Non si vedeva bella, eppure Irene lo era: movimenti flessuosi e un leggero, naturale ancheggiare, ma soprattutto il vezzo, un po infantile, con cui socchiudeva gli occhi per mettere a fuoco, dal momento che gli occhiali, pur dovendo, non li portava, perché l’unica bellezza che si riconosceva erano quei suoi occhi di un grigio cangiante che secondo la luce diventavano azzurri, verdi o nocciola, perfino neri.
Il nero, però era dovuto soprattutto ai suoi umori interni.
Quando incontrò per la prima volta Alejandro, Irene era nell’età favolosa dei 40 anni: un età che appieno le donava, anzi, nella sua tipologia fisica, addirittura risplendeva.
Alejandro di anni ne aveva invece 25, gli stessi che avrebbe potuto avere un suo ipotetico figlio, semmai lei avesse deciso di metterlo al mondo durante la sua infernale vita matrimoniale, costellata di botte, di richieste di perdono e di assoluzioni.
Ma Irene, nonostante fosse succube di quell’amore vigliacco, aveva fatto in modo che la sciagurata eventualità di una gravidanza non s’avverasse,
Fu solo dopo che lui l’aveva quasi uccisa che lei aveva trovato la forza di reagire, denunciarlo e spezzare finalmente quel legame mortale.
Nel suo petto, orrendamente fracassato, s’era fracassato anche il cuore.
Una volta divorziata s’era consacrata alla singlitudine.
Nessun uomo, da allora, l’aveva più toccata.
E questo, incredibilmente, aveva accresciuto il suo fascino di donna inarrivabile.
Una donna superiore.
Irene, in base a questa supposizione, ci scherzava con le amiche che pure la spronavano a ritentare, che non tutti gli uomini sono uguali e che bisogna sempre dare una possibilità di riscatto a se stessi e agli altri.
Non ho tale esigenza.
Questa la sua risposta sintetica e conclusiva.
Gli occhi scurivano e la voce diventava amara.
Discorso chiuso.
Nessuna delle amiche, d’altronde, intendeva aprire ferite dolorose, come la dura cicatrice, dello spessore di una grossa chiusura lampo, che le percorreva la cassa torica, chiudendosi sul cuore.
Quel cuore ostinato che aveva continuato a battere tra le costole fratturate.
No, Irene non avrebbe concesso nessun’altra possibilità.
Neppure a se stessa.
Fino al giorno in cui incontrò Alejandro.
O meglio, si scontrò con Alejandro.
Sotto quel diluvio biblico s’erano ritrovati soli, che nessuno s’era fermato a prestar loro soccorso, fradici d’acqua e con qualche escoriazione.
– Niente di rotto, signora? –
Aveva chiesto, con apprensione.
Tutto quello che c’era da rompere è già stato rotto tanto tempo fa.
Aveva pensato, Irene, con una sorta di crudele ironia.
– Credo di no. –
Aveva risposto mentre maldestramente cercava di riconquistare la posizione eretta.
– L’aiuto ad alzarsi. –
Ma lei, bruscamente, aveva respinto le sue mani, rischiando di cadere di nuovo.
– Volevo solo aiutarla, mi spiace, con tutta quest’acqua non sono riuscito ad evitare di venirle addosso. Sicura di non essersi fatta troppo male? –
– Sicura. E’ tutto ok –
– Chiamerei un taxi, se ce ne fosse uno nei paraggi, per riaccompagnarla a casa –
– Non occorre. Incidente chiuso. Fai attenzione, però, a non investire nessun’altro –
Quasi una fuga, quella sua, sotto la pioggia….ma al destino non si sfugge, aveva raccontato alle amiche di come Alejandro il giorno dopo se lo fosse trovato alla porta, con un sorriso largo e nelle mani il suo portadocumenti.
Aveva precisato lui.
Aveva detto ridendo.
Una risata spontanea. Contagiosa….al destino non si sfugge, soprattutto se ha un buon aroma di caffè, quello stesso che Alejandro personalmente le aveva recapitato, il mattino dopo, nella tazzina del bar.
– Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto…non deve farmi entrare, possiamo benissimo berlo anche qui sulle scale –
Detto fatto s’era seduto sul primo scalino dopo, però, aver aver cavato dalle tasche due brioche alquanto malconce.
Fu Irene, a quel punto, davanti all’espressione sinceramente mortificata di lui, a scoppiare a ridere.
Quel caffè fu il primo di tanti altri religiosamente consumati sulle scale, che era diventato per entrambi un rito, una scaramanzia per un buon inizio giornata.
E col caffè il racconto ad episodi delle proprie vite.
Principalmente era Alejandro che raccontava di sé: il suo amore per il cinema lo aveva condotto in Italia dove sperava d’intraprendere la carriera di regista, anche se al momento i suoi sogni di gloria erano tutti in stand by, subordinati ad esigenze più immediate.
– Amo l’Italia, – le aveva detto una volta – una terra bellissima e dolorante, proprio come te, Irene. Non racconti nulla della tua vita, ma non hai bisogno di parole, sono i tuoi occhi a parlare. Quei tuoi fantastici occhi dove la luce si riflette ma non splende. E poi i tuoi silenzi…nessuna voce racconta più di un silenzio: le parole possono depistare, i silenzi no –
Lei non aveva risposto, ma si capiva che stava lottando contro le lacrime.
…ma al destino non si sfugge, come a quell’ipotesi di sentimento che andava sempre più fortificando, quello stesso a cui Irene con tanta cura nel corso della vita s’era negata.
E nel caso specifico, poi, tanti di più erano i motivi per cui tirarsi ancora una volta indietro per recidere con decisione il groviglio emozionale nel quale sempre più si dibatteva.
Per non cedere s’era appellata a tutte le ragioni della logica e del buon senso, in primis il divario generazionale dell’età: Alejandro poteva essere suo figlio, anche se lei madre non era mai stata e mai lo sarebbe diventata, perché anche in questo campo gli anni non erano più dalla sua parte.
Sono in ritardo su ogni tipo d’amore, e farei bene a continuare a considerarlo, come ho fatto fino ad ora, una faccenda chiusa. Per il mio stesso bene.
E la mano, come d’abitudine, andava a sfiorare la grossa cicatrice che le attraversava il torace.
Non era un contatto facile, quello, a cui lei però stoicamente non si sottraeva.
La grossolana dentellatura di quella ferita rappresentava la prova materiale della sua sopravvivenza.
Sopravvivenza, appunto. E niente altro.
Una donna in bianco e nero, così una volta l’aveva definita Alejandro.
Il perché lei non glielo aveva chiesto, ma dopo era rimasta ad elucubrare sul significato possibile di quella frase. Non glielo aveva chiesto per paura che trapelasse, da parte di lui, una qualche negatività nei suoi confronti. Sapeva bene di non essere una frequentazione facile, di non parlare molto e di essere sempre sulla difensiva. Ridere, però, con lui le riusciva facile. Ridere in quel modo complice era come fare l’amore. Avrebbe voluto dirglielo che lei non rideva con chiunque (una volta, durante la sua vita coniugale, una risata inopportuna le aveva fruttato un bel po di botte, da allora non s’era più arrischiata a ridere, attendeva che lo facesse prima lui, una specie di segnale di via libera con cui gli concedeva la partecipazione), ma con Alejandro era piacevole lasciarsi andare. Ridere con lui non era solo liberatorio ma genuina spensieratezza. Ogni risata, per lei, equivaleva ad un bacio
Lo aveva baciato nel suo cuore tutte le volte che l’aveva fatta ridere: ma questo non poteva dirglielo.
Una cosa impossibile da capire per chi bacia solo con la bocca.
…eppoi, invece, era accaduto. Un bacio vero. Un bacio di labbra.
– Un bacio da film –
S’era schernita Irene.
– Un bacio da innamorati –
Aveva ribadito Alejandro
…ma al destino non si sfugge, quel destino, nella visione delle amiche, distruttivo, verso cui lei si stava incamminando con l’incoscienza e la spavalderia di un’adolescente, partendo per di più con lo svantaggio incolmabile di quell’enorme differenza di anni.
Nulla di male se la vivi come un’avventura, ma non innamorartene.
Soffrirai di nuovo e, stavolta, te la saresti proprio cercata.
Sei ancora molto bella, ma gli anni passano, non sprecarli dietro un amore con scadenza.
Ti ritroverai di nuovo sola.
Ma quell’amore l’aveva scongelata nell’anima, scaldata nei sensi, consolata nella testa.
Restituita nuova, non al giudizio del mondo, ma a quello di se stessa.
Che non le importava della solitudine futura se il presente era fatto di risate e di baci.
Che poi di baci c’era stato solo quello, ma ce ne sarebbero potuti essere altri, anche se fortemente dubitava di riuscire ad andare oltre, a trovare il coraggio di mostrare nudi quel suo corpo e quel suo cuore così martoriati.
Perché corpo e cuore erano indivisibili, così strettamente uniti dalla cerniera lampo della cicatrice.
…aveva anche pensato che lui era ancora così giovane, affamato di tutte le cose belle che la vita, a piene mani, gli andava offrendo, mentre lei, invece, avrebbe rappresentato solo la testimonianza di una realtà crudele.
Quel lato oscuro dell’amore, che amore non è.
Così tra tutte quelle cose belle a lui riservate, lei sarebbe emersa come la bruttura, la deformazione, la cicatrice, il dolore.
E questo non voleva che accadesse.
Si sarebbe tirata indietro affinché Alejandro la ricordasse come la misteriosa donna in bianco e nero incontrata in un pomeriggio di pioggia e che gli aveva donato quell’unico bacio che aveva dentro, però, tutti i colori dell’amore.
Quella mattina, attraverso la porta chiusa, lo aveva definitivamente respinto: non posso, perdonami.
Era riuscita a pronunciare quell’addio con gli occhi asciutti e la voce ferma, anche se dentro tremava.
Non lo sai, ma ti ho baciato nel mio cuore tutte le volte che mi hai fatto ridere. Non te l’ho mai detto perché è una cosa impossibile da capire per chi bacia solo con la bocca
Avrebbe voluto dirgli anche questo.
Ma non glielo disse.