«Cough! Cough! Cough!…. Ma… maledizione!»
Tossendo e sputando Ingram uscì dalla crononavicella incespicando nel gradino della camera stagna. Una densa nuvola di fumo si levava dall’apparato motore e la carrozzeria… no, non si poteva dire che fosse stato un atterraggio dolce.
«Ma dico! Cosa diavolo ti prende? Sei impazzito? O è arrivato finalmente il momento di venderti ad un negozio di ferraglia?»
«Tsk!» rispose con sufficienza il comunicatore, «non ti sei chiesto quando hai fatto l’ultima volta il tagliando a questo rottame di macchina del tempo?»
«Rottame? Ma lo sai che questa è una Hyllaris? E’ garantita per dieci miliardi di anni!»
«Sì, se vengono eseguite le regolari revisioni periodiche. E tu…?»
Ingram rimase un attimo pensieroso.
«Sì, forse», ammise infine, «forse ne ho saltata una o due…»
«Quante?»
«Saranno state tre o quattro, va bene! Ma hai idea di quanto costano questi tagliandi?»
«E tu hai idea di quanto costi un carro soccorso spazio-temporale?»
«Non me ne frega niente! E’ compreso nell’assicurazione!»
«Sicuro?»
«Certo! O almeno credo… vediamo… quando avrei dovuto rinnovarla?»
«Santo cielo! Sarà meglio che ci mettiamo a guardare se possiamo ripararla noi.»
«Questa mi sembra la prima cosa giusta che hai detto oggi! Dove siamo?»
«Dati insufficienti.»
«Sarebbe a dire?»
«Che non ne ho la più pallida idea, ahia!»

Ingram guardò l’ammaccatura che aveva fatto con il calcio al plastiacciaio del comunicatore.
«Ecco, te lo sei proprio meritato!» disse.
La macchina non rispose.
«Fai l’offeso, eh? Fatica sprecata: sei una mia proprietà e ti faccio quello che voglio, anzi, stavo pensando che potrei sciogliere con l’acido…»
Silenzio. Il viaggiatore cominciò a preoccuparsi.
«Ehi, non ti sarai mica rotto, vero? Per un calcetto, quante storie! Eddai!»
«Va bene» concesse il comunicatore «ma esigo un maggiore rispetto, anche io ho la mia dignità!»
«Dignità, dignità!» sbottò Ingram, «qui se non ci diamo una mossa ci lasciamo le penne, altro che storie! E non fare tanto il galletto, che senza alimentazione anche le tue batterie si scaricheranno!»
«Mhm… non credo.»
«Come sarebbe a dire? Ricordo benissimo che il tuo modello, il WM49B, ha batterie che durano al massimo sette giorni, in assenza di ricarica.»
«Ehm, io sono un WM49K…»
«Cioé? Hai fatto un upgrade?»
«Si, la serie K ha batterie atomiche garantite per 7000 anni, un leggero upgrade.»
«Cosa? E chi l’avrebbe… Non dirmelo! L’hai fatto a mie spese?»
«Beh» osservò serafico il comunicatore, «tu sei il mio padrone e quindi io ti appartengo…»
«Maledetto disgraziato!»
«Ma come, non sei contento che quando avrai finito le provviste e morirai di fame e di sete avrai me vicino a consolarti?»
«Io io io…!»
Vedendo che questa volta stava rischiando qualcosa di più di un calcio, il comunicatore battè prudentemente in ritirata, e giunto all’altezza del portello chiese:
«Visto che siamo qui, cosa ne diresti di farci un giro?»
Ingram soppesò la proposta.
«Va bene» concesse, «chissà che non troviamo un bar.»

La navicella spaziotemporale era adagiata su una collina molto simile a quella di partenza. Sebbene i viaggi fossero effettuati nel tempo e non nello spazio, era sempre possibile che mutamenti geologici sconvolgessero la morfologia del terreno, per cui venivano evitati luoghi infossati o o vicini a faglie della crosta terrestre, dove erano più probabili i terremoti.
Purtroppo l’unica legge veramente invariabile nell’universo (che non è la relatività einsteniana, ma la legge di Murphy) arrivava sempre a mettere i bastoni nelle ruote, o a rompere le uova nel paniere, che a ben pensarci era anche peggio. Così, se la nave era sempre in cima ad una collina, la città ai suoi piedi era completamente scomparsa.

«Ho dei dubbi che incontreremo anima viva», osservò Ingram.
«Non essere troppo pessimista», lo consolò il suo compagno, «potrebbe andare peggio…»
«Per esempio?»
«Potrebbe piovere…»
«Ti faccio notare che questa battuta è vecchia e scontata. Risale a…»

L’uomo si interruppe: una lieve pioggia aveva cominciato a salire dal terreno, aumentando via via d’intensità.
«Ma lo sai che porti veramente sfiga!» disse inviperito.
«Ti faccio notare che non sta ‘cadendo’ la pioggia: sale dal terreno!»

Ingram si soffermò ad esaminare il fenomeno.

«E’ vero! Ho i piedi bagnati e la testa asciutta! Hanno aperto l’irrigazione?»
«Per cosa, se qui non c’è erba? Anzi, a pensarci bene non so su che cosa camminiamo…»
«Dici che anche qui ci sono cacche di cane?»
«No, no. E’ che non so se sta piovendo dal terreno o se noi stiamo camminando a testa in giù sul cielo.»

L’uomo guardò i suoi piedi, poi sopra la sua testa.

«Io non ci capisco niente…» ammise, sconsolato.
«E quando mai!»
«Eh?»
«Niente, volevo dire: ‘ quando mai sono stato in un posto come questo? E’ davvero strano!»

I due continuarono a camminare nella direzione opposta al sole calante, non perché questo avesse un significato ma soltanto perché così l’avevano alle spalle e non in faccia: avendo programmato una escursione notturna non avevano pensato a portarsi gli occhiali da sole.
«Ecco!» esclamò Ingram d’un tratto, «là vedo una luce… Un’insegna! Forse ci siamo!»

Non avevano fatto molta strada, anzi, si può dire che non ne avessero fatta per niente: era il locale che si stava spostando rapidamente verso di loro, scivolando su una specie di cuscino… di nuvole. Come li ebbe raggiunti, il bar si fermò dolcemente e la porta si aprì verso l’interno.

«Non c’è niente di normale in questo posto!» brontolò Ingram entrando.
«Buongiorno signori, in cosa posso servirvi?»
«Mi scusi» fece il comunicatore, rivolto al barista, «ma era una nostra impressione o questo locale è semovente?»
«Ah ah» rise quello, «se-movente! Davvero una bella battuta! Sì, si muove da solo, è ovvio.»
«E’ il primo che vedo» disse Ingram.
«Eh, cosa vuole! Con la scarsità di clienti che c’è al giorno d’oggi se non facciamo così…»
«Ma sono davvero così pochi?»
«Purtroppo sì. Vediamo, quest’anno… voi siete i primi!»
«E l’anno scorso?» chiese il robot.

Il viso dell’uomo si rabbuiò.

«L’anno scorso neanche uno!»
«E come fate a vivere?»

Il barista sospirò, pulendo meccanicamente con lo straccio un bancone già pulitissimo.

«Ci arrangiamo con gli animali di passaggio», rispose, «un asino che vola oggi, un ippogrifo domani. A volte anche una scimmietta scrittrice. Certo, non è una bella vita, non si riesce mai a fare conversazione.»
«La capisco», disse Ingram, «beh, ci faccia due Martini, per piacere.»

Il barista scrutò il comunicatore.

«Anche il suo amico robot beve Martini?» chiese,
«No, cosa ha capito? I due Martini sono per me, il mio amico non beve.»
«Visto che non devi guidare non c’è niente di male ad esserti fatto due cocktails», disse il comunicatore mentre facevano ritorno alla navicella spazio temporale, «ma avresti potuto prendere qualcosa anche per me, così, tanto per la forma.»
«Scherzi? Ma hai visto quanto costavano?»
«Considerata la scarsità della clientela non ci trovo niente di strano!»
«Almeno ci ha dato un’indicazione su come andar via di qui.»
«Sì: anche se non sappiamo dove siamo e soprattutto ‘quando’ siamo, il barista ci ha detto che il mondo rovesciato è esattamente al centro dell’universo, quindi basta raggiungere il punto di entropia zero e avremo le coordinate per rientrare a casa.»
«Il punto di entropia zero non esiste…» fece notare Ingram.
«E’ un’approssimazione: anche l’infinito non esiste.»
«Sì che esiste!»
«Solo nella tua fantasia!»
«Non è vero, dimostramelo!»
«Poi ti offendi se ti accuso di essere un analfabeta funzionale! E va bene: partiamo dalla definizione di limite:  ∀ε>0∃δ>0:x∈(x0−δ,x0+δ)⇒f(x)∈(l−ε,l+ε)»
«Eh?!»
«Ma devo proprio spiegarti tutto? Il punto debole di questa definizione è il valore di ε. Teoricamente potrebbero essere qualsiasi, ma a noi cosa ci frega degli intervalli grandi? In quel caso è ovvio che la funzione è limitata, a noi interessa proprio quando tende al suo limite, ma…»
«Ma?»
«Ma ε non può avvicinarsi indefinitamente a zero: esiste un limite quantistico in natura, al di sotto del quale è indeterminato, e quindi, appartenendo ad uno spazio di probabilità non ha un’esistenza definita. Allora cade tutta la dimostrazione e per induzione si può dimostrare che il limite non esiste e quindi non esiste neanche l’infinito.»

Ingram rimase perplesso.

«Dov’è la fregatura?»
«La fregatura consiste nel fatto che la teoria degli infinitesimi è sbagliata ma funziona, almeno nel nostro mondo.»
«E qui?»
«Qui che ne so?»

Nel frattempo erano ritornati alla navicella.

«Ma… ma sembra riparata!» disse Ingram, meravigliato.
«Certo che è riparata!» rispose il meccanico, spuntando come un fungo da sotto un portellone, «è come nuovo: a chi lo mando il conto?»

Rapidissimo, il comunicatore si fece avanti, strappò il foglietto dalle mani dell’uomo e se lo mise in una apertura sul davanti.

«Ci penserò io» disse, « faccio anche le funzioni di segretario. Le farò avere l’importo sulla sua banca…», guardò il conto: «ehm, magari a rate…»
«Nessun problema» fece il meccanico, sogghignando sotto i baffi (tutti i meccanici hanno i baffi), «Firmi qui e metta le sue coordinate bancarie, applicheremo solo gli interessi di legge!»
«Partiamo già?» chiese Ingram, «già che ci siamo, perché non visitiamo questo mondo al centro dell’universo?»
«Non mi piace per niente», rispose il comunicatore, «qui è tutto rovesciato: asini che volano, scimmiette che scrivono, elefanti che passeggiano nel cielo…»
«Beh? Che fastidio ti danno?»
«Hai mai pensato a quando devono… ehm, liberarsi dei loro escrementi?»

Ingram si guardò nervosamente sopra la testa.

Il robot alzò le spalle (che non aveva) e fece l’equivalente di strizzare l’occhio al meccanico, che rispose con un gesto che più o meno poteva significare che ad ognuno toccava sopportare la propria croce.

«Allora, siamo pronti?»chiese a Ingram dall’interno.
«Arrivo, arrivo! Quanta fretta!»
«L’hai detto tu: non vorrai che finissimo in un mare di m…, ma forse dovresti esserci abituato.»
«Solo metaforicamente, maledetta carcassa di metallo arrugginito, solo metaforicamente!»

Il comunicatore  si collegò al quadro comandi, eseguì rapidamente tutti i controlli (mai fidarsi di un meccanico che non si conosce!) e finalmente accese il motore.

Mentre il mini-reattore creava il campo di stasi si voltò verso Ingram, che continuava a scrutare il cielo indugiando sulla scaletta.

«Allora, secondo te qual’è la morale di questa avventura?» chiese.
«Mai fidarsi dei robot di scarsa qualità?» azzardò l’uomo.
«Sbagliato! E’ “paga i tuoi debiti prima di metterti a fare viaggi nel tempo fai-da-te”» rispose la macchina, facendo il gesto di chiudere il portello..
«Cosa intendi dire?»
«Aspetta che il meccanico verifichi la consistenza del tuo conto bancario!» disse, e schiacciò il pulsante di avvio, lasciando a terra l’esterrefatto Ingram, alle prese con il meccanico che sem,brava cominciare ad essere inquieto.