LA CADUTA DEGLI DEI
– La verità, Arturo, è che hai manipolato la vicenda per salvaguardare i tuoi interessi e non hai neppure per un attimo pensato al danno d’immagine che mi stavi arrecando. La verità è…-

– La verità è che tu miravi a portarti a letto una ragazzina di quindi anni! –
La voce di Serrano s’era alzata di tono. Una dura accusa che non ammetteva repliche.
– E perdio non credi che sarebbe stata proprio la verità a causarti quel danno d’immagine? Il pubblico non la capirebbe questa tua infatuazione. E neppure i produttori del tuo prossimo film. Perfino Josette ha respinto l’idea immaginando che tu fossi preso da Celeste e non dalla sorella quindicenne. Celeste alla verità, però, c’era già arrivata da sola. Quello che cercava da Josette era un’ulteriore conferma, che però lei, essendo all’oscuro delle tue mire, non gli ha dato. Per questo tu non farai nulla per nuocerle. Celeste sapeva benissimo che non era per lei che ti stavi dando da fare con tutte quelle attenzioni alla madre e al fratello malato, e i preparativi per quella festa di compleanno. Il tutto per poter essere accreditato come amico di famiglia e poter più liberamente interagire con la sorvegliatissima Fleur. A parer mio dovresti esserle grato per averti evitato lo scandalo, la prigione e la fine della carriera. Anche se non l’ha fatto per te ma per la sorella. Che ti piaccia o meno, Francisco, sarà la mia versione, quella ufficiale. Ti diffido anche dal confidarti con Blanca Gil, che la piccola iena ha già subodorato odore di cadavere e s’aggira nei pressi fiutando il vento e leccandosi le labbra. E ho l’impressione che quel cadavere sia il tuo. Ho dato così disposizione di non far entrare nessuno, oltre me, in questa stanza, e appena sarai dimesso partiremo per Hollywood –

A questa valanga di parole, profferite in tono imperativo, Ferrer aveva risposto con un gemito doloroso. S’era voltato sul lato sinistro e aveva chiuso gli occhi.

BLANCA E ARTURO
–  Perché mi è vietato di vedere Francisco? E’ dunque tuo ostaggio? –

Blanca Gil, sul piede di guerra, aveva affrontato Arturo Serrano all’uscita dell’ospedale.

– La caduta gli ha procurato un trauma cranico, ha bisogno di riposo e tranquillità. Che non debba ricevere visite lo hanno stabilito i medici –
Aveva replicato lui, con calma e senza scomporsi

– E credi davvero che io mi beva questa storiella? Così come neppure credo a quella, ci scommetto sempre da te imbastita ad uso e consumo della stampa, sul ritorno di fiamma di Francisco per quella puttanella di Josette. Lo conosco da una vita, molto prima di te, probabilmente era salito da lei con intenti omicidi, e posso persino immaginarne il motivo. Ovviamente ho bisogno di conferme, ma stanne certo che le troverò –

– Davvero non ti riesce di capire quando è il momento di mollare? Attenta, Blanca, che stavolta potresti essere tu quella a farsi male –

– Mi stai minacciando? –
La voce di lei aveva un tono sprezzante.

– Nessuna minaccia, piuttosto un amichevole avvertimento –
Le aveva risposto voltandole le spalle ed incamminandosi per la sua strada.

DON JUAN E ANITA
Giunto a casa di Ferrer, Serrano aveva spalancato le finestre per far rigenerare l’aria satura del profumo di gelsomino di cui era pregna la candela che ancora ardeva davanti all’immagine della Loa. In camera da letto aveva stipato, in una capace sacca da viaggio, qualche effetto personale dell’amico. Prima di andarsene, con un calcio rabbioso, aveva distrutto il piccolo altare collocato sul pavimento.

Due giorni dopo, Serrano e Ferrer, erano ad Hollywood.

“Don Juan”, il film di cui Ferrer era il protagonista si rivelò un fiasco. Il primo della sua carriera.
A contribuire all’insuccesso era stata la sceneggiatura puerile che aveva trasformato quella che doveva essere una storia d’azione in un noioso, sdolcinato minuetto fra “Don Juan” e la sua coorte di donne, mentre invece le sciabolate vere avvenivano a telecamera spenta tra Ferrer e la sua coprotagonista (un’attricetta alle prime armi, amante del regista, bellissima ma priva di qualsiasi talento recitativo) che i due si detestavano senza alcuna cordialità e senza il minimo imbarazzo a manifestarlo. Da cosa fosse generata questa loro ostilità nessuno in realtà lo aveva capito, ma che fosse stato Ferrer a dare fuoco alle polveri non v’erano dubbi. Fin dall’inizio aveva fatto rimostranze sull’aspetto fisico di lei non trovandola consona al personaggio di Anita, essendo la storia ambientata in Messico, si presupponeva che la protagonista dovesse essere bruna di pelle e di capelli, e non certo una pin up rossa e lattiginosa, di chiare origine irlandesi.

– Sono americana. Del Texas – Aveva puntualizzato piccata Dorothy Turner
– Sarete anche americana ma non siete adatta alla parte di Anita. –  L’ostilità di Ferrer era tangibile.
– Neppure voi per quella di “Don Juan” siete troppo vecchio e davvero poco in forma. –
– Forse intendevate dire troppo giovane, visto che Don Juan è un uomo di mezza età. Non solo siete inadatta ma neppure avete studiato il copione. –
– Io posso tingermi i capelli o indossare una parrucca bruna, mentre per camuffare la vostra mollezza non esiste alcun espediente. E ad ogni modo non spetta a voi decidere il cast –
– No di certo… quando è affare di famiglia –
– Ma come osate! – Aveva sibilato inferocita  Dorothy con uno spiccato accento texano e con le unghie snudate pronta a saltargli in viso, trattenuta a stento da Serrano che, attratto dalle voci concitate, s’era fatto sulla porta a sedare la discussione.

– E per di più avete una dizione è tremenda: il vostro accento è orribile – Aveva concluso Ferrer, con sprezzante sarcasmo
E, a quell’ultima ingiuria, Dorothy Turner era scoppiata a piangere tra le braccia di Serrano.

Durante i lunghi mesi delle riprese non c’era stato giorno senza che una qualche incomprensione  accendesse tra i due la miccia.
Vero che Dorothy era assolutamente priva di un qualsiasi talento al di fuori di quella sua strepitosa, ingombrante bellezza, con quella fisicità che s’imponeva come unica attrattiva in un film mortalmente noioso e dalla trama prevedibile, dove anche tutti gli altri attori, fuorviati dalle continue dispute tra Ferrer e la Turner, recitavano svogliati, insensibili alla esigenze del copione e alle urla del regista.
Molto più imprevedibile, invece, la storia parallela che andava in scena, tra una ripresa e l’altra, tra i due attori principali che quando non s’ignoravano s’insultavano. E, in questo campo, Ferrer s’era rivelato estrosamente imbattibile, che mentre lei palesava il suo disprezzo nei suoi riguardi in maniera convenzionale, ricorrendo, secondo il caso, al pianto o all’isteria, lui lo faceva in maniera sottile e ferocemente subdola, come quando dovendo girare la scena di un bacio, per dimostrare il suo disgusto, platealmente s’era umettato le labbra con un tovagliolo intriso di whisky, scatenando le ire di lei.
Dopo quella volta Dorothy s’era rifiutata di girare con lui sequenze così intime e così s’era fatto ricorso alla controfigura di Ferrer, un atletico spadaccino ingaggiato per le scene di duello, quelle più spericolate, per non compromettere la guarigione del braccio fratturato dell’attore che, nel lungo periodo della terapia, aveva preso chili che non riusciva, o meglio, non gli importava di smaltire. Quella mollezza che Dorothy aveva rilevato al loro primo incontro/scontro, e che andava inesorabilmente cancellando dai suoi lineamenti l’immagine, sensuale e fiera, di un dio azteco.

Inutilmente Serrano aveva cercato di convincere il regista, (un giovane di origini polacche dal cognome impronunciabile, che s’era fatto nomea di “visionario” e “sperimentatore” grazie a due film di basso costo, due piccoli capolavori colmi di future promesse) a licenziare l’attrice con un’ingente buonuscita da lui stesso elargita, ma senza riuscirci perché lei mirava alla gloria più che alla ricchezza, che quella, grazie alla sua portentosa avvenenza, se la sarebbe potuta facilmente procurare.

– Se mandate via Dorothy vado via anch’io. Un punto, questo, che non si discute – Aveva puntualizzato con voce ferma il giovane regista pronto a rinunciare alla gloria per l’onore della sua  Musa.

– Non sa recitare, è evidente. Ed è incompatibile con Ferrer, il cui nome dà lustro al cartellone –

– Dorothy è adattissima alla parte… se solo Ferrer non le fosse così ostile. E’ lui che dovreste decidervi a licenziare. Spesso arriva sul set abbrutito, ubriaco o in stato di sonnambulismo. Tutta la troupe lo può testimoniare. Dovreste parlargli. Magari a voi darà ascolto perché a me non ne dà. Di certo il suo malanimo verso Dorothy non facilita le riprese. –

E così Serrano aveva convocato Francisco nel suo ufficio e lo aveva messo alle strette.

– Modifica i tuoi intollerabili comportamenti, Francisco, o sarò costretto a sostituirti. Esigo che tu giunga sul set sobrio e nello stato migliore. E cerca di dimagrire. Risparmia al pubblico, se non a te stesso, lo spettacolo della tua trasandatezza. Ho investito in questo film un bel pò di quattrini e si sta rivelando, invece, un disastro. Cerchiamo di salvare quello che si può. –

– Vuoi sostituirmi? Fallo pure! Io sono arcistufo di quell’oca che non sa profferire una battuta e sculetta come fosse su una passerella di un qualsiasi concorso di Miss. Ma sono stufo anche di te, Arturo, dei tuoi opprimenti sermoni e della tua pretesa di dirigere la mia vita. –
Ferrer, furioso, fronteggiava l’amico  sfidandolo

– Vuoi sostituirmi? Accomodati! –

Ferrer non era stato sostituito.
Il film s’era confermato un fiasco.
Il produttore e l’attore avevano fatto rientro a Santo Domingo su due voli diversi.


CAPRICCI DA STAR

Ad attenderlo all’aeroporto Ferrer aveva trovato Blanca Gil, che nel lungo periodo della sua assenza pure s’era data un gran da fare per pervenire alla verità sull’accaduto, senza però alcun risultato, che Serrano, prima di partire, prudentemente aveva attivato un’impenetrabile rete protettiva a salvaguardia dell’intera vicenda, allo scopo d’impedire di pregiudicare, con una pubblicità negativa, il film di cui Ferrer sarebbe stato protagonista.
Salvaguardare l’onorabilità dell’attore equivaleva a proteggere anche i suoi stessi interessi, seppure questo gli era costato una cifra considerevole e dovuto contrarre qualche debito di riconoscenza.
Ed era stata questa richiesta di favori la cosa più odiosa a cui Serrano s’era dovuto sottomettere e che il suo carattere, schivo ed orgoglioso, profondamente aborriva, motivo per cui s’era trovato a covare un fondo di risentimento nei confronti dell’amico. Irritazione che però non gli aveva impedito di espletare in modo impeccabile il compito che s’era prefisso: rendere Ferrer irraggiungibile da Blanca Gil e nel contempo tenerlo all’oscuro di ciò che a Santo Domingo andava accadendo. Mentirgli, se il caso lo richiedeva, seppure l’ambiguità e le menzogne non rientravano nel suo modo d’agire, in questo caso particolare vi si sarebbe adeguato, che la faccenda era così delicata che sarebbe bastata una semplice svista per precipitare nello scandalo. D’altro canto, nelle condizioni psicologiche in cui Ferrer versava, i ragionamenti logici s’erano dimostrati fallimentari. Nessuna collaborazione da parte sua ma piuttosto un crescendo d’ostilità sfogata talvolta in maniera adolescenziale, capricciosa e irrazionale, cattiva ed ingiuriosa. La troupe, abituata ai capricci delle star, e completamente ignorando le motivazioni vere da cui scaturivano i comportamenti dell’attore, aveva vissuto queste sue insensatezze come fatto normale, divertendosi perfino e parteggiando, secondo le simpatie, per Ferrer o per la Turner. L’attore, per la sua arguzia e le sue sottili crudeltà, riscuoteva un successo personale che molti dello staff, pur trovando odiosi i suoi cinici sberleffi nei confronti della partner di scena, erano preferiti di gran lunga alle scene drammatiche di lei, che assolutamente priva di fantasia ripeteva lo stesso copione, quello delle invettive, delle lacrime e delle porte sbattute. Ma qualcuno dello staff, pur trovando noiose queste sue performance, s’era provato a consolarla, trovando nel pretesto di un abbraccio, la possibilità di saggiare, con un contatto fisico più diretto, quella sua sensuale burrosità. Gesti contenuti che però avevano scatenato la gelosia del regista, e dopo il licenziamento in tronco di un cameramen e poi di un elettricista, nessuno s’era più azzardato nell’impresa. Scene madri, quelle della Turner, che lasciavano invece indifferenti, o stizzite, tutte le altre donne della troupe, dalle altre attrici alle addette ai lavori, che pur trovando sgradevole il comportamento di Ferrer nei suoi riguardi, non le avevano mai manifestato solidarietà. Né amicizia. La sua totale mancanza di talento artistico, contrapposto a quella sua bellezza mozzafiato, esplicitava in modo palese le ragioni per cui le era stato affidato il ruolo di protagonista. E la gelosia ossessiva del regista lo attestava, tanto che sembrava quasi essere grato a Ferrer della sua ripugnanza nei confronti di lei, unico uomo a respingerla, a non esserne attratto, quando tutti gli altri, invece, se la sarebbero voluta portare a letto. Motivo per cui, il regista, non aveva mai chiesto a Serrano di sostituire Ferrer.

BLANCA 
Blanca Gil lo attendeva con una rosa rossa in mano e una bottiglia di champagne nell’altra.

– Cosa dobbiamo festeggiare, Blanca? –
Le aveva domandato lui in tono sarcastico.

– Il tuo ritorno, Francisco. –
Aveva risposto lei baciandolo lievemente sulla bocca. Ma lui s’era scansato infastidito.

– Non c’è nulla da festeggiare. E anche se ci fosse non sarei dell’umore giusto. –
Aveva ribadito con avversione.

– Un motivo per bere champagne si trova sempre. E dopo, magari, migliora anche l’umore –
Blanca non era tipo da demordere e così lo aveva preso sottobraccio e condotto verso il taxi in attesa.

– Andiamo a casa mia. Si sta più tranquilli. –
Proposta a cui lui non aveva mosso obiezioni, perché ritrovarsi da solo nel suo appartamento, col fantasma irato di Santa Martha Dominadora, lo atterriva.

Dopo aver consumato una cena leggera, Ferrer s’era fatto una doccia e poi nudo aveva raggiunto Blanca nel letto matrimoniale. Sul comodino di lei campeggiava, su un vassoio d’argento, la bottiglia di champagne e due flute di cristallo.

– Stai mettendo su peso. –
Aveva detto Blanca soppesandolo con occhi critici. Lui le si era sdraiato accanto e lei lo aveva accolto carezzandogli il petto, ma Ferrer, con malagrazia l’aveva scansata via.

La giornalista, niente affatto risentita di quella sua irritazione, s’era fatta di lato per studiarlo più attentamente, riflettendo a voce alta.

– Si, Francisco, non solo stai ingrassando ma hai un colorito opaco e borse sotto gli occhi: un aspetto pessimo. Se è una conseguenza del fallimento del film, ricorda che un flop è quantomeno doveroso nella carriera di un attore di successo. Una cattiva recitazione non pregiudicherà i tuoi successi futuri. Ma la devastazione fisica, si. E tu ci sei dentro, amico mio. Ed è una pena constatarlo. Ma non credo che siano stati i mancati incassi di botteghino a produrre questa tua brutta trasformazione, quanto piuttosto una donna. Forse la piccola, glaciale, Celeste Petit? Ci scommetto che è opera sua. Una splendida femmina alfa, quella. Ci avrei perso la testa anch’io e volentieri mi sarei fatta fottere da lei, e non solo in senso letterale. Non ho mai creduto alla storia messa in giro dal tuo amico Serrano, ad uso e consumo della stampa, del tuo ritorno di fiamma per Josette. A proposito dovrò aggiornarti su di lui e le più recenti vicende di nostri comuni conoscenti. Ovviamente le mie informazioni vanno oltre le verità di facciata, ed hanno un prezzo. Mi sono data molto da fare per te quando eri ad Hollywood, e con gran fatica, che Serrano è stato magistrale nel sigillare qualunque accesso potesse condurre a te, rendendoti irraggiungibile. Ed invisibile. E’ un uomo diabolico! –
L’ultima frase, intenzionalmente, l’aveva pronunciata in tono ammirato. Poi s’era accesa una sigaretta e aveva aggiunto sibillina: posso aiutarti a fare i tuoi interessi, a riprenderti ciò che era tuo, o che speravi lo fosse, e che con l’inganno ti è stato sottratto. Ma per tutto questo c’è un prezzo da pagare.

Ferrer, a quelle sue parole che sapevano più di minaccia che di promessa, s’era riscosso dal suo torpore e con inaspettata violenza l’aveva afferrata per le braccia strappandole un gemito di dolore.

– Cosa intendi dire? Se sai qualcosa parla! Non sono in vena di risolvere enigmi. –
D’improvviso era diventato ferino. Minaccioso. Dominato da una brutalità istintiva, dirompente, alimentata dalle notti insonni e da quelle etiliche. Stringeva le braccia della donna con forza selvaggia, cosicché lei, sopraffatta, lo aveva implorato di allentare la presa. La sua voce vibrava di paura e di odio. Ma la paura aveva un’intensità maggiore.

Ferrer, stupito da quell’implorazione s’era ritratto, rintanandosi nel suo angolo di letto. Blanca, sconvolta da quell’umiliazione che s’era auto inferta, quando l’aveva liberata lo aveva schiaffeggiato, insultandolo. Lui non aveva reagito: s’era girato di fianco e aveva chiuso gli occhi.
Ma lei, di nuovo padrona del campo, non mollava la presa, verbalmente mortificandolo e psicologicamente assalendolo in un crescendo d’improperi, e indotta poi al silenzio dai singhiozzi proveniente dal lato del letto di Ferrer.
Era la prima volta che lo vedeva piangere. Sconvolta da quella sua vulnerabilità così impudicamente esibita, e sfinita dalla sua stessa furia, Blanca s’era finalmente chetata, scivolando nel buio profondo di se stessa e poi in quello di Ferrer. Era sgusciata verso di lui e lo aveva abbracciato di spalle.

PHILIPPE E CORALIE
Erano diverse notti che Coralie vegliava al capezzale di Philippe, non fidandosi di lasciarlo in custodia a nessun altro, neppure agli infermieri che il consolato aveva messo a sua disposizione, e che avrebbero dovuto alternarsi in turni a coprire l’arco delle ventiquattro ore. Era esausta, ma pure continuava ad affaccendarsi intorno a quel letto dove Philippe giaceva in stato di coma, misericordiosamente deprivato da ogni sensibilità fisica. L’infermiere di turno dormiva su un divano in fondo alla stanza mentre lei andava rimboccando le coperte al figlio, seppure non ce ne fosse bisogno che da giorni giaceva immobile nella stessa posizione. Si era chinata poi con la delicatezza estrema di una farfalla per auscultargli i battiti del cuore talmente lievi, quasi impercettibili, che per riuscirci aveva costretto tutti gli altri suoi sensi ad ammutolire a favore dell’udito. Nella stanza buia si muoveva con la sicurezza percettiva di un cieco, anche se nello spazio circoscritto nel perimetro del letto non c’erano mobili e nessun altro oggetto a far da barriera,  ma solo la piccola poltrona su cui lei, quando era troppo esausta, riposava per brevi momenti, e che di proposito l’aveva voluta scomoda, così da non indugiarvi a lungo e cedere alle lusinghe del sonno. Aveva poi sfiorato la fronte di Philippe che le era parsa più fredda del solito. Anche le labbra nella trasparenza del volto, sotto le ciglia di brina, risaltavano di un blu più intenso, quasi violetto. Con gli occhi asciutti Coralie era scivolata nel letto accanto al figlio, non per rianimarlo, come era accaduto altre volte, col calore del suo corpo ma per assorbire il gelo da quello di lui.