A RITMO DI JAZZ
In genere, il jazz è sempre stato simile al tipo d’uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia
(Duke Ellington)

Varcata la soglia della splendida villa di Francisco Ferrer, vennero condotte in una grande sala priva di mobilio, costeggiata da una sequenza di divani blu china ordinatamente addossati alle pareti, e al cui centro, sotto la luce di cristallo di enormi lampadari liberty, una piccola folla di ballerini si esibiva al ritmo di una musica scatenante, cosicché nessuno era seduto ma tutti parevano in preda ad una incontrollabile euforia, dimenandosi in frenetici sgambettamenti che ne mettevano a rischio l’equilibrio.
In un angolo concavo era stato ricavato lo spazio per l’orchestra, al sicuro dalle acrobatiche rotazioni dei piedi dei ballerini.
Fleur, Celeste ed Ermelina, visibilmente impacciate, travolte dal frastuono, arretrarono verso la fila dei divani dove vennero intercettate, nel loro visibile spaesamento, da Ferrer, che subito le raggiunse per rassicurarle con la sua presenza.

Un terzetto, quello delle tre donne, variegato e male assortito, al centro del quale campeggiava Ermelina Hortega, straripante di curve e di sorrisi, vestita di lamè, il cui scintillio induceva l’idea di una corazza piuttosto che di un’argentea seduzione; Celeste sfoggiava una castigatissima tunica cangiante nei toni del turchese, che la sua innata grazia, però, rendeva estremamente sensuale, suscitando, già dal suo ingresso, l’ammirazione di molti sguardi maschili; Fleur, invece, emergeva come un sorridente fiore di campanella dalle balze pervinca di un innocente abito da battesimo (Celeste era riuscita alla fine a spuntarla sulla nonna caffelatte e sulla sua pretesa che la sorella andasse al ballo con la divisa della scuola, ma il consenso per un abito diverso da quello non era riuscita ad ottenerlo).

Ermelina Hortega, alla presenza di Ferrer era ritornata ella stessa una ragazzetta, una coetanea delle due fanciulle sulle quali era preposta a vegliare, ma che completamente dimentica di loro aveva solo occhi per l’attore che l’andava ammaliando con galanterie costanti ma contenute, così come si conviene nei riguardi di una signora non più giovane.
Ma quando l’orchestra aveva attaccato “Yes sir!That my baby” e Fleur aveva iniziato l’incantevole mimica di battere il ritmo con le dita sulle ginocchia, con un piccolo inchino aveva  porto la mano alla ragazzina invitandola a ballare.

– Non conosco i passi – Si era schernita lei
– E’ jazz. S’improvvisa! – Aveva esclamato Ferrer guidandola verso il gruppo dei ballerini che si dimenavano in un parossismo collettivo.

S’improvvisa!
Non sapeva Ferrer che l’improvvisazione, da quel momento in poi, avrebbe costituito la costante della sua vita, ma seppure lui che poteva imporre e disporre a suo piacimento, perfino condizionare e modificare storie e destini, che la fama pure dà questo potere, ne avesse avuto la percezione, mai se ne sarebbe rammaricato se quella subordinazione fosse stato il prezzo da pagare per avere Fleur.

Fleur, le gote rosa, deliziosamente accaldata, gli occhi splendenti e le labbra leggermente dischiuse, dapprima incerta, e poi sempre più disinvolta, adeguandosi con naturalezza al ritmo della musica e ai passi di Francisco con così tanta grazia che tutti gli altri ballerini s’erano fatti da parte per poterli ammirare, e alla fine applaudirli.

Ferrer l’aveva allora presa per mano per condividere con lei quell’entusiasmo, e aveva sentito, in risposta a quella sua stretta, la fiduciosa corrispondenza di lei, che lo aveva profondamente commosso. Una sensazione  pura, indescrivibile, la stessa di quando aveva stretto tra le braccia suo figlio Sebastian, col suo peso da uccellino, la testa implume e lo sguardo opaco della prima nascita.
E il cuore, a quel contatto, aveva preso a battergli forte, quasi a dolergli, per quella fragilità così innocentemente esposta, ma che lui, adempiendo ai compiti di padre, avrebbe reso inviolabile.
Lo aveva giurato a se stesso. E a Sebastian. E non volendo confidare solo sulle sue uniche forze aveva  posto al collo del neonato lo scapolare di Santa Martha Dominadora ,la potente Loa domatrice dei serpenti, in grado di piegare al suo volere uomini e situazioni.

L’umido di quel ricordo s’era visualizzato in una lacrima clandestina che l’attore prontamente aveva nascosto dietro l’ala nera del suo ventaglio, che il copione, quella sera, raccontava la storia del suo amore recente per Fleur e non quello doloroso per Sebastian.

Ah, se solo Ferrer avesse potuto scrutare anche per un solo momento nel suo futuro avrebbe ricondotto la piccina alla sorella che dal fondo della sala non aveva distolto, neppure per un attimo, loro gli occhi di dosso, e con umiltà avrebbe pregato Ermelina Hortega, il cui sguardo incoerente, ed instancabile, aveva esplorato tutto il tempo la sala ad intercettare personaggi famosi, di ricondurla a casa che s’era fatto tardi e che il giorno dopo sarebbe stata per lei giornata di scuola.
Ma invece aveva continuato a tenerla stretta per mano e a malincuore, nella pausa dell’orchestra, s’era risolto a ricondurla al divanetto dove erano rimaste in attesa Celeste ed Ermelina.
Questa restituzione la esigeva il galateo ma anche l’accortezza di evitare imbarazzanti pettegolezzi che avrebbero potuto mettere a rischio quella sua futura frequentazione che così ardentemente agognava, e così s’era predisposto ad un agire più controllato e meno istintivo.
Da parte sua, Fleur, non s’era negata ai preliminari di una possibile intesa, flirtando in maniera impacciata ed incantevole, e ridendo divertita alle facezie che lui le andava sussurrando al passaggio di questo o di quello.

ARTURO SERRANO
– Chi è la splendida bionda in turchese? –
Gli aveva chiesto, in tono confidenziale, Arturo Serrano, il magnate e produttore del suo ultimo film, entrato poi a far parte del ristretto, selezionatissimo olimpo degli amici più intimi di Ferrer.
– L’ho invitata a ballare ma ha rifiutato –
– Celeste Petit, la figlia maggiore del console Armand Petit.-
– Presentamela –
– Ti avverto che è inarrivabile –
– Particolare che alimenta maggiormente il mio desiderio di conoscenza –

E così erano avvenute le presentazioni, con la constatazione di Serrano che Celeste Petit pareva assolutamente immune dall’attrattiva delle lusinghe e delle seduzioni, a differenza di Ermelina Hortega in estasi, completamente stregata dal fascino del magnate e dal copione mercenario che andava recitando, che la strategia, facile e scontata, era quella di conquistare l’amazzone in lamè per arrivare all’algida, bellissima regina delle nevi, vestita di turchese, che pure ascoltava per mera cortesia gli intriganti pettegolezzi, e le confidenze truffaldine di quel dietro le quinte che neppure i giornalisti più scaltri erano mai riusciti ad indagare, e che suscitavano i prolungati ohhh di bambinesca meraviglia dell’amica Ermelina. Neppure Fleur s’era mostrata troppo interessata ai segreti delle star cinematografiche, fissava i ballerini al centro della sala e d’istinto aveva sfiorato la mano di Ferrer perché la invitasse di nuovo a ballare. Una richiesta di complicità che l’attore grato, e col cuore in subbuglio, si predisponeva ad esaudire ma che Celeste, cogliendo quel gesto, aveva impedito con un garbato, ma inappellabile: s’è fatto tardi, Fleur, dobbiamo tornare a casa.
Un invito a cui la sorella minore s’era dovuta piegare in silenzio, e raccolto di malavoglia da Ermelina, che visibilmente contrariata aveva obiettato stizzita : alle feste da ballo si va per ballare, ed io non ne ho avuto occasione. Nemmeno un ballo!

– Possiamo rimediare. Neppure voi, Celeste, avete ballato –
Serrano s’era galantemente di nuovo proposto come ballerino
– Davvero, è tardi –
La replica decisa di lei aveva tolto ogni ipotesi di un ripensamento,
– Possiamo almeno, io e Francisco, riaccompagnarvi a casa? –
– Grazie, ma non occorre, abbiamo la macchina del consolato –

JOSETTE
– Te la fai con le bambine ora? –
Josette, palesemente ubriaca, si era materializzata da un qualche sfondo (che ora che Fleur se ne era andata quella festa per lui aveva perso ogni connotazione ed ogni significato) con quell’obiezione irriverente ma che comunque avrebbe posto anche se fosse stata sobria. Negli ultimi tempi tra loro c’erano stato scintille e la gelosia di lei aveva preso il sopravvento, così Ferrer, venutagli a noia, aveva deciso di rompere, ed attendeva solo l’occasione giusta perché a differenza di tutte le altre sue amanti,la bionda Josette (bionda come tutte le altre ma molto meno bionda di Fleur) aveva cominciato ad accampare stupide pretese di possesso su di lui.

Ferrer aveva sempre ritenuto la gelosia un sentimento meschino, ignobile, ma sopratutto inutile. Aveva disgusto delle persone gelose così come di quelle afflitte dal morbo della vecchiaia. Per la prima categoria trovava intollerabili le ossessioni sentimentali e le inevitabili  persecuzioni generate delle ubbie e dei sospetti, sia pure fondati, all’interno di una relazione. La gelosia era per lui unicamente circoscritta ad un ruolo cinematografico, che pure, essendone immune, aveva sempre avuto difficoltà ad interpretare, risultando in quella parte freddo ed impersonale, estraneo al personaggio, come aveva rivelato più di un critico. Per la seconda categoria, invece, si trattava di una vera e propria repulsione fisica. Nutriva genuino disgusto per le carni appassite dei vecchi; per l’opacità delle pupille corrose dal glaucoma ed oscurate dalle cateratte; per il tremito costante delle mani e per il respiro asfittico delle bocche impudicamente spalancate in perenne carenza d’aria.

L’aveva allora presa per un braccio e trascinata dietro un separé dove, senza mettermi termini, le aveva intimato di togliersi dai piedi e senza dare spettacolo, che pure s’era dimostrata pessima attrice nella vita così come davanti la macchina da presa, e se ancora qualche piccola parte le veniva proposta era solo dietro sua intercessione. Josette, furiosa, gli si era letteralmente avventata contro graffiandolo in volto e sfregiandolo con la mezzaluna delle sue unghie laccate di rosso. Un’unghia le si era spezzata e un frammento, affilato come una punta di vetro, s’era conficcato nella ferita prodotta.
Ferrer, accecato dal dolore, l’aveva spinta via mandandola a sbattere contro la parete. Josette s’era accasciata a terra, pallida e con gli occhi sbarrati. Impaurito s’era chinato su di lei per prestarle soccorso ma ecco che la sua amante, d’improvviso rediviva, lo aveva attirato a sé sussurrandogli nell’orecchio: non sono poi una così cattiva attrice. S’era poi sfacciatamente aperta in croce offrendoglisi impudica per sancire la resa, ma lui s’era tirato via e scostandola con la punta del piede aveva detto disgustato: sei solo una puttana. Lei, allora gli si era avvinghiata ad una gamba ma lui l’aveva scalciata via. Josette, per nascondere l’umiliazione, aveva preso scompostamente a ridere, una risata isterica, ma poi quando Ferrer era uscito quel parossismo era tramutato in pianto.

Qualcosa di drammaticamente irreversibile s’era delineato quella sera ma che nessuno dei protagonisti, in preda alle passioni o alle disillusioni, aveva percepito.
Arturo Serrano, su richiesta di Ferrer, aveva riaccompagnato a casa Josette, scarmigliata e febbricitante, in balia del delirio etilico e di quello sentimentale, e nei cui biascicamenti da ubriaca trapelavano lucidissime minacce di vendetta nei confronti dell’ormai ex amante.
Ferrer li aveva visti lasciare la sala provando un sollievo, sia pur momentaneo, per quella faccenda di cui ora paventava la pubblicità che di certo avrebbe compromesso i suoi  ipotetici rapporti con Fleur.
In altri tempi, lo scandalo minacciato da Josette, l’avrebbe trasposto in capitoli di sciropposa letteratura erotico/sentimentale che tanto piaceva al suo pubblico, soprattutto femminile, che pure, nonostante lo stile mediocre e la ripetitività delle trame, decretava il tutto esaurito al cinema come in libreria.
Francisco Ferrer, incarnazione caraibica di un dio azteco, le fans lo assolvevano di tutti quei peccati che al proprio uomo mai avrebbero perdonato: la mutevolezza, l’incostanza, la spregiudicatezza e l’immoralità. Privilegi in un sex simbol ma abiezioni in un comune mortale. Tanto era grande la popolarità che la sua icona era entrata di diritto in una sorta di santeria parallela, dove la sua divinità pagana godeva del patrocinio di Santa Maria Maddalena Penitente, la peccatrice che aveva irretito decine di uomini e in ultimo perfino Gesù, che pure l’aveva perdonata, e stando a taluni scritti apocrifi, fatta sua sposa. Nell’immaginario femminile i colori di questo misterio, protettore della bellezza e della sensualità, erano il rosso vivo (colore della passione), il blu cobalto (quello della virilità), e il bianco, a testimoniare la purezza dell’anima nonostante le intemperanze dei sensi.

Quando Arturo Serrano era tornato alla villa la festa era già terminata, in anticipo e senza lo spettacolo dei fuochi d’artificio.
Ferrer era seduto a terra con un gran numero di calici colmi dai quali beveva a turno e in ordine casuale.
Serrano s’era seduto anche lui sul pavimento e aveva preso un calice che però l’altro, prontamente, gli aveva tolto di mano
– Uno di noi due, compadre, deve rimanere sobrio. E quello sei tu! –
Aveva affermato perentorio puntandogli l’indice contro

– Cosa è accaduto con Josette? Era fuori di sé, non mi riusciva di calmarla, farneticava frasi senza senso e minacce nei tuoi confronti, così in ultimo le ho somministrato un paio di sonniferi, messa a letto e lasciato la cameriera a vegliarla –
– Ah, Josette… Josette… un’attrice mediocre, l’unica parte in cui mostra un qualche talento è quella della puttana: un ruolo di poche battute –
E su questa sua considerazione, Ferrer, era scoppiato a ridere.
– Se non la vuoi più lasciala! –
Aveva esclamato in tono esasperato Serrano
– Davvero… non ti capisco –
Aveva poi aggiunto, dubbioso, scuotendo la testa
– Josette non vuole abdicare, amico mio, e mi sta dichiarando guerra. Ed io non sono pronto. Non ho nessuna strategia. Sono indifeso come un neonato. Guarda cosa mi ha fatto! –
S’era girato verso la luce per mostrare all’amico la guancia deturpata dallo sfregio che lei gli aveva inferto.
– E sai cosa pretendeva, la troia, dopo avermi fatto questo? Che la scopassi! –
Di nuovo quella sua risata remota, senza allegria.
– Questa scioccante rivelazione, compadre, merita che mi scoli anch’io un paio dei tuoi calici –
Aveva concluso con solennità Serrano, servendosi da uno dei tanti disseminati sul pavimento.

BLANCA E FRANCISCO
E come un mastino, Ferrer, aveva iniziato a pattugliare i luoghi presupposti dove si sarebbe potuta materializzare Fleur: la scuola, il palazzetto del ghiaccio dove si andava a pattinare, perfino il luna park, periferico e malavitoso, che di certo a lei non era permesso frequentare. E ancora, in ultimo, e con una certa assiduità, la pasticceria dove l’aveva casualmente incontrata. Quella in particolare, senza però trascurare tutte le altre della città. Ma inutilmente, che dalla sera della festa di lei aveva perso le tracce. Le tracce… ma non l’odore, che pure insidiosamente gli aveva invaso le narici e la gola sostituendosi all’ossigeno.
E così, Ferrer, necessitava di lei anche solo per respirare, soprattutto ora che le sue notti erano diventate solitarie seppur non caste, che per sfuggire al gorgo delle apnee, sintomi di quella nostalgia olfattiva, trovava momentaneo sollievo negli orgasmi autoindotti.
Solo allora, nell’acme invocando il suo nome  ritrovava il respiro e i battiti del suo cuore esausto.
Consumato da quel desiderio che sempre più lo possedeva, dimagriva a vista d’occhio, e questo suo languore non era passato inosservato allo sguardo invasivo di Blanca Gil, giornalista e sua amica di vecchia data, che senza troppi preamboli gli aveva chiesto quale fosse la causa di quel suo visibile deperimento.
– Sono le donne che mi consumano, amica mia –
Aveva risposto Ferrer in tono confidenziale, schermandosi col suo ventaglio.
– Non m’inganni, Francisco, conosco la tua resistenza fisica e la tua tenacia psicologica, quindi deve trattarsi di una sola e di genere alfa, per cui sinceramente ti suggerirei di starne alla larga –
Aveva detto Blanca ridendo. E poi lo aveva baciato sulla bocca.

Blanca e Francisco non erano mai stati amanti né mai lo sarebbero diventati, non solo per il fatto che lei era bruna di pelle e di capelli, ma anche perché le piacevano le donne. Quest’affinità li aveva resi complici prima ancora che amici, al punto da condividere, per un certo periodo, la stessa ragazza.
Nessuno dei due era geloso dell’altro, e questo aveva generato una stima asettica, immune dai contorsionismi di quel sentimentalismo passionale che, al minimo subbuglio, esaspera e si distorce.
Seppur non è esatto dire che tra loro non ci fosse alcuna attrazione, perché pure c’era e della più oscura, quella incestuosa dei gemelli monovulari, esercitata dal richiamo attrattivo di quel doppio che, pure se fisicamente scisso, è percepito come unico.
Incesto a freddo, quel desiderio mirato a un ricongiungimento spirituale piuttosto che all’esplicazione di quell’atto sessuale che, se compiuto, si sarebbe rivelato distruttivo per entrambi.
Non era quindi una questione morale ma mero istinto di preservazione.
In una muta intesa avevano evitato di esplorare quel gorgo, limitandosi a passeggiare sottobraccio sulla sponda più asciutta: lui con il ventaglio tra le mani, lei con una sigaretta tra le labbra, e amabilmente conversando andavano facendo a pezzi l’onorabilità delle rispettive amanti.

Di Fleur, però, con Blanca non ne aveva parlato. Né mai lo avrebbe fatto, consapevole di come lei, di quelle confidenze, se ne sarebbe poi servita. Così, se fino a quel momento la discrezione era stata bandita da quel loro gioco, Ferrer era intenzionato, all’insaputa della sua complice, a ripristinarla, perché gli riusciva insopportabile perfino l’idea che quella potesse, con un qualche diritto, pronunciare il nome di Fleur. Sarebbe stata una profanazione, una violenza. Uno stupro da cui lui l’avrebbe, perfino a costo della sua vita, protetta. Avvolta nello spesso strato di coperte del suo amore, l’avrebbe tenuta segreta, al riparo dalla morbosità di Blanca e da quel loro patto scellerato.
E così avrebbe dovuto trovare un diversivo con cui stornare l’attenzione della giornalista, se non fosse che quel diversivo era stata proprio Blanca a fornirglielo, quando gli aveva chiesto se puntava ad avere come amante la bellissima bionda intravista alla sua festa, scortata da un’attempata matrona e dalla sorella minore.
Il riferimento era a Celeste e non a Fleur.
Ferrer respirò sollevato.

– Ti riferisci alla figlia maggiore del console Petit? –
La domanda di Ferrer era per avere conferma che era proprio di Celeste che Blanca stesse parlando
– Una bellezza mozzafiato. Perfino il freddo, impenetrabile Arturo Serrano, ne è rimasto affascinato. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. E neppure io! –
Blanca aveva sottolineato l’ultima frase con un sorriso esplicito, e subito dopo aveva precisato
– Ovviamente hai tu la precedenza. Saprò aspettare –