Forse un giorno.

Un giorno, nel guardarmi allo specchio,
leggerò forse nei miei occhi la volontà
di essere sincero, e la capacità di farlo,
ed allora andrò a parlare fra la gente,
a raccontare me stesso, finalmente.
Quel giorno però non è ancora venuto,
e porto dentro me questo tremendo segreto,
né poi mi importa se è un male comune,
stimolo oscuro verso mete inconfessate.

E’ un tarlo crudele che una volta desto
comincia a rodere con denti aguzzi
la nostra anima, cominciando dal fondo;
forse vuole scavarsi una strada per uscire,
e talora esce, da occhi troppo trasparenti.
Allora sei pazzo, lo sai e per questo lo temi:
perché la pazzia, l’anormalità, fa paura,
e tutto ciò che è anormale è amorale,
pazzo o funzionale al sistema, geniale,
ma la libertà è sempre e comunque pazzia,
in questo mondo determinato.

E le mie oscurità, la mia insicurezza,
che ribollono nel profondo smaniose,
onde in tempesta di un mare furioso,
e mai libere, anche se inoffensive,
fisicamente, ma per la comune morale
( al cui cospetto mi inchino e mi adeguo)
mentre cordialmente mi disprezzo
per vivere una vita che non ho
né il coraggio né la dignità di rifiutare,
perlomeno corrosive.

Eppure in me non esiste violenza,
la devo accettare e mi disgusta,
però è necessaria (dicono),
mentre i miei sensi sono almeno perseguibili,
Ma vivere per vivere, tanto vale creare,
e cercare di parlare anche a costo di morire
(tanti lo hanno fatto, tutti ci riescono,
pochi sono anche ascoltati, dopo), ma tentano.

Un giorno, forse parlerò a qualcun altro,
oltre che a me stesso, ma prima
leggerò nel mio sguardo e se vedrò,
Dio non voglia, la violenza del mondo,
tutto allora sarà per me perduto,
anche queste righe, che non saprei
nemmeno più leggere e capire.