BIAGIO DENIERE

Dopo la tragica fine di Egisto per la quale provo ancora tanta tristezza, le nuove autorità ritennero che fosse meglio assegnare l’ incarico di guardiano ad un uomo sposato in modo che potesse affrontare la solitudine avendo accanto una persona che gli fosse di sostegno psicologico ed anche pratico.

Fu così che arrivarono Biagio Deniere e Margherita Lilon dalla lontana Liguria, coppia di neo sposi giovane e baldanzosa. Lui aveva fatto apprendistato alla Lanterna di Genova mentre lei era valdostana di Gressan.

Fu per me un cambiamento radicale che mi portò prepotentemente fuori dallo stato di malinconia in cui mi trovavo, una vera e propria rivoluzione di voci, colori e suoni che determinò il periodo forse più allegro della mia giovane esistenza.

Erano arrivati con pochi bagagli tanto per iniziare perché il corredo di Margherita ed alcuni mobili furono consegnati dopo un paio di settimane.

Non so se fossero stati ben informati circa l’esiguità dello spazio abitativo, ma quando scaricarono due enormi bauli di biancheria e tre pacchi di vestiario fu chiaro che non avevano fatto bene i conti. Pertanto ammucchiarono tutto in un angolo dopo aver selezionato le cose realmente necessarie. L’imbottita di lana, i cappotti pesanti, gli scarponi ecc. vennero sepolti nei contenitori e lì giacquero.

Biagio e Margherita erano entusiasti del sole, dei colori, dell’orizzonte sconfinato.

A volte scendevano nella spiaggetta e si bagnavano scherzando come bambini .

Era bello osservarli e vivevo anch’io felice quelle loro emozioni.

Certo… mi sentivo un po’ ridicolo per come mi aveva addobbato Margherita, non sembravo più un faro serio e professionale così conciato con le tendine di pizzo rosa, ghirlande di fiori secchi ogni dove.

Mi ritrovai addirittura il ritratto di un cervo appeso lungo la scala a chiocciola e su in cima, legato alla ringhiera del terrazzino, un festone con patriottiche coccarde tricolori.

Ero imbarazzato ma loro erano così carini e giovani!

Li sentivo a volte lamentarsi perché non trovavano da acquistare burro oppure fontina, riso o castagne per cucinare le pietanze a cui erano abituati ma si adattarono presto ai gusti e agli alimenti locali.

Margherita amava cantare quando faceva le faccende. Mi pare di vederla ancora con quei capelli ricci e biondi spettinati dallo scirocco mentre stendeva il bucato ad asciugare e cantava “Montagnes Valdostaines” con le guance arrossate dal sole e dalla fatica.

Un giorno disse, radiosa:

«Biagio, ho una sorpresa per te».

E poi: « Sta per arrivare un piccolo Deniere».

E Biagio, dopo un primo momento di stordimento, iniziò a saltellare qua e come un bambino gridando al mare e all’universo tutto:

«Dâme a ménte tutti! Vegniô poæ!».

E fu così che arrivò Eugenio e dopo poco arrivarono Luisa e Giovanni in un sol colpo.

Grande felicità per la famiglia ma, nel giro di due o tre anni, la casa si fece davvero stretta per i Deniere per cui il volenteroso Biagio costruì una specie di capanno ove depositare la roba superflua e ricavare spazio all’interno che era sempre più esiguo.

E mentre lui si prodigava nei suoi doveri e Margherita nella cura della prole e della casa, io ero diventato un loro giocattolo. Infatti esternamente avevano disegnato i cerchi di un bersaglio e indistintamente grandi e piccoli si divertivano a lanciarmi addosso sassi per vedere se facevano centro.

Il risultato fu che il mio bel manto bianco si ricoprì in basso di mille ammaccature-.

C’era poi Luisa che aveva un temperamento artistico ed aveva imparato giocando che certe erbe, se strofinate, lasciavano un segno. Così mi ritrovai con casette, pupazzi e soli distribuiti qua e là ove le riuscisse di arrivare.

E bisognava comprenderli, poverini, isolati com’erano, senza altri amici e poco o nulla con cui giocare se non la loro fantasia e ciò che c’era in giro.

Scorrazzavano liberi, col solo divieto di non salire sul terrazzino della lanterna perché poco protetto e pericolosamente esposto alle raffiche di vento ma esso, proprio perché vietato, aveva un potere attrattivo fenomenale sui bambini.

Ricordo le urla di Margherita quando una sera tardi di febbraio vide le gambe di Eugenio infilate negli spazi della ringhiera che penzolavano nel vuoto.

Salì correndo e dopo averlo abbrancato con decisione, gli fece fare tutti i miei 140 scalini a sculacciate.

Mentre scendevano, Eugenio protestava:

«Mamma… mamma, non è colpa mia.» E intanto Margherita sculacciava.

«Zitto, birbante, che mi hai fatto quasi morire dallo spavento».

Ma lui continuava:

«No, non è colpa mia! Ho visto qualcuno su per le scale e pensavo fosse babbo…».

E intanto le sculacciate continuavano anche se un po’ meno vigorose.

« Sono andato su perché pensavo che fosse babbo e voi mi avevate detto che se c’era lui io ci potevo andare».

«Ma che vai inventando, non hai visto che tuo padre è andato in paese con la barca? Oltre che disubbidiente sei pure bugiardo».

Intanto erano arrivati di sotto ed Eugenio continuava.

«Giuro, l’ho visto e gli sono andato dietro».

«E allora, signor bugiardo, dov’era quell’uomo quando sono salita? Eh?», disse lei.

«Ecco, quando sono arrivato, non c’era più, era sparito e allora mi sono affacciato dalla ringhiera per vedere dove fosse andato».

Margherita scosse la testa e non replicò. Riteneva di averlo punito a dovere e quelle erano certamente solo delle fantasticherie di un bambino o forse solo bugie.

Ma come fantasia le sembrava strana, non era da Eugenio spararle così grosse.

Dopo sei anni dal loro arrivo, la coppietta romantica e giocosa aveva lasciato lo spazio ad una loro versione assai più pacata e presa dai doveri.

Lo smalto di una volta s’era arrugginito e non certo per via della salsedine.

Margherita non cantava più mentre stendeva i panni e le chiome le teneva legate perché così era in ordine senza troppo doversene curare.

L’alloggio scoppiava, la vita all’interno s’era fatta insostenibile ma avevano avuto rassicurazione che esso sarebbe stato presto ampliato aggiungendovi un paio di stanze.

Tuttavia i lavori promessi tardavano ad iniziare ed il loro rinvio s’era fatto davvero esasperante

Così la tentazione di andarsene via si fece forte, sempre più forte finché in una nuova notte di febbraio dell’anno successivo accadde un evento che fece precipitare la situazione.

Margherita era uscita per riporre alcuni attrezzi nel capanno esterno quando una strana sensazione la portò ad alzare lo sguardo in alto verso il raggio della mia luce.

Una figura se ne stava immobile sul terrazzino e sembrava scrutasse il mare e il sentiero da percorrere per giungere qui.

A Margherita caddero gli oggetti di mano e le si fermò per un attimo il cuore.

Chi era mai?

Suo marito ed i bambini erano già a letto… Chi era?

Corse in casa pensando fosse un ladro o comunque un malintenzionato e risvegliò il marito scuotendolo forte:

«Biagio! Oh Biagio, svegliati dai! C’è qualcuno di sopra.»

«Ma che dici, Margherita…» sbadigliò scocciato lui.

«Chi vuoi che abbia interesse ad intrufolarsi in casa nostra, lo sanno tutti che non siamo ricchi… »

Poi, vedendo la grande agitazione della moglie, afferrò un coltello in cucina e con Margherita armata di mattarello salirono i miei140 scalini ma… giunti sopra, non vi trovarono nessuno.

«Dai, lo avrai immaginato» ipotizzò Biagio.

E lei un po’ risentita: « O grullo, mica avevo esagerato con i cicchetti di vino passito come capita spesso a qualcuno che conosco …».

Alludeva a quella debolezza del marito con cui egli si rilassava un po’ troppo. Poi continuò:

«No,no… ho visto e guardato bene. Era un uomo».

«Ma dai…», spazientito concluse lui.

E la storia quella sera finì lì ma in seguito iniziarono tutti a stare più attenti a certi deboli rumori provenienti dalle scale che sinora avevano attribuito a qualche topo o uccello che s’era fermato un po’ durante il volo.

Indubbiamente, a ben ascoltare, i segnali c’erano tutti: qualcuno si aggirava per le scale ed il terrazzino.

Era il 6 di Febbraio, era di notte e tutti gli altri dormivano quando Margherita lo incontrò e lo vide in modo inequivocabile.

Stava in piedi in cima alle prime scale e la fissava come se non la vedesse.

I contorni della figura evanescente fluttuavano lievemente sullo sfondo scuro delle scale.

Margherita cacciò un urlo acuto e poi si accasciò, svenuta.

A questo punto, non avevano più dubbi i Derniere, c’era un fantasma nel faro ma ciò non era una novità per me che , anzi, avevo piacere di rivedere ogni tanto il mio amico Biagio.

Ben presto i Deniere, già mal collocati in questo piccolo spazio ed impauriti per quella inquietante presenza, chiesero ed ottennero di andare via.

Li vidi scomparire per il sentiero sconnesso dietro ad un asino che trainava un carretto stracolmo di bagagli portandosi finalmente via, con mio massimo piacere, quelle poco dignitose tendine di pizzo rosa.

Il giorno stesso arrivò il nuovo addetto, il maturo Alfredo con sua moglie Livia.

 

 

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