Che avrei fatto se non ci fossero state le zie? Proprio non lo so… e dire che non sono vere zie, anzi neanche parenti. Le chiamo così perché in casa nostra ci girano da sempre, almeno che io ricordi. Ma amiche sono, semplici amiche di mia madre già da quando erano ragazze e andavano insieme a passeggiare per il Corso, in gruppo, a farsi guardare dai ragazzi ma, dio ce ne scampi, guai a scambiarci una parola con quei farabutti pronti a saltarti addosso se solo davi loro la minima opportunità. Adesso dicono così, ma non sono mica tanto convinta che la raccontino giusta, perché i loro occhi ammiccano furbescamente e paiono dire tutt’altro. Convinte che io non veda, poco ci manca che si diano di gomito, proprio come gli uomini fanno all’osteria quando assieme mandano giù il vino condito dalle chiacchiere sulle donne.
Che poi non c’è proprio niente di nuovo sotto al sole: io e le mie amiche facciamo più o meno le stesse cose e loro, le vecchie cornacchie, dicono che siamo svergognate, si fanno di corsa il segno della croce e blaterano dio mio che tempi! Ma dove andremo a finire?
E dove volete che si vada a finire? Né più, né meno come voi a mettere al mondo figli, a farli crescere per poi ritrovarsi con le amiche a dire che tempi e dove andremo a finire. E se in mezzo ci sta una guerra, che volete che conti? Non è la prima, non sarà l’ultima, pure se sarebbe meglio lo fosse, ma tanto gli uomini son troppo stupidi per capirlo… dovremmo comandare noi, le donne, per far andare le cose per il verso giusto, questo è poco ma sicuro. Però il padreterno ha deciso diversamente e che siamo matte a volerlo contraddire? Ci mancherebbe!… poi di certo non ti basterebbero i giorni per tirar giù il vagone di pater, ave e gloria che il tuo confessore ti affibbierebbe se solo osassi accennargli un pensiero del genere. No, no, va bene dirgli di qualche vago e confuso pensiero peccaminoso, qualche accenno a certi improvvisi accaloramenti primaverili, restando molto sul generico e facendo finta di non sapere e non capire. Basta che una accenni a certe cose per vederli arrossire, anche di là della grata del confessionale, e sentirli quasi balbettare. A meno che non siano certi… beh ci son quelli che si sente che ci sguazzano alla sola idea di mettersi lì ad indagare sui tuoi pensieri intimi. Ma anche quelli, alla fine, se ci sai fare, te li giri come vuoi, quello che conta è non parlare mai di altre questioni, nulla che metta in dubbio certi preconcetti e luoghi comuni, che allora sì che diventano dolori…
Certo che questo cappotto nuovo è proprio una bellezza! So benissimo di non essere una che agli uomini fa girar la testa, non mi illudo. Ma questo cappotto… beh, mi aggrazia e mi dà un non so che di donna vissuta che mi piace, sì, mi piace molto. D’altra parte tra pochi giorni mi sposo e, di conseguenza, finisco di essere una ragazzina e divento una signora! Certo se aspettavo che quella megera di mia madre si decidesse stavo fresca! Non mi riesce proprio di capirla, mia madre. Deve avercela con me, da sempre, e non mi riesce di comprendere il perché. Quando ero piccola, non faceva che trascurarmi. È vero, questo bisogna dirlo, che tra le malattie degli altri figli, gli innumerevoli aborti, le morti premature di almeno un paio di mie sorelle, era piuttosto impegnata. E capisco pure che, essendo io la primogenita, in casa di un ufficiale dei carabinieri sarebbe stato preferibile che fossi nata maschio. Sarà un caso infatti, ma sul mio certificato di nascita c’è scritto: il giorno 25 giugno 1920, in Roma è nato un bambino di sesso femminile… e se non mi credete ve lo faccio vedere! Ora io non so se è proprio vero che, come dice mia madre, si usasse così a quei tempi; ma ora, che di anni ne sono passati ventiquattro, certo questa cosa fa pensare, no?
Insomma, lei aveva da fare, era impegnatissima e così non ha saputo far meglio che mettermi in collegio dalle suore, che quelle te le raccomando proprio… certe arpie! Pareva ci godessero a distribuire punizioni, botte incluse, come fossero caramelle e confetti. Odiose… e non dico altro! Quando mia sorella, quella ch’era nata dopo di me, poverina è morta m’è dispiaciuto, benché fosse lei la causa prima del mio trovarmi in collegio o meglio, la sua malattia. Allora queste cose le ignoravo, naturalmente. Solo più tardi ho saputo com’erano andate e come, per curarla da quella che dicevano fosse febbre tifoidea, i medici l’avessero avvolta in coperte bagnate e poi distesa in terra, fuori sul terrazzo! Ovviamente era finita in ospedale e la sua agonia era stata piuttosto lunga. Per questo la mamma era stata costretta, diceva lei, a mettermi dalle suore.
Solo che mi ci aveva lasciata lì, anche dopo la morte della sorellina, già. Ma, naturalmente, non mancava la scusa pronta: altre gravidanze, i continui trasferimenti di mio padre imposti dalla sua carriera militare, addirittura la nascita di un fratellino deforme che però era vissuto pochi giorni, per sua fortuna. Non m’hanno mai voluto dire che deformità avesse ed io non ci tengo a saperlo. Quello che m’importa è che alla fine della fiera chi ha pagato il prezzo di tutto sono stata io, che m’hanno quasi dimenticato e sono cresciuta in collegio.
Quando sono tornata in casa era già nato (e, grazie a dio, sopravvissuto) il tanto sospirato maschio ed anche un’altra sorella. Lui un re, lei la principessa ed io l’intrusa ch’era tornata a rompere le uova nel paniere della famigliola felice!
Questa è la verità e allora non sorprende affatto che per la storia di questo cappotto si sia dovuti passare per mille tragedie. D’accordo che siamo in guerra e che le cose vanno come vanno, che non ci sia da scialare, ma insomma quello vecchio di cappotto lo avevamo ormai girato almeno due volte ed era talmente liso che ci si poteva guardare attraverso come fosse di carta velina. Per di più il mio corredo è andato perso, rubato dai soliti sciacalli che hanno approfittato dei bombardamenti per fregarsi tutta la cassa con lenzuola, tovaglie, vestiti e biancheria dalle macerie della nostra casa colpita dalla bomba alleata. E ci mancava solo questo… già è tutto così difficile, specie ora che siamo sfollati e dobbiamo usare qualche stanza in casa d’altri! Ma insomma, ormai questa guerra dovrebbe essere agli sgoccioli: qui da noi ormai ci sono gli americani; sono arrivati dopo le bombe ma ci siamo guardati bene dal ricordagliele… I tedeschi stanno per cedere, Radio Londra lo ripete in continuazione; gli yankee sono troppo ricchi e sfrontati per non vincerla, questo schifo di guerra. Noi non è ben chiaro se l’abbiamo persa o no, visto il casino dell’otto settembre, ma chi se ne… no? basta lasciarci tutto alle spalle e ricominciare, sperando di dimenticare tutti questi orrori.
Alla fine, e dopo liti che non dico, era arrivato il compromesso: lei mi comprava la stoffa e fodera, ma il suo interessamento finiva lì, che me la cavassi da sola per la sarta! Questo era il suo grande regalo di nozze! S’era svenata la signora! E dire che mio padre, come ufficiale dei carabinieri sta di certo meglio, economicamente parlando, di gran parte di quelli che conosciamo. Ma quando si tratta di tirar fuori qualcosa per me, tutto diventa complicato e difficile, per non dire proibitivo.
Insomma, alla storia dei soldi che non bastano non ci credo, come non credo che a suo tempo mia madre fosse troppo presa da altre cose. Il fatto è che non le vado a genio, per qualche motivo. Con mio padre la cosa è chiara: voleva un maschio per primo e così non me lo perdona di averne usurpato la primogenitura. Ma lei, che motivo ha? Invidia forse? Mi pare strano. Non sono così bella. Lei dice che sono lagnosa e, non lo dice ma so che lo pensa, antipatica. Che io mi lagni è vero, ma mi pare di averne più di qualche motivo, no?
Appena tornata dal collegio, ed ero una ragazzetta, sempre con la scusa che lei non poteva starmi appresso, m’aveva affibbiato una specie di fantesca che doveva controllarmi giorno e notte. Dal momento che ero la figlia di un ufficiale dei carabinieri, la cosa poteva anche starci, certo. Però, quello che invece proprio non mi andava giù era il fatto che la mia chaperon fosse una specie di scherzo della natura, una donnetta piccola, brutta e persino gobba, che tutti scansavano come la peste. Per giunta, in ossequio al ruolo per cui era pagata, diventava subito aggressiva e cacciava via in malo modo chiunque mi si avvicinasse (di sesso maschile, ovviamente). Voi direte che, visto l’obbiettivo materno di controllare le mie frequentazioni, era perfetta allo scopo. Perfetta un corno! Uno chaperon che si rispetti deve essere attento e presente, non tale però da scoraggiare le attenzioni di qualche pretendente! Col bel risultato che l’unico ragazzo carino che aveva avuto il coraggio di avvicinarmi era costretto a venire di nascosto sotto la finestra fischiando per attirare la mia attenzione ed io non avevo altro modo di mettermi a suonare il pianoforte rifacendo i motivi che lui fischiava per fargli capire che apprezzavo. Ma più in là di questo non s’era potuto andare e lui, molto presto s’era stancato ed era andato a fischiare, immagino, da qualche altra parte dove in cambio non riceveva solo note di pianoforte.
Ah, giusto il pianoforte! Casomai avessi avuto bisogno di altre conferme, quella del pianoforte è proprio la ciliegina sulla torta. In collegio ho iniziato a studiarlo e, quando sono tornata a casa, me ne hanno regalato uno perché continuassi. Immagino che il vero motivo era che faceva tanto casa signorile averlo in salotto ma, in ogni caso, sempre s’era detto che quella cosa era mia e mia soltanto. Ora che mi sposo mio padre se n’è venuto fuori che è lui che lo ha pagato ed ora, che stanno sulle spese per via della casa distrutta, della guerra e di tutto il resto, devono rivenderlo e quindi posso togliermi dalla testa di portarmelo via con quei quattro stracci che mi sono rimasti. E chi glielo dice ora al mio futuro marito? Lui è convinto che quell’affare venga via con noi e conta tanto sul fatto che io possa dare qualche lezione di solfeggio per arrotondare il suo stipendio di maestro che non ci permetterà certo né agi né, tanto meno, lussi. Temo proprio che ne verrà fuori una bella litigata che, per cominciare una vita coniugale, mi pare perfetta, no? Sbaglio?
Insomma, alla fine devo dire pure grazie alla mamma per quell’acquisto di stoffa e fodera per il cappotto! Ma soprattutto devo ringraziare Armida, la vicina che prima ha convinto mia madre a cacciare fuori i soldi per il grande e generoso gesto, poi s’è offerta di trovarmi una pelliccetta di volpe per mettere un collo un po’ più elegante come suo regalo di matrimonio e, per finire ha coinvolto le sorelle Sordini, due zitelle che fanno le sarte a tempo perso, quando non sono con Armida e mia madre a spettegolare del vicinato, a cucirmi questo benedetto cappotto. E dire che mi sposo d’estate e, di conseguenza, non posso metterlo neanche subito! Ma tanto, con queste premesse, neanche a parlarne di luna di miele o roba del genere!
Vorrei mi vedeste però: sto proprio bene con addosso questo cappotto. So già che farò la mia bella figura quando, al braccio di mio marito, andrò a passeggiare per il Corso. Mi spiace solo che lui non potrà mettersi la bella uniforme di ufficiale che indossava quando l’ho conosciuto. Era ufficiale di complemento e dopo che gli americani sono arrivati a Roma e ci hanno liberati, l’hanno congedato. Pare che non si fidino molto dei militari italiani e, insomma, posso anche capirli anche se, sapessero tutto quello che abbiamo passato col fascismo prima e la guerra poi, capirebbero che siamo ben felici del loro arrivo e tutti siamo pronti a dar loro una mano. Non dico che non ci sia ancora qualche nostalgico che, fosse per lui, ricomincerebbe subito col duce e compagnia bella, ma stanno ben attenti a nascondersi questi fetenti che, se li trovano, per loro non tira una bella aria. E gli altri, tutti quelli che stendevano allegri il braccio nel saluto fascista ad ogni più sospinto e non mancavano occasione di sfoggiare la loro camicia nera, ora fingono di non averci mai avuto nulla a che fare con quei pazzi. Hanno stracciato la tessera del partito per avere la quale avevano fatto carte false e bruciato le foto in cui si pavoneggiavano alle sfilate. Adesso sono tutti antifascisti ed accusano gli altri d’aver collaborato coi tedeschi. A dire il vero quelli che s’erano esposti di più, quelli che più di altri avevano sfruttato la situazione per fare i loro porci comodi, non han potuto riciclarsi. Qualcuno è scappato al nord, qualcuno è incappato in chi era risoluto a fargli pagare certi conti del ventennio, altri si nascondono e aspettano che le acque si calmino e che la gente si dimentichi di loro.
Io non vedo l’ora di cominciare la mia nuova vita. Di avere una mia famiglia e di lasciare la mia che da sempre non mi vuole. So che non ci sarà nulla di facile. Sono momenti duri per tutti. Per me e mio marito sarà ancora peggio, visto che dovremo affrontare tutto da soli. Anche la famiglia dell’uomo che sto per sposare non vuole aiutarci: non gli perdonano d’aver rifiutato di sposare chi dicevano loro. Infatti non verrà nessuno dei suoi parenti al nostro matrimonio. Ma che importa? Siamo giovani, siamo sopravvissuti a tempi veramente bui. Ricominceremo… e poi io ho un cappotto nuovo di zecca ch’è veramente una bellezza e, sono certa, mi porterà fortuna.