Autore: Emme Graneris

Walking like a dream – Finale – Il sogno

Il corpo è solo una crisalide, una pelliccia di materia organica che rinfrange luce e colore a discapito dell’anima. Il corpo è una materia statica, una carne ingombrante, muscoli lenti, pelle fragile. Il corpo è un limite, il lascito della nostra dipendenza materiale a monito che ogni cosa, in questo cerchio, ha un limite, un tempo finito, un orizzonte limitato dal quale è impossibile evadere veramente. Ciò che cercava il Nero era una dimensione più elevata, una libera uscita da quel sasso rosa che lo teneva ancorato al buio del fondale. Era ossigeno, quello di cui aveva bisogno, e visioni fresche, pensieri nitidi che diventavano le matrici con le quali vengono stampate le banconote dei sogni, l’unica moneta vigente negli psicoregni nei quali era abituato a viaggiare. Era passato un mese e ciò che vedeva fuori dalla finestra era solamente un cortile diverso, ugualmente silenzioso e movimentato, ugualmente distratto e clandestino. Il crack sollevò una linea bianca di fumo sopra la sua testa andando a scomporsi in quell’oceano fluttuante grigio di sigaretta e marijuana. Era passato un mese e quel centro sociale era la cosa migliore che fossero riusciti a trovare. Era passato un mese e loro si ritrovavano esattamente al punto di partenza. Il Nero cancellò ogni pensiero riscaldando la carta stagnola. Tutto era calmo, nel sottotetto di quell’oceano di fumo, mentre i raggi del sole tagliavano l’aria...

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Walking like a dream – 10 – La luce dall’abisso

Era di un rosa blando, smorto, scolorita da un tempo indefinibile, dal tempo di un’estate lontana, di un’infanzia sconosciuta. Non bisognava per forza avere l’intuito di un detective per collegare i pezzi, per unire le linee di quel disegno. Era una ragazza sorridente impressa sulla superficie sgualcita della vecchia polaroid, ritta in piedi, nella luce di un campo di grano. Guardava controvento, con i capelli mossi dall’aria ed un vecchio cappello di paglia, tenuto elegantemente da una mano aggraziata e gentile. Nella mano libera stringeva un mazzo di fiori, forse dei papaveri rossi, poggiati contro il fianco. Il Nero aveva sempre pensato che le foto fossero una cosa strana, una specie di maschera di luce capace di renderci anonimi, distanti. Lui non sopportava le foto, odiava farsi fotografare, in fondo a lui bastavano i ricordi, foto meno ingombranti e sicuramente più complete. “Che foto potrebbe portarsi dietro, uno come me?” si domandò, ridacchiando. Di sicuro non erano foto di vita, di sorrisi sfumati e bellezze immerse nell’agitarsi di capelli lisci e puliti. Il vestito, lo stesso abito a fiori che Simona accudiva maniacalmente, le si schiacciava contro il corpo esile, giovane e perfetto. Non doveva avere più di vent’anni, all’epoca, e una serie di sogni a portata di mano. – Chissà che fine avrà fatto…? – si domandò, guardando il vestito, abbracciato in qualche modo dalla stessa luce rosa...

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Walking like a dream – 9 – Ode allo splendore

Simona salì sull’autobus con il calore di quell’abbraccio nascosto sotto il giubbotto, tra il filo bianco delle cuffie e il ricordo dolce delle sensazioni di quella notte, di quel vorticare di sogni e pensieri come lucciole in un bosco. Non era mai stata così, non era mai stata così con nessuno, nessun’altra volta, in nessun altro tempo e in nessun altra vita, mai. Con un sorriso si richiuse nel giubbotto, mentre il tram sobbalzava lentamente all’altezza di un semaforo e un giovane universitario attraversava la strada, correndo, con i libri di scuola sotto braccio e un’espressione tanto preoccupata da sembrare stupida. Sentiva il calore di lui ma in realtà era l’estate di quand’era piccola e sua sorella aveva solo quattordici anni. La ricordava con quel suo vestito azzurro ed il cappello di paglia da contadina mentre, immersa nei soffioni fino alle ginocchia, le lanciava addosso petali bianchi. “Mi vanno negli occhi!” protestava, una Simona bambina dai capelli corti e le ginocchia ossute. “Ti lamenti solo perché non sei capace a difenderti” rideva Saturnia, prendendola per mano. “Vieni, facciamo il girotondo come quando eravamo bambine”. Aveva sempre avuto una gran voglia di rimanere bambina, con i suoi occhi verdi e quei capelli rossi come il rame e lisci come la seta, così belli che persino il vento d’estate rallentava per poterglieli accarezzare. Eppure era sempre stata così donna, Saturnia, fin...

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Walking like a dream – 8 – Il mare

L’eternità è un attimo prima del risveglio, l’istante esatto che separa l’onirico dalla concezione del reale, la sottile linea di demarcazione tra due mondi che sono lo stesso caos. L’eternità non è un sogno, è solo un’estensione di un momento, un percorso alternativo nel cammino della vita. L’eternità è una maschera di luce, la stessa che ha imparato a indossare Dio, guardandoci dall’alto di uno scranno che è una cometa persa in un milione di costellazioni. L’eternità non è un corpo, ma è un tempo presente, un rimasuglio di realtà rimasto incastrato tra le zanne della polvere, nel gioco di vortici di un fumo bianco, denso, disteso a mezz’aria tra le note della notte. Il Nero aprì gli occhi e la prima boccata d’aria sembrò incenerirgli i polmoni, tanto era violenta. Tornare dall’onirico o da qualsiasi altro universo era come risvegliarsi in una nuova vita, un’infanzia veloce come la fiamma di un fiammifero in cui tutto deve essere rinominato, ogni cosa deve venire nuovamente inquadrata, identificata e collocata nel giusto assetto. Un rubinetto e una vocale hanno la stessa misteriosa funzione, in quell’attimo di non risveglio. “Chi sono? Dove sono? Cos’è successo?”, è la trinità di domande letterarie più errata di tutta la storia della narrativa. Ciò che realmente si ci chiede, in quei momenti, è solo un vago “Cosa…?”, accompagnato dallo stupore per la ricchezza e l’abbondanza di...

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Walking like a dream – 7 – Una pietra

Tornando a casa dopo la solita “spesa” al mercato centrale, Rio si era imbattuto in un vecchio manichino, da qualche parte, ed il suo spirito di accattone l’aveva convinto a portarlo a casa di Simona. L’avevano messo nella stanza da letto e si erano adoperati per rimetterlo in sesto alla meglio, vestendolo con alcuni dei vestiti del Nero e disegnandogli una buffa espressione con un pennarello. Quando Simona tornò a casa Rio la accolse bighellonando per la stanza con quel manichino. – Ciao Simona! Questo è Mustacchio, il nostro nuovo amico – sorrise, – il nome gliel’ha dato il Nero perché gli abbiamo fatto i baffoni. Simona rise: – Dove lo hai pescato? – Da qualche parte – rispose il Nero, che vigilava sui giochi del fratello, alle sue spalle. – Hai una casa così vuota… – si giustificò Rio, – speravo di ravvivarla un po’ con qualcosa. Simona squadrò l’aria martoriata del manichino, gli mancava un braccio e una gamba era destinata a staccarsi a breve. – A me sembra solo una porcheria vecchia, rotta e sporca – rispose Simona. – A lui piace – commentò il Nero, scrollando le spalle. – Ho deciso che diventerà il nuovo mozzo quando io sarò Secondo Ufficiale – disse Rio. – Ti ho già detto che il Secondo Ufficiale non esiste, e tu comunque devi ancora crescere parecchio prima di diventare...

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Walking like a dream – 6 – Regina di un’ora

La mattina erano pensieri estranianti, attimi in cui il respiro è un vuoto indaffarato tra caffè e cornetti. La gente parlava, continuamente, appiattendo giorni, settimane, mesi. Le loro parole macinavano i secondi, trituravano i minuti, devastavano le ore. Simona conosceva alla perfezione le dinamiche dietro il bancone, le dinamiche di quelle realtà. Ecco l’amante della moglie del parrucchiere fare colazione con il parrucchiere, ecco il quattordicenne che ha bigiato scuola e si è reso conto di non saper come occupare la mattinata, ecco i due carabinieri che il caffè non lo pagavano mai. Si fermavano, consumavano e parlavano, ingrati storici di ogni bar di rione, persone piene solo dell’estetica delle proprie bugie. Un tempo Simona li avrebbe detestati, dal primo all’ultimo, come fastidiosi parassiti senza i quali, però, non sarebbe sopravvissuta. Ma ultimamente aveva il Nero e, per quanto il suo fosse solo un sollievo momentaneo, qualcosa che sarebbe sfumato o avrebbe finito per distruggerla, la proteggeva dal male che potevano fare quelle parole e quelle vite meglio di ogni corazza, meglio di qualsiasi odio o indifferenza. Era strano, non era da lei udire i cori degli angeli, lo sfarfallio alla bocca dello stomaco, quella suadente sensazione di sentirsi amata, protetta, riscaldata dalla fiamma intensa di una passione, di un pensiero fisso, ma la cosa non le dispiaceva così come non le dispiaceva sorprendersi riflessa nello specchio del bancone...

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