foto
– Un bellissimo ragazzo, ti somiglia. Ti sei risposata, allora? –
Le era parso di percepire in quella domanda una nota di delusione
– Si, mi sono risposata, e di nuovo non ha funzionato – C’era stanchezza nella sua voce
– Io invece no, dopo di te nessun’altra! – Aveva esclamato Sandro, con la mano sul cuore
Entrambi erano scoppiati a ridere.
Era questa sua ironia, la leggerezza con cui lui affrontava la vita, quasi fosse un gioco senza rischio, che l’aveva fatta innamorare di lui. Una contrapposizione audace alla sua pesantezza, alle sue insicurezze e paure. Sandro aveva sempre una risposta rassicurante ai suoi cervellotici interrogativi esistenziali, ogni cosa con lui era possibile, fattibile, con una soluzione immediata, a portata di mano. S’era fidata di lui e di quella sua promessa d’infallibilità, e così lo aveva sposato per amore e per tutte quelle altre ragioni, nonostante le obiezioni della famiglia e degli amici più intimi che pure l’avevano messa in guardia sulle evidenti fragilità di lui.
– Lavori sempre nel campo delle comunicazioni? – Gli aveva domandato Lidia
– No, non ci crederai ma ora sono comproprietario di un ranch, in Argentina. Cambio totale di settore…e di vita. Un vivere più sano. Lo avessi fatto allora.. forse non ti avrei persa – Aveva risposto guardandola negli occhi e sfiorandole la mano.
– Vivere sano? Hai appena messo tre cucchiaini di zucchero nel tuo caffè! – Lidia, gli aveva fatto notare, ridendo
– Non me ne sono neppure accorto, ero intento a guardare te. Colpa tua, che mi emozioni sempre –
Colpa mia! Quante volte se l’era ripetuto nel corso della sua vita matrimoniale, quando quella leggerezza di Sandro, di cui pure s’innamorata, s’era rivelata catastrofica nelle scelte da lui perseguite, così da mettere a repentaglio quella loro minima, precaria sicurezza, su cui lei, alla fine, ferocemente vigilava.
Colpa sua di non riuscire a disciplinare le incongruenze di Sandro, quella sua anarchia sfrenata che lo portava a provare tutto abusando di tutto: cibo, alcool, droghe, e le ebbrezze della velocità. Donne…no, non ce n’erano state, non l’aveva mai tradita, era sicura della sua fedeltà . Ma quella, da sola, non era bastata. E così lo aveva lasciato.
Colpa tua! Sandro le inveiva contro, rinfacciandogli quell’abbandono di cui non accettava le ragioni, addebitando unicamente alla disperazione della loro separazione quel suo degrado morale e fisico, che pure andava esibendo in pubblico con il misero spettacolo di se stesso ubriaco fradicio, sporco o in crisi di astinenza.
– Bagaglio leggero? – Aveva domandato Lidia, indicando la piccola borsa da viaggi di lui. In realtà lo aveva detto solo per interrompere il flusso pericoloso di quei ricordi.
– Non ho più molte esigenze: non bevo, non fumo, non mi drogo. Magari potresti di nuovo innamorarti di me! – Sandro sorrideva, ma il tono era serio.
– Sarebbe fantastico – Aveva poi aggiunto sfiorandole una mano
– Non accadrà – L’affermazione categorica di Lidia, educatamente accompagnata da un sorriso, lo aveva raggelato
– Scherzavo. Ma tu continui sempre a prendere tutto maledettamente sul serio. – Aveva sottolineato lui tentando una impostazione ironica che, invece, sapeva di rabbia.
Lei era rimasta in silenzio, senza replicare a quell’accusa che pure, facilmente, avrebbe potuto rivoltargli contro. Ma a cosa sarebbe servito rinvangare un passato da cui entrambi erano usciti perdenti e con le ossa rotte?
– Ora devo andare – Aveva detto lei guardando l’orologio
– Possiamo rivederci? O almeno rimanere in contatto? Ti lascio il mio numero di cellulare, decidi tu se e quando chiamarmi. Prometto che non ti farò proposte indecenti – Nel salutarla, le aveva offerto il suo biglietto da visita che Lidia educatamente aveva accettato, e poi stracciato, l’attimo dopo che lui era sparito alla sua vista.