RITRATTO DI FAMIGLIA IN UN INTERNO 

PETIT FLEUR
Fleur,  dal canto suo, era del tutto inconsapevole di essere la causa dello smarrimento dei sensi di Francisco Ferrer, per il quale, a dire il vero, non provava sentimenti particolari se non quelli camerateschi dell’amicizia. Indubbiamente gli piaceva, era diverso da tutti gli altri frequentatori della sua casa (amici…no, non ve ne erano, o almeno non si sentiva di definire tali i pellegrini di ogni risma, nazionalità e cultura, che ne affollavano le stanze e i corridoi: imbonitori, scienziati, veggenti e stregoni, procacciatori d’illusioni, fattucchiere, ipnotizzatori e praticanti delle medicine alternative e, in ultimo, perfino una medichessa bretone specialista nel vivificare i moribondi attraverso la terapia soft delle pratiche sessuali.

Francisco era divertente, stravagante, paziente. Soprattutto attento ai suoi desideri. Ecco, questa sua attenzione era la cosa che più la gratificava, ponendola al centro del mondo. Una sensazione per lei nuova, inebriante. Era sicura che se gli avesse chiesto la luna lui gliel’avrebbe data, ed innocentemente, senza indagare i motivi per cui Ferrer, un perfetto sconosciuto, avesse così tanto a cuore la sua felicità, si sentiva paga di quell’affetto che percepiva dirompente e straordinario, trattenuto solo dalle formalità societarie. Su questo specifico aspetto, però, non s’era mai  soffermata a riflettere, ritenendo quelle formalità noiose ed inevitabili, senza avvertirne troppo il peso o il desiderio di rivoluzionarle, che la sua vita scorreva su un nastro di raso senza scossoni di una qualche entità, o traballamenti che ne potessero mettere a repentaglio l’equilibrio. Una vita, a dire la verità, molto circoscritta all’ambito domestico, che nonostante la loro posizione sociale, le figlie del console Petit erano praticamente estranee alla vita pubblica. Pochissimi gli amici e ancor meno le occasioni di divertimento, che non costituivano però motivo d’insofferenza, perché mentre Celeste, la regina delle nevi viveva, per sua volontà, reclusa nel suo cristallino palazzo di ghiaccio all’interno di una snowglobe, Fleur, di quel mondo esterno, caotico e incoerente, non ne aveva invece alcuna consapevolezza, perdurando ancora nella stagione di un’infanzia illecitamente protratta dall’affetto squilibrato della sorella maggiore e dall’ansia ossessiva delle due nonne.

Così, al tempo in cui Ferrer l’aveva conosciuta, Fleur era ancora ferma al tempo dell’infanzia: Petit Fleur, come veniva affettuosamente chiamata nel suo entourage.

NEL NOME DEL FIGLIO
 Fleur era stata concepita in una notte d’insensato ottimismo, quando Coralie, assecondando le direttive di un guru itinerante, mozzo su una nave ed esperto in astronomia previsionale, che aveva individuato la causa della malattia del suo secondogenito in uno scompenso planetario verificatosi al momento del concepimento (un’eclissi remota, una tempesta magnetica, o la caduta di un frammento di meteorite in qualche area depressa del pianeta), un cataclisma che aveva generato caos nel karma del nascituro, nato singolo ma con le stigmate del gemello, e così per rimediare a quell’inganno occorreva che lei partorisse un nuovo figlio, quel gemello mancato, del quale Philippe Marie Hippolyte portava la tara.
Coralie, la notte del concepimento di Fleur, s’era data senza pregiudizi, e senza morale, ad Armand, con l’entusiasmo caotico ed impacciato di una vedova che accoglie di nuovo, dopo un tempo immemorabile, un  uomo nel suo letto. Dal canto suo, Armand, aveva creduto quella notte di aver ritrovato la donna che un tempo lei era stata, moltiplicata però per mille dal fervore sessuale con cui gli si era concessa, decretando così la fine quel purgatorio a cui lo aveva condannato esiliandolo dal suo letto.

Armand non poteva certo immaginare che quel kamasutra appassionato era unicamente finalizzato al concepimento, neppure quando lei nello sconvolgimento della  febbre dell’orgasmo aveva invocato il nome del figlio anziché il suo.
No, mai avrebbe potuto sospettare che in quell’amplesso coniugale si era consumato, invece, un incesto.

 

CELESTE, FLEUR E “IL VAMPIRO”
Poco dopo la sua nascita sua madre aveva smesso d’interessarsi a lei tornando ad occuparsi esclusivamente di Philippe e lasciandola interamente alle cure precarie di Celeste, di pochi anni più grande di lei. Armand, prendendo atto con notevole ritardo del disinteresse della moglie alle sorti delle figlie, aveva delegato la madre e la suocera a farne le veci. Compito che le due nonne svolgevano con inflessibilità e ruvida tenerezza, esplicandolo con stili diversi, che la nonna paterna mostrava apertamente la sua riprovazione verso la nuora che aveva abiurato al suo compito di madre, e la nonna materna, invece, che ne tentava una difesa, sia pure poco convincente, non approvando lei stessa il comportamento della figlia. E così, in questo stato di guerra fredda, avvenivano continue scaramucce di varia intensità fra le due generalesse, che quasi sempre terminavano con la resa momentanea della nonna color panna che stremata lasciava all’altra l’ultima aspra parola che andava però ad infrangersi contro il muro di silenzio di Coralie.
Quello stesso muro che invece si sbriciolava come mollica di pane all’arrembaggio dei ciarlatani e dei  mediconzoli a cui lei docilmente si arrendeva, senza apporre alcuna remora né resistenza, perché tutte le sue energie e i suoi desideri erano  convogliati al capezzale di Philippe “il vampiro”, il soprannome col quale Celeste, senza alcun affetto, lo aveva ribattezzato.
“Il vampiro” per quel suo pallore cadaverico e il gelo perenne nelle sue vene, che giaceva inerme nel suo letto come in una bara, sotto strati di coltri da cui non traeva alcun calore, in attesa del tocco della mezzanotte per consumare il suo pasto di sangue, e sbirciare poi per un breve momento il mondo dei vivi e ricavarne l’illusione di farne anch’egli parte.

“e mamma, presagendo il suo bisogno di cibo, sorridendo gli offriva il suo bellissimo collo bianco affinché lui potesse nutrirsi del suo sangue”

Terminava così la favola nera che Celeste raccontava a Fleur.
Quello era il suo sfogo quando il rancore per quel fratello irreversibilmente malato, ma privilegiato dall’esclusiva dell’amore materno, diventava insostenibile. Perché lei, a differenza di Fleur, abiurata alla nascita quando non s’era compiuto il miracolo per cui era stata concepita, aveva invece goduto, anche se per un tempo brevissimo, del calore delle su braccia. E della dolcezza materna di quel periodo remoto prima della venuta al mondo del vampiro, ne conservava con feroce, inconfessabile gelosia, il ricordo. E la nostalgia.
Seppur mai lo avrebbe ammesso.
Come mai avrebbe confessato il desiderio insensato di essere lei la figlia malata, così avrebbe goduto per sempre di quell’amore esclusivo, senza provare  alcun senso di colpa per quello che sarebbe stato un suo incontestabile diritto. Stringeva i pugni e ricacciando indietro le lacrime abbracciava Fleur: tu non dovrai temere mai nulla perché con te ci sarò sempre io.
Questa rassicurazione, che pure s’era dimostrata vera, aveva permesso a Fleur di sviluppare un carattere felice, predisposto all’ottimismo e al buon umore, e alla fiducia nel prossimo. Tutto questo nonostante il ripudio materno, la convivenza con “il vampiro”, la ferrea vigilanza delle due nonne, e gli strani, spesso inquietanti visitatori che, in attesa di far visita  al fratello, invadevano le stanze di quella loro casa da cui il padre, invece, s’andava allontanando. E non solo in senso metaforico.

STORIA DI UN NAUFRAGIO
Armand Petit progettava d’imbarcarsi su una nave qualsiasi diretta anche all’inferno purché lontano da quella sua vita. Proposito che gli sarebbe riuscito se non fosse stato per le tracce involontariamente disseminate di quel suo intento, e che non erano sfuggite a sua madre, la generalessa caffellatte: il cuscino del suo letto intriso dalle lacrime crude della solitudine; il riflesso malinconico del suo viso impresso nello specchio; l’assenza della sua ombra, già in attesa sul molo.

Ma era stato il fagottino dei ricordi, rinvenuto nel fondo di un armadio, a darle definitiva conferma sulle intenzioni del figlio. Così la notte stabilita per la fuga, Armand, aveva invano frugato nell’armadio alla ricerca di quel suo cartoccino, senza riuscire a trovarlo, e già s’era risolto, con una stretta al cuore, di partire senza quello, quando sua madre s’era materializzata sulla soglia con in mano l’oggetto dei suoi desideri
– Era questo che cercavi Armand? –
Aveva chiesto con tono neutro porgendogli il pacchetto
– Stai tranquillo non manderò all’aria il tuo progetto. Non farò nessuna reprimenda né ti sculaccerò, seppure ne avrei la voglia e il diritto, che questa tua ultima è davvero grossa. Ma ti lascerò andare e manterrò il segreto, solo spiegami a cosa ti serve trascinarti dietro questo ingombrante bagaglio pieno di tutto quello di cui vorresti, invece, disfarti. Non credi che possa esserti d’intralcio? Rallentarti. Indurti al ripensamento. Al rimorso. Alla nostalgia. Al pentimento. Se vuoi andartene fallo da uomo libero, senza legami. Semmai si può definire libero un uomo che fugge –
Armand, allora, non era riuscito a trattenere le lacrime
– Non ce la faccio più a vivere questo inferno, mamma. Coralie è ormai un’estranea e i miei figli pure. Io stesso mi sento un impostore simile ai tanti che bivaccano nella nostra casa, ma a differenza di quelli non ho nessuna formula miracolosa che possa guarire Philippe dal suo male e mia moglie dalla sua follia. Ho dato tutto quello che potevo dare, e così non è rimasto più niente. Nulla che possa giustificare la mia permanenza qui –
L’ultima frase, Armand, l’aveva pronunciata in un sussurro.
– Hai ancora il tuo cuore, lo testimonia questo fagottino che hai confezionato con così tanta cura per preservarne il contenuto: carne viva e non reliquie. Devi reagire, Armand, smetterla di compiangerti e prendere in mano le redini della tua famiglia. Te ne saranno tutti grati. Perfino Coralie. Lei si è imbarcata prima di te su quella nave a cui tu aspiri, ma ha fatto naufragio e ha ormai quasi perso la speranza che tu vada a salvarla. La fuga è una strada solitaria, lungo la quale ci si perde: la tua vita è qui e devi accettarla. Philippe è malato, ma vivo, inducilo a varcare la soglia di quella sua stanza sigillata e tagliare il cordone ombelicale con sua madre. E forse rinasceranno entrambi. Eppoi ci sono le tue figlie disconosciute, Celeste che la malattia del fratello ha reso orfana, e Fleur, abiurata perché non ha compiuto il miracolo per cui è stata concepita. Ma nonostante tutto lei ha un carattere felice e un’innata propensione alla vita. E’ l’unica sana in questa famiglia di pazzi. E va preservata. Se cercavi un motivo vincolante per poter rimanere, ecco, te l’ho appena fornito. Ora vado a dormire, spero di vederti domattina a colazione. Se così non fosse ti auguro buon viaggio –
E senza dargli il tempo di replicare era uscita dalla stanza.
La mattina dopo, Armand, sedeva al suo solito posto al tavolo della colazione.

Non fuggire, però, non sempre significa rimanere, e dopo i primi maldestri tentativi di una riconciliazione con quella che era la sua vita, Armand aveva definitivamente abdicato al suo ruolo di capitano di quella nave dove la ciurma, pur senza entrare in stato di ammutinamento, non gli riconosceva nessun grado e nessun ruolo, e così la sua unica occupazione, espletata per lo più nel chiuso della sua cabina, consisteva nel redigere il diario di bordo, ma dal momento che la realtà non lo soddisfaceva, vi andava annotando fatti di pura immaginazione, ascrivibili ad un mondo parallelo dove Philippe non era affatto malato ma sanamente scapestrato quanto lo sono i ragazzi della sua età; Celeste e Fleur , erano le giovani più invidiate ed ambite di Santo Domingo, in virtù della loro posizione sociale ma, soprattutto, della loro abbagliante bellezza; Coralie, nonostante gli oneri della vita famigliare e quelli della rappresentanza, pure trovava il tempo per rinnovare gli incanti della luna di miele.
Ma non sempre questa trasposizione gli riusciva, che con la realtà, nonostante i suoi tentativi di fuggirla svicolando per corridoi secondari e stanza segrete, suo malgrado ci s’imbatteva: lo sguardo accusatore di Coralie; la camera sigillata di Philippe; la folla invadente dei pellegrini; la solitudine in tutto quel rumore.
E nessuno che venisse a salvarlo.

L’ASSENZA DI FLEUR
– Ma io non voglio affatto guarire, Arturo, soprattutto se guarire significa non provare più sulla mia pelle viva la struggente percezione della sua assenza. L’assenza di Fleur. Solo a pronunciare il suo nome mi emoziono. Non puoi chiedermi di rinunciare anche alla sua assenza. E sono trascorse già tre settimane dall’ultima volta che l’ho vista. Devo escogitare qualcosa affinché possa incontrarla. –
Francisco Ferrer, esausto dopo la notte insonne, s’era lasciato cadere su una poltrona
– Maledizione, Francisco, ma l’hai vista? E’ ancora una bambina! –
Aveva esclamato Arturo Serrano, esasperato dall’ostinazione dell’amico
– Se ha le mestruazioni è una donna! –
E con quell’affermazione categorica Ferrer aveva troncato il discorso.

INCONFESSABILI DESIDERI SEGRETI 
Troncato il discorso ma non le speranze, che già s’apprestava alla consueta ronda di perlustrazione nei luoghi dove immaginava potesse  “casualmente” incontrarla, che la fortuna, quel giorno, gli aveva teso la mano facendolo imbattere in Ermelina Hortega, reduce da un faticoso giro di acquisti (una voluminosa sporta) e alla disperata ricerca di un taxi, quel giorno introvabile. Premurosamente, Ferrer, le aveva offerto il suo aiuto.
–  Ermelina, permettete che questa la porti io –
Le aveva detto togliendole di mano il bagaglio degli acquisti, sperando in cuor suo di non incrociare nessun taxi per avere modo di estorcerle, in un tet a tet, informazioni su Fleur.
Ma Ermelina era ben disposta a parlare, e così lo aveva messo a parte del suo progetto di organizzare una festa a sorpresa per il sedicesimo compleanno di sua nipote Delicia, cugina carnale di Celeste e di Fleur, in quanto una delle sue figlie aveva sposato il fratello maggiore del console Petit.
A stento dominando i battiti furiosi del suo cuore, Ferrer s’era offerto d’aiutarla nei preparativi.
Ermelina, a questa sua proposta, era quasi caduta in deliquio.

La prospettiva di rivedere da lì a breve Fleur era stato per Ferrer un fenomenale antidoto contro l’insonnia, un miracoloso ricostituente che lo aveva ritemprato non solo nello spirito, ma anche nel fisico, che ora rifulgeva di una bellezza inedita, più languida e remissiva, così come trapelava dalla gestualità divenuta più morbida, quasi quieta, e dallo sguardo che da rapace s’era fatto di colomba.
Cambiamenti che non erano sfuggiti a Blanca Gil che gli aveva chiesto, tra il serio e il faceto, chi fosse la maliarda che aveva trasformato la tigre in un gattino.
– Nessuna. E per un periodo non ve ne saranno. Ho deciso di prendermi un anno sabbatico –
Le aveva risposto ridendo Ferrer
– E Josette lo sa? –
Aveva domandato, in tono mellifluo, Blanca
– A Josette non devo alcuna spiegazione. Tra noi è finita –
Il tono tagliente della sua stessa voce aveva sorpreso lui per primo, che subito s’era affrettato ad aggiungere con studiato cinismo: se ci stai facendo un pensiero lascia stare, a Josette piacciono gli uomini.
– Quanta sicumera in questa tua affermazione con cui dai per scontato che tutti noi sappiamo con certezza cosa davvero ci piace o non ci piace. Un’asserzione netta, che non tiene però conto di quei nostri inconfessabili desideri segreti. Un’affermazione volutamente fuorviante –
Quest’ultima frase, Blanca, l’aveva pronunciata guardandolo dritto negli occhi
– Cosa intendi dire? –
Le aveva chiesto lui di rimando, trattenendola per un braccio
– Quello che hai inteso –
Aveva risposto beffarda, liberandosi dalla sua stretta.

CONTRASTI. E SENTIMENTI
Di veri contrasti con Blanca non ne aveva mai avuti, la loro intesa basava sulla complicità anziché sull’amicizia, sulla spartizione piuttosto che sulla condivisione: l’equivalente di un bottino equamente ripartito.
E questo implicava che fra loro non vi fossero zone d’ombra.

Eppoi Blanca inspiegabilmente piaceva a Sebastian, il figlio undicenne di Ferrer, un ragazzino scontroso, difficile da trattare, nei riguardi del quale, per questo motivo, lui stesso, in continuo affanno psicologico, nutriva sentimenti contrastanti.
Ma con Blanca, invece, Sebastian spontaneamente si lasciava andare, smetteva la mimica dell’accigliato, perfino rideva con la risata cristallina dei bambini.
E  così, Ferrer, s’era convinto dell’idea che tutte le donne, anche quelle che hanno rinnegato la loro prima natura, sono soggette all’istinto materno.
Vederli assieme, la donna mancata e il bambino smarrito, sempre gli struggeva l’anima di tenerezza e di un vago senso d’impotenza.

EVENTI STRAORDINARI
Ferrer, quel mattino, era arrivato in ritardo all’appuntamento con Ermelina Hortega per ultimare i preparativi a quella festa che si preannunciava come un evento straordinario, avendo egli garantito la sua presenza e quella di svariate personalità dello star system, ma quando era giunto l’aveva trovata in uno stato di prostrazione emotiva, gli occhi lucidi e un fazzolettino premuto sulla bocca a reprimere i singhiozzi.
Premurosamente, allora, le aveva chiesto i motivi di quella sua disperazione
–  La mia agitazione è causata dal peggioramento delle condizioni di mio nipote, Philippe, il fratello di Cleleste e di Fleur. Se dovesse morire il giorno della festa, o quello antecedente, sarebbe una vera tragedia per tutti noi. Soprattutto per Delicia, che dovrebbe rinunciare ai festeggiamenti. –
E, tra le lacrime, lo aveva messo al corrente di quella parte di storia della vita di Fleur di cui lui non sapeva niente. Così s’era prodigato a tranquillizzare Ermelina, in ambasce più per la sorte della festa che per quella del nipote. Sul cinismo della donna, Ferrer, non s’era neppure un momento soffermato
poiché istantaneamente era subentrato quello suo, predominante, avendo intravisto in questa nuova situazione la possibilità di accedere dalla porta principale alla vita di Fleur.
S’era così speso, con promesse impossibili, a consolare la matrona, al fine di accrescerne la dipendenza psicologica, a fronte di quelle sue garanzie incentrate sul niente.
Ma a lei questo bastava.

– Prima cosa occorre sincerarsi delle reali condizioni di salute di vostro nipote. Andate a fargli visita, anzi, permettete che vi accompagni, siete sconvolta e non mi fido a lasciarvi andar sola –

E così aveva varcato la soglia della stanza sigillata di Philippe, pervasa da un calore insopportabile e permeata dal tanfo di urine recondite. E disperazione.
Al suo capezzale una donna pallida dall’aria sfinita, vestita di scuro, che neppure s’era accorta della loro presenza, intenta a frizionare, con estrema cautela, la fronte e il petto del malato.
Solo quando Ermelina le aveva toccato una spalla si era accorta di loro.
A fatica, allora, s’era staccata dal letto dove Philippe giaceva immobile, per salutare l’ospite che per riguardo era rimasto in disparte.

Coralie recava sul volto le tracce di una bellezza bionda, (la stessa di Celeste e di Fleur) che la pena e la disperazione avevano offuscato e reso tragica. Nel volto scarno gli occhi si evidenziavano, nell’alone scuro delle occhiaie, troppo grandi e troppo chiari; la bocca pallida, esangue, arida di sorrisi e di parole; i capelli, malamente annodati, erano prematuramente striati di grigio.

Fuori dalla stanza Ermelina l’aveva abbracciata e poi le aveva presentato Ferrer
– Posso offrirvi qualcosa? –
Coralie aveva chiesto per dovere di ospitalità, ma si capiva chiaramente dai suoi sguardi rivolti alla stanza di Philippe, che avrebbe voluto tornare dentro.
– Una giornata così calda, mia cara…una delle più calde quest’ anno, ma tu non puoi certo saperlo dal momento che esci così raramente –
E già Ermelina si predisponeva ad una chiacchierata salottiera, ma Ferrer, intuendo lo stato d’animo di Coralie, aveva con garbo, per entrambi, rigettato l’invito, adducendo la motivazione di molteplici commissioni e appuntamenti.
– Lo scopo della nostra visita era solo quello di aver notizie sullo stato di salute di vostro figlio –
 Coralie aveva accolto con gratitudine quell’intromissione di Ferrer che abbreviava i tempi della visita permettendole di tornare al capezzale di Philippe.
– Ha superato la crisi e va stabilizzandosi. Il mio Philippe ha un cuore forte e volontà di vivere –
Aveva risposto in modo automatico, come fosse quella una frase ripetuta infinite volte e alla fine mandata a memoria.

Il giorno dopo Ferrer era tornato portando in dono lo scapolare di Santa Martha Dominadora, alias di Marta Guedè, la potente Loa che aveva tutelato il suo Sebastian.
 – Ha protetto mio figlio, proteggerà anche il vostro –
Coralie aveva accolto quel dono con gratitudine, gratificandolo perfino di un timido sorriso, e poi dal fondo del corridoio era apparsa Fleur, che vedendolo gli era corsa incontro travolgendolo con l’impeto di un ciclone
– Francisco, siete qui! –
Aveva esclamato con entusiasmo, e poi prendendolo per mano aveva aggiunto in tono imperativo
– Dal momento che siete qui dovete assolutamente vedere una cosa –

E così lo aveva preso per mano guidandolo fino alla sua stanza dove su un ripiano d’angolo campeggiava una grossa radio.

– Noto con piacere che siete passata dal “program du bal” alla radio. Un progresso notevole –
Ferrer aveva detto divertito

Lei aveva girato una manopola e una cascata di note jazz, erano zampillate di getto e inondato la stanza mentre lei improvvisava passi di charleston.

Era radiosa e leggermente accaldata, la camicetta bianca le evidenziava il busto e i seni ancora acerbi deliziosamente modellati che non avrebbero sviluppato troppo di volume, perché Fleur, di ossatura leggera, aveva il fisico sottile di una ballerina classica.
Istintivamente fece il paragone tra lei e Josette, la sua ex amante, e quest’ultima ne usciva immiserita, apparendogli ora volgare e perfino grassa, con i fianchi larghi e i seni prosperosi di nutrice. Trovava ora  perfino ripugnanti quelle sue peculiarità fisiche che pure lo avevano irresistibilmente attratto.

– Francisco avevate promesso s’insegnarmi a ballare. Spero non vorrete mancare alla vostra parola! –
E così s’erano ritrovati al centro della stanza dove Ferrer indirizzava i passi di Fleur che docile l’assecondava con una serietà commovente. S’era così stabilità fra loro una buona sincronia e mano mano che lei acquistava sicurezza nei movimenti si azzardava in  passi sempre più spericolati, e allora lui la redarguiva per riportarla ad eseguire una coreografia più corretta e meno pericolosa.

– Fate attenzione a non mettere a repentaglio le vostre articolazioni –
Le aveva suggerito Ferrer sinceramente preoccupato, e allora lei lo aveva per gioco provocato inscenando una caduta e trascinandolo con sè.
Rideva Fleur le guance rosee e gli occhi brillanti, mentre lui l’aiutava a rialzarsi, per un momento stringendola tra le braccia, aspirando la bionda fragranza dei suoi capelli e l’odore giallo e dolce di miele di tarassaco che permeava la sua pelle di vergine.
Nello struggimento del desiderio Ferrer l’aveva stretta a sè, respirandola tutta e memorizzandola con i sensi nel tempo breve di quel contatto furtivo, che già sulla soglia s’era materializzata, tempestiva ed inopportuna, la nonna caffellatte.
Ma Ferrer, d’attore navigato si era immediatamente ricomposto, prima ancora che quella potesse fare domande

– Ah siete qui. Coralie mi ha detto della vostra visita, ma non dovreste essere in questa stanza –
Lo aveva redarguito, accigliata la nonna caffellatte.

– Nonna,  è colpa mia, volevo mostrare a Francisco la radio che papà mi ha regalato –
Lo aveva difeso Fleur

– Un regalo fuori luogo per la tua età –
Aveva sottolineato con durezza  la vecchia signora

– Ma è soprattutto a questa età che si ascolta la musica –
Ferrer aveva ribattuto con convinzione.

– Musica  per balli scriteriati. Andrebbero proibiti. A tutte le età! –
Il verdetto perentorio della nonna  non ammetteva possibilità di replica.

Ma pure se quella possibilità gli fosse stata concessa Ferrer non avrebbe obiettato, non per vigliaccheria né per opportunismo, ma perché felicemente predisposto ad amare anche lei, in quanto nonna di Fleur.