Eravamo la solita banda di ragazzetti scalmanati. Di certo non avevamo giochi elettronici che ci tenevano incollati ad uno schermo. Si vagava in giro per il paese e i giochi si inventavano strada facendo. Ma un posto che ci piaceva frequentare pensate un po’, era il cimitero. Noi bimbe già ambivamo alla bellezza, e incontrare qualche bella donna con le unghie lunghe era qualcosa di stupefacente. Noi ci siamo inventate il nail-art di ora già a quei tempi. Il giorno si andava al cimitero: quei ceri accesi facevano al caso nostro. La cera calda modellata sulle unghie e voilà, che mani da fate, anzi no da streghe, dato che che ci trovavamo al cimitero. Poi anche al posto del chewingum: non era male, era morbida. Ma i maschietti erano più intraprendenti. In paese era arrivato un ragazzetto nuovo, si chiamava Saverio, e per far parte del gruppetto doveva superare la famosa prova.
“Forma di bullismo già allora? Forse!”.

Una calda sera di agosto ci avviammo lungo la strada che portava al cimitero. Era in atto la grande prova di coraggio. Consisteva solo di passare qualche ora al cimitero da solo, Saverio accettò.

Solo in seguito, da adulto, ci raccontò cosa aveva tribolato.

Varcò quel cancello.
Una fioca illuminazione solo dei ceri davanti le tombe, lungo il viale, guidava Saverio.
La ghiaia scricchiolava sotto le sue suole, Saverio si guardava intorno sospetto. Arrivato in fondo al viale, un enorme prato pieno di croci arrugginite. Si sedette sul bordo di un muretto, non poteva vagare nel buio quelle ore, ma solo aspettare che passassero in fretta.

All’improvviso davanti ai suoi occhi delle fiammelle blu. Saverio non aveva mai creduto ai racconti dei nonni, gli dicevano “Sono le anime dei morti che vagano”. Incominciò ad aver paura e pensò di tornare indietro, con passo veloce si avviò su quella ghiaia maledetta che faceva un rumore pazzesco. Improvvisamente si sentì afferrare ad una gamba e cadde a faccia avanti, era solo un ciottolo più grande dove era inciampato. Si alzò di scatto e lo sguardo finì su una lapide dove lesse il suo nome: “Qui giace Saverio Grande”. Ormai, non se ne rendeva conto, la sua suggestione era al limite.
Finalmente tutto tremante riuscì a varcare di nuovo  l’uscita di quel cancello, dove il gruppetto lo attendeva trepidante. Non sapeva se la prova era stata superata, ma sapeva benissimo che doveva superare la vergogna, con quei pantaloni si camminava malissimo, bagnati di urina e feci.