C’era una volta un regno chiamato Colorandia noto a tutti perché era il posto da cui nasceva l’arcobaleno dopo la pioggia.

Il re si chiamava Pastello ed era molto buono e giusto. Governava con amore il suo popolo e, quando occorreva, studiava, studiava, studiava con tanta cura una legge e poi la dettava allo scrivano reale.

Però capitava che le leggi così ben pensate erano sempre talmente lunghe che le pergamene su cui venivano scritte erano più lunghe di un grattacielo.

Così, di nascosto dal re, interveniva la regina Mina cioè Gommina che, cancellando un pezzo qua e un pezzo di là, alla fine non faceva restare più niente della legge.

In questo modo, senza leggi, il popolo si era organizzato come gli pareva a seconda del villaggio in cui viveva.

Ad esempio, in quello in cui tutti coltivavano limoni, tutti andavano vestiti di giallo ed il limone era considerato il frutto più importante dell’universo.

In quello in cui si piantavano le carote indossavano tutti delle tute arancione e guai a chi osasse parlare male di una carota.

In quell’altro delle fragole e ciliege tutti di rosso e così via.

Ma il problema non era tanto il colore del vestito quanto il fatto che i verdi coltivatori di spinaci deridevano i bianchi produttori di latte che a loro volta portavano in giro i viola melanzana. I viola melanzana criticavano poi i beige noccioline eccetera, eccetera, eccetera…

«Ah ah ah ah, come sei ridicolo così tutto arancione. Ti hanno tirato fuori dalla terra proprio stamattina?» faceva uno.

«Perché, cosa hai da ridire tu con quell’aria avvizzita da limone spremuto?» rispondeva l’altro.

«Ah ah ah, hai la terra addosso e pure un lombrico» insisteva.

Insomma ogni villaggio credeva che fosse giusto il suo colore e criticava quello degli altri tanto che ogni tanto scoppiavano delle liti furibonde quando si incontravano.

Per evitare questo, gli abitanti di ogni villaggio preferivano restare sempre a casa propria così almeno erano tranquilli e convinti di avere ragione ignorando quelle degli altri.

Questa brutta situazione si notava chiaramente a scuola perché i bambini si erano raggruppati per colore sui banchi e si guardavano sempre storto.

C’era davvero una brutta aria in classe e la maestra che era una neutra, trasparente e senza colore non riusciva proprio a risolvere la situazione.

Intanto, al castello, re Pastello stava severamente sgridando suo figlio Arlecchino.

Vediamo perché.

Egli era il suo unico figlio e quindi era erede al trono e per sottolineare che sarebbe stato re di tutti i villaggi, indossava sempre un vestito con tutti i colori possibili ed immaginabili.

Era un tipo furbo e allegro che ne combinava di… eh sì… di tutti i colori ma aveva davvero poca voglia di studiare.

Aveva come maestro privato il vecchio Uffo De Pallosis che dopo dieci minuti di lezione spesso si appisolava fino a russare di brutto.

Così, appena Arlecchino lo vedeva appoggiare la testa sulla cattedra, usciva in giardino a giocare con tutto quello che trovava.

Ovviamente in questo modo non imparava niente.

Ma un giorno la regina Mina era arrivata all’improvviso e aveva beccato De Pallosis addormentato mentre Arlecchino correva tutto felice dietro ad un gatto.

La regina prese a strillare:

«Arlecchinooooooooo, brutto birbante, è così che studi? E lei De Pallosis cosa sta facendo, un sonnellino? La licenzio immediatamente!».

E poi:«Vieni qui di corsa e vediamo se hai imparato qualcosa».

Arlecchino arrivò con calma e si sedette canterellando:

«Non ti arrabbiare mammina

se tuo figlio te ne combina.

Sono Arlecchino in verità

e scherzando di qua e di là

dono a tutti il buonumore

scacciando via ogni dolore.

Porto allegria, questo si sa

in ogni posto ed ogni città.

Perdona allora ad Arlecchino

se spesso fa il birichino».

Ma la mamma non si intenerì affatto, anzi, lo fece sedere e iniziò ad interrogarlo.

«Vediamo un po’. Quanto fa uno più due?».

«Dipende».

«Come sarebbe a dire dipende?».

«Eh… se è un uno piccolo fa tre ma se è un uno grosso grosso può fare quattro o cinque… e se è un uno grossissimo può fare anche mille».

La regina rimase a bocca aperta poi gli chiese ancora:

«Allora dimmi: se ho tre caramelle, le posso dare a sei bambini?».

«Sì, prima le succhiano in tre e poi quando sono a metà le passano agli altri che le finiscono».

«Che schifo, Arlecchino!!!! Ora lo racconto a tuo padre quanto sei somaro».

Fu così che il re, dopo averlo severamente rimproverato, gli ordinò:

«Visto che non ti sei comportato seriamente, da domani frequenterai la scuola pubblica e non dirai di essere il figlio del re».

Il giorno dopo, Arlecchino entrò in classe come fosse un bambino qualunque e fu accolto da un’esclamazione di stupore ma anche da tante risate.

«Wooow! Che tipo strano!» esclamò un arancione.

«Dev’essere uno matto senza villaggio!» disse un altro.

«No,no… mi sa che lo hanno cacciato via da tutti i villaggi» disse una ragazzina dalla faccia dispettosa vestita di rosso.

Ma Arlecchino sorridendo a tutti loro, rispose: «Nooooo, io sono un abitante di tutti i villaggi; mi piacciono gli spinaci, le fragole, le castagne… Mi piacciono tutti perché ognuno ha qualcosa di speciale che gli altri non hanno».

Ma durante l’intervallo, un ragazzino del villaggio dei viola uscì , andò al bagno, riempì di acqua un secchio e tra le risate di tutti lo rovesciò addosso ad Arlecchino che rimase dapprima immobile come paralizzato e con gli occhi sgranati.

Poi, tutto zuppo, con i colori che si stavano sciogliendo, prese a scrollarsi come fanno i cagnolini provocando così tanti schizzi colorati tutto intorno.

Alla fine tutti i suoi compagni risultavano macchiati chi più e chi meno. Uno del villaggio arancione aveva tre belle macchie verdi ed una bianca, uno con t- shirt e pantaloni rosa si ritrovò pieno di minuscoli schizzi di tutti i colori.

Si guardarono perplessi per quella novità.

E allora Arlecchino esclamò: «Ma non vedete come siete più belli, più ricchi e allegri adesso?».

In effetti si guardarono l’un l’altro poi uno disse: «Ma sì, mi ero pure annoiato di essere sempre verde, ora sembro un prato fiorito».

E un altro: «Io pure. Ero sempre bianco ora assomiglio per metà ad un gelato alla stracciatella e per metà ai canditi».

Insomma, scoppiò una grande risata e finalmente i bambini non si guardarono più in cagnesco tra loro perché avevano capito che il diverso non è sempre un nemico e che bisogna conoscere prima di giudicare.

Elessero Arlecchino loro capo classe ed egli finalmente si mise a studiare seriamente così che un giorno diventò un bravissimo ed amatissimo re.

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