Dammi cinque minuti, rispose Marco alla guida che lo chiamava, mentre lui osservava una delle sue orme impresse sulla sabbia rossa del deserto. In quell’orma ci vedeva gli ultimi passi della sua vita. Passi dai quali non aveva imparato quasi niente, se non a farsi male, come con l’ultima donna che aveva amato. L’indomani, o anche da lì a poche ore, quell’orma sarebbe stata cancellata dal vento. Il deserto non si sarebbe ricordato di lui e nemmeno lei l’avrebbe ricordato, ne era convinto. Si diceva di esserlo, ma era solo il suo modo di uscire di scena, cercando così di non ripercorrere i passi che l’avevano portato lì, lontano, che nemmeno importava dove fosse quel lontano.
La guida insisteva. Nel deserto il tramonto arriva presto e con il tramonto la temperatura cala improvvisamente. Era meglio andare.
Marco alzò lo sguardo dalla sabbia. Le rocce intorno sembrava piangessero: il vento e la sabbia, erodendo e levigando la roccia, nel tempo, avevano scolpito gli anfratti dando loro le forme più strane e molte pareva stessero colando, come sciolte dal sole rovente, colavano come la cera di una candela accesa. Ma era gennaio, i primi di gennaio, e l’aria era fresca. Già fredda all’ombra.
Quel viaggio, Marco l’aveva fatto più per allontanare i suoi pensieri bui che per godere delle bellezze del luogo. Aveva scelto il deserto pensando che un posto dove non c’era niente che gli ricordasse casa sua potesse cancellare i ricordi, così come avrebbe fatto con le sue orme, ma si sbagliava. Quel nulla non era affatto un nulla, i colori che vedeva gli entravano dentro come bisturi affilati e gli sezionavano l’anima.
Le sue azioni, le parole dette e i pensieri più segreti si mettevano in fila, distesi e ben ordinati sulla linea dell’orizzonte, seguendo ora le dolci curve delle dune che gli ricordavano altre curve, ora le linee frastagliate e cariche di rughe profonde delle rocce, tanto simili alle fratture che il tempo aveva allargato nel suo rapporto con Sara. Incomprensioni, lontananze, testardaggine e orgoglio erano state la sabbia e il vento artefici di quelle fratture?
Wadi Rum era il nome del deserto che stava attraversando e Wadi vuol dire valle, vallata.
Capiva in quel momento che fra Sara e lui c’era sempre stata una valle a dividerli, una valle scavata dalle rispettive vite, tanto diverse e lontane. Fossero stati ragazzi avrebbero potuto scavalcare quella valle con un solo passo, magari incerto, incosciente e pazzo, pazzo quanto riesce ad esserlo la gioventù, ma ragazzi non lo erano più da tempo. Le loro vite contavano molti strati, come quelli geologici che leggeva chiaramente nelle rocce che aveva intorno. Molte delle loro scelte, giuste o sbagliate che fossero state, ora erano sabbia che rallenta il passo, che impone prudenza per non cadere.
Sara non si era sentita preparata a quel cammino insieme, e lui, certamente, non era riuscito a darle garanzie. Si, perché quando non si é più giovani quel che conta sono le garanzie, qualcosa di stabile. L’avventura, i forse, i progetti ci sono ancora, ma soffrono della mancanza di slancio, di pazzia. Almeno, era così per lui, Sara l’aveva capito fin da subito e per questo la loro storia si era arenata.
Prima di decidersi a muoversi scrisse il suo nome sulla sabbia accanto ad una delle sue orme, affidando così al vento il compito di cancellare il suo recente passato. Uno stupido e inutile augurio, lo sapeva, ma lo fece lo stesso. Di stupidaggini ne aveva fatte parecchie, ultimamente, e chiudere quella storia con l’ennesima gli sembrava logico.
Sorrise di sé, di quell’atto fanciullesco, ricordando di quando, da bambino, si nascondeva sotto alle coperte, in quel mondo che era solo suo, lontano da tutti, che prendeva in prestito gli orizzonti più colorati e caldi della sua fantasia.
Anche quell’ultima storia era stata una fantasia, una fantasia da dipingere in due, una pennellata alla volta. Solo che a dipingere era rimasto da solo.
Lei aveva scelto un’altra tela, forse un altro uomo.
Tornando al fuori strada che l’avrebbe portato via da lì, Marco pensava che comunque Sara gli sarebbe rimasta scolpita dentro, come i graffiti dell’era del bronzo che aveva visto poche ore prima su una roccia, quelli che raccontavano di un tempo ricco di acque, piante, animali, vita. Un tempo passato, che non sarebbe tornato, come non sarebbe tornato il suo.
Niente sarebbe stato più come prima.