Accade anche alle donne più timide di rimanere intrappolate in amori adulteri, che la passione non tiene conto delle vere nuziali né dei contratti stabiliti per l’eternità.
E così è accaduto anche ad Agnese, timida e riservatissima Dama di Camera della Regina, di soccombere alla passione irreversibile per un uomo assolutamente proibito.
Intoccabile: il Re.
Agnese, la damina diafana che sembra possedere, per via di quella sua timidezza congenita, il dono dell’invisibilità.
Che in silenzio si materializza nel bianco delle sue vesti.
Che in silenzio scompare, senza lasciare traccia di quel bianco.
Agnese che arrossisce, parla poco, e le cui dita gentili sfiorano il mondo con l’ inconsistenza di un respiro.
Ed in virtù di queste doti, la Regina, fra le tante ha scelto lei come Dama di Camera, per affidarle il privilegio della cerimonia mattutina della vestizione e per il delicato compito di fare e disfare il viluppo impervio delle trecce e dei posticci, sui quali innalzare la regale corona.
La timida Agnese si materializza quando serve per dissolversi quando più non è necessaria la sua presenza.
Questo immensamente piace alla Regina, personalità altera e suscettibile che poco tollera le altre donne, soprattutto se più giovani ed avvenenti.
Ed in quella sua dama non ha riscontrato la minaccia né di un corpo né di un’anima.
E’ solo un fruscio di veste.
Ed un sussurro di dita.
Forse neppure saprebbe individuarla fra le tante che fanno ala al suo passaggio.
Ma Agnese non figura mai nella coreografia degli inchini.
Avvalendosi del dono dell’invisibilità sguscia via, inosservata, per rifugiarsi a leggere poesie e a fantasticare sul volo peregrino delle farfalle, nella solitudine del labirinto botanico, meraviglia e delirio dei giardini reali in cui nessuno, avventatamente, osa avventurarsi.
E’ leggenda quel labirinto.
Inestricabile. E demoniaco.
Una trappola a cielo aperto.
Si racconta che il tracciato vero lo conosca solo la Regina, e che è mefistofelico inganno visivo quello che si prospetta dall’esterno al visitatore che, per sventura addentrandosi nei suoi fitti meandri, rimane inesorabilmente intrappolato nel demenziale dedalo di un percorso che conduce verso il nulla.
Ma Agnese non ne ha paura.
Non l’attraggono le incognite esplorative ma la quiete che li vi trova.
Percorrendo sempre lo stesso breve itinerario, senza addentrarsi troppo nell’ignoto del labirinto, ha fissato punti di riferimento in particolari che, seppur minimi, l’aiutano nell’orientamento: una foglia sporgente, un intreccio di rami, un arboscello puntuto, un leggero diradamento nel reticolo fogliare.
E proprio attraverso quella sottile smagliatura, un pomeriggio autunnale, ha scorto il Re che solitario passeggia, senza scorta di armigeri né compagnia di gentiluomini.
Così, Agnese, può constatare che Sua Maestà ha gli occhi mansueti di un cucciolo, le mani sensibili di un artista e la barba ribelle di un poeta.
Appare perfino meno alto senza la corona che, certificando il potere, accresce anche la statura.
E tra le mani, invece dello scettro, reca un libro.
Questo la colpisce enormemente.
Lo vede, per la prima volta, nella sua veste privata e non in quella consueta ed ufficiale, dove però è sempre secondario alla preponderanza, caratteriale e scenica, della Regina.
D’impulso vorrebbe mostrarsi.
Chiedergli cosa stia leggendo.
Una conversazione tra lettori, non di certo quella sconveniente tra il Re ed una Dama della Regina.
E’ trattenuta, però, da quella sua endemica timidezza che la costringe a ritrarsi, come d’abitudine, nell’ombra.
Ma il tenue chiarore della sua presenza, filtrato attraverso il respiro delle foglie, ha attratto l’attenzione del Re che, con voce gentile, le chiede di mostrarsi.
Lei obbedisce e s’inchina al suo cospetto quando, nel rialzarsi, un soffio di vento le scioglie i capelli, e in quell’imbarazzo le cade il libro di mano.
Il Re lo raccoglie e porgendoglielo con un sorriso le mostra il suo.
E’ lo stesso libro, l’identica storia, che entrambi stanno leggendo.
«Non vi ho mai vista.» Dice lui, colpito.
«Non sono una che si nota.» Risponde lei, arrossendo.
E’ questo il primo di innumerevoli incontri.
Il Re l’attende, tutti i pomeriggi, nella stanza di foglie, sotto il soffitto mutevole del cielo, alla mercé degli elementi meteorologici e delle schermaglie della luce e del buio.
Leggono e commentano versi di poesia, assaporando quella sintonia perfetta che scaturisce dalla intensa condivisione di una stessa passione.
E la passione per la poesia tramuta presto in passione dell’anima.
E dei sensi.
Seppur combattuta e rinnegata, è un’attrazione irresistibile quella che vanno provando.
Le dita si sfiorano, cercandosi, nello sfogliare le pagine.
La voce frammenta in sussurro quando l’irruenza amorosa del poeta esplode nei versi.
Un pallido riflesso se paragonato allo sconvolgimento interno che li va sopraffacendo.
E quel giorno Agnese, dopo aver recitato il toccante brano su un amore proibito, soccombe alla visibilità di una lacrima che prontamente le dita sensibili del Re raccolgono.
La seconda, l’asciuga con le labbra.
La terza, l’assapora con un bacio.
Si ritrovano così a sfogliare i loro ardenti desideri, e non più solo le pagine complici di un libro, che avrebbero ora arricchito con i capitoli inediti delle audaci sperimentazioni del loro amore.
Ed Agnese fiorisce tra le braccia del Re, nel tumulto progressivo del piacere sessuale, dapprima timidamente, come un bocciolo tremulo che presto tramuta in un lussurioso fiore carnivoro.
Insaziabile, si lascia trascinare nell’estasi sessuale concedendosi senza quel ritegno che si conviene ad una vergine inesperta, ma come una lussuriosa Eva il suo ventre partorisce orgasmi che assorbono tutto il vigore del Re.
Lasciandolo stordito.
Esterrefatto. Beato.
Più quella passione progredisce più Agnese acquista splendore.
E visibilità.
Ed è una scia luminosa quella che ora preannuncia il suo passaggio.
Vestita di scarlatto, di azzurro o di viola.
Non arrossisce più, pur mantenendo inalterata la riservatezza innata delle parole indispensabili.
E la Regina, sugli indizi di quei cambiamenti, inizia ad accorgersi di lei.
Delle sue assenze.
E di quelle del Re.
E delle voci cortigiane che tempestive zittiscono al suo passaggio.
Decide, la Regina, di far luce sulla tresca di cui a corte si va mormorando, incaricando il Capitano della Guardia Reale, veterano fedelissimo e discreto che, seppur non possedendo come Agnese il dono dell’invisibilità, ha affinato sui campi di battaglia un talento mimetico che si è rivelato provvidenziale nelle situazioni più estreme, di appurare quanto di vero ci sia in quei mormorii, e dove conducono le passeggiate del Re e quelle della sua Dama di Camera.
Di missioni difficili è esperto il Capitano, ma questa si rivela la più penosa.
Vorrebbe dire di no alla Regina.
Che la sua onorabilità di soldato rifiuta questo meschino incarico di pedinamento.
Ma a lei ha giurato fedeltà ed obbedienza.
Non può tradire la sacralità di questo voto.
Si predispone, quindi, il leale Capitano ad assolvere all’incarico con tutta la discrezione che l’evento impone, e non gli ci vuole molto per appurare che le passeggiate del Re e della dama della Regina hanno una meta comune: il labirinto botanico.
Dove si officia un amore adultero.
Spudorato e sublime.
Una poesia sperimentale, di orgasmi multipli e complesse geometrie di corpi.
Il Capitano è turbato, e commosso, dalla sacralità e dalla dissolutezza di quell’enfasi celebrativa.
La versione in prosa di una poesia trascendentale.
Ma pur dovrà riferire alla Regina quello che ha visto.
E quello che nelle viscere del labirinto si va consumando ha un solo nome: tradimento.
Il buon Capitano cerca le parole più opportune, meno crude, per fare il suo resoconto alla Regina.
Ma ben sa che non ne esistono.
«E’ tutto vero, Maestà.» Non gli riesce di dire altro.
E’ una donna altera, e con una luce buia negli occhi, quella che con un gesto lo congeda.
“Ma è pur sempre una donna tradita” pensa il Capitano che nella sua esperienza di veterano ha potuto appurare che, nella vita e nelle guerre, la ragione non è mai solo da un’unica parte.
Così, Agnese, non trova più il Re ad attenderla nella cinta protettiva del labirinto, mentre a palazzo si sparge la notizia di un male, repentino e mortale, che lo ha colpito.
Ma la Regina pur continua ad avvalersi dei servigi della sua dama.
Del tocco etereo delle sue dita.
E godere di quei suoi occhi disperati.
Di quello splendore che offusca in patimento.
Del tormento di quell’anima estirpata.
Delle domande, perché proibite.
Del dubbio, che col tempo tramuterà in certezza, che non è stato il male ad uccidere il Re, ma il suo amore.
Tormentata dai sensi di colpa che la perseguiteranno per tutta la vita, mentre, invece, la Regina continuerà ad avvalersi dei servigi della sua Dama di Camera.
Che nessun’altra ha un tocco di dita leggero come il suo.
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