Aveva programmato tutto con estrema precisione, persino con un po’ di pignoleria, senza lasciare nulla all’improvvisazione. Ora a Cenerentola il cuore stava battendo all’impazzata: eravamo dunque giunti all’ultimo atto, quello decisivo. E lei stava quasi dando fuori di testa alla sola idea di immaginare la faccia delle sue orribili sorellastre devastate dalla sorpresa e dalla rabbia di vedere proprio lei, la sguattera umiliata ed offesa di casa, finire tra le braccia innamorate del principe.
Non era stato per nulla semplice organizzare tutta la faccenda. Intanto c’era stata una fata da convincere perché le desse una mano con le sue magie. Diciamo che era stato necessario prometterle che, una volta andata in porto la questione, per lei ci sarebbe stato un posto privilegiato tra i vari maghi accreditati a corte. Anche la questione dei topi e della zucca non era stata per niente semplice: non tutti i topi e non tutte le zucche, com’era facile prevedere, erano della qualità giusta e la ricerca era stata difficile e costosa. Magari una maga un po’ più “scafata” non avrebbe avuto bisogno di aiuto, ma questa passava il mercato e Cenerentola, di meglio, non aveva trovato.
Ancor più difficile era stato fare colpo su quel sellerone del principe biondo, perennemente circondato come era da una frotta di languide bellezze pronte a svenire ai suoi piedi e sbronzo già ancor prima che la festa cominciasse. In qualche modo, magari proprio facendo la ritrosa, la cosa era riuscita. Ma c’era voluto sangue e sudore, sfregamenti, toccamenti, allusioni, sguardi compiacenti e lussuriosi, promesse di paradisi erotici abilmente accennate, altro che valzer svolazzanti e leggiadri. E, inesorabile, era arrivata la mezzanotte, ora nella quale, per contratto, lei si giocava tutta la messinscena che, per inciso, le era costato tutti i suoi faticosissimi risparmi di anni di piccole ruberie.
Non era stato facile poi fuggire a gambe levate stando bene attenta a lasciare quella minuscola scarpetta di vetro lì per le scale. C’era mancato poco che si slogasse una caviglia e se questo era servito per qualche verso a dare maggior realismo alla scena, ora la cosa le stava procurando un discreto fastidio. Appena arrivata a casa s’era affrettata a fasciare strettamente quella maledetta caviglia ed a immergerla nel ghiaccio. Le faceva male ma, togliendo la fasciatura all’ultimo momento, contava di poter celare la cosa giusto il tempo necessario alla fatidica prova. D’altra parte faceva pure affidamento sul fatto che la favola in proposito ignorasse la possibilità di un incidente: tutto si sarebbe concluso per il meglio, ne era certa.
E il dolore sarebbe di sicuro svanito nel momento in cui matrigna e sorelle avrebbero dovuto chinare il capo al passaggio della futura sposa del principe. C’era di che svenire dalla goduria al solo immaginare la scena; figuriamoci a viverla.
Mancava dunque un niente. I messaggeri del re erano entrati in casa, ricevuti in pompa magna da quel rimbambito di suo padre, circondato dalla moglie e da quelle due iene che l’avevano privata d’ogni dignità e dell’affetto paterno. Origliava Cenerentola, in cima alle scale ed aspettava che il ciambellano, dopo la prova delle sorellastre miseramente fallita, avanzasse la logica richiesta. Avrebbe infatti detto che nei registri parrocchiali risultava un’altra figlia. A nulla sarebbero serviti gli scherni e le allusioni di matrigna e iene. Il ciambellano doveva eseguire un ordine e nulla al mondo lo avrebbe fermato. A quel punto C
enerentola si sarebbe affrettata a togliere la fasciatura e a presentarsi davanti agli uomini del re, sotto lo sguardo feroce delle donne e quello imbambolato del padre che, tanto per cambiare, non avrebbe capito un bel niente di quanto stava accadendo.
Zoppicava leggermente Cenerentola, avvicinandosi all’uomo che portava la scarpetta su di un cuscino come fosse la reliquia del santo patrono protettore del regno. Ma presto sarebbe addirittura volata: anche la fata era stata rassicurante in proposito, non ci si poteva sbagliare. S’avvicinò così tranquilla ai messi del re e, quasi con noncuranza, scoprì il piede che prima di scendere s’era affrettata a privare della fasciatura.
E che mai entrò nella scarpetta, gonfio e tumefatto com’era.