La grande “Arca di Aton” sorvolava lentamente il deserto.
Durante la battaglia contro i carri di Phar’an l’astronave aveva riportato numerosi danni e faticava a seguire la rotta.
Aveva la forma di un grande sole, giallo e luminoso. Ogni tanto si fermava su un gruppo di persone che chiedevano aiuto e le prendeva a bordo tramite fasci di luce, delicatamente, con raggi simili a mani.
Il comandante Mo-see guidava l’Arca verso la terra di Can-anan, dove avrebbe lasciato i superstiti; poi sarebbe volato oltre le nubi, sarebbe tornato sul suo pianeta, con il pianto in gola, da sconfitto.
Intanto a Tebe Phar’an celebrava la sua vittoria, con lui tutto l’Egitto avrebbe festeggiato il ristabilito ordine delle cose, come insegnava la sacra Maat.
Musiche e profumi si spandevano nelle sale illuminate a giorno. Le luci delle fiaccole lambivano le acque del Nilo che, non più rosso del sangue degli eretici, scorreva tra sereni riflessi argentati.
Nel tempio del dio Amon i sacerdoti premiavano i militari che avevano diligentemente svolto il lavoro di pulizia dai nemici. Non soltanto gli eretici erano stati scacciati nel deserto con la maledetta astronave, ma si era proceduto alla cancellazione eterna del loro falso Dio.
Così recitava il nuovo inno: «Ho cancellato il tuo nome nei templi e nelle dimore eterne. Ho graffiato il tuo sigillo fino a renderlo illeggibile, ho scalpellato il tuo volto. Nessuno pronuncerà più il tuo nome. E’ cancellata anche la tua memoria.»

Il maestro richiuse il libro con violenza facendo sobbalzare più di uno studente.
«Cosa deve insegnarvi tutto questo?»
I suoi occhi gialli scrutavano il disagio sulle facce smarrite dei ragazzi. Decise benevolmente di aiutarli.
«Deve ricordarci che gli umani sono creature sciocche e impressionabili. Che hanno la propensione a crearsi dei nemici, e che amano farsi del male tra di loro. Non tengono alla loro specie o al loro mondo e per questo motivo, non appena pronti, noi torneremo su quel pianeta. Sarà facile conquistarlo ancora, come al solito basterà dare loro qualcosa di invisibile a cui credere.»