Affrontò l’ultima parte della leggera salita a occhi bassi, ascoltando il rumore delle rotelle sulla ghiaia. Faceva caldo, e d’altra parte c’era da aspettarselo. Sentì un rivolo di sudore lungo la schiena e provò il tipico disagio di chi non avrebbe potuto mettersi sotto una doccia fino a sera.

Il viaggio, pensò. Un lungo viaggio, portando un sacco di cose con sé. Non indumenti e scarpe. Non guide turistiche, o libri da leggere. Il carico era quello dei ricordi, e delle speranze. I ricordi di quello che aveva fatto, che era successo; le speranze, quelle che riponeva nello sguardo e nell’espressione di chi avrebbe incontrato al suo arrivo.

Sospirò, e svoltò l’angolo del viale.

Il palazzo era come lo ricordava, immutato nel tempo. Il portone era aperto, controllò il nome sul citofono ed entrò. Sentiva il suo cuore martellare, esattamente come tanti anni prima. Per una frazione di secondo pensò “Che pazzia!”, ma continuò a salire. Non sapeva chi e cosa avrebbe trovato, sapeva solo che doveva farlo. Un trillo, passi rapidi, la porta si aprì. Avrebbe riconosciuto quegli occhi neri ovunque. Lui la guardò con aria interrogativa. Lei sorrise e disse: “Ciao, è passato qualche anno”. Lo sguardo di lui era incredulo. “Accomodati” disse senza staccarle gli occhi di dosso. Lei entrò trascinandosi dietro il trolley. La casa era silenziosa, essenziale, una casa da uomo. “Non voglio farti perdere tempo, ma avevo bisogno di vederti, di dirti e di darti qualcosa” disse lei aprendo il trolley e tirando fuori una scatola di metallo. “Chissà perché questa mattina mi sono svegliata con il pensiero di te come non mi succedeva da molti anni. Ricordi? Eravamo poco più che bambini. Io, però, lo seppi da subito che per me tu non eri come gli altri, con quella certezza caparbia e assoluta che hanno solo i bambini, appunto. Non so come e non so perché tu abbia messo nel mio cuore radici così profonde. So soltanto che per molti anni, nel dipanarsi difficile e doloroso, spesso drammatico, della mia vita, il solo pensiero di te e della tua esistenza è stato per me motivo di sopravvivenza. Sapere che tu eri lì fuori, nel mondo, lontano anni luce da me e dai miei sentimenti, ma esistevi, non eri un parto della mia fantasia, mi faceva sentire viva, mi dava la spinta ad andare avanti, a sperare, a vedere una luce fuori dal tunnel. E di tunnel ce ne sono stati e ce ne sono ancora parecchi nella mia vita. Non mi hai mai voluta, come nella migliore tradizione degli amori grandi e infelici, ma io ti seguivo da lontano, sperando solo che tu fossi felice, anche senza di me. Sei stato il mio sogno più grande e di questo ti ringrazio perché a volte i sogni è bene che rimangano tali, nella loro dimensione magica dove tutto è possibile, al contrario della realtà che ti schiaccia e ti travolge. Qui troverai i pensieri scritti per te ogni giorno, ti appartengono. Abbi cura di te” disse porgendogli la scatola. Sfiorò la sua guancia con la punta delle dita e uscì dalla porta e dalla sua vita.