“Show, don’t tell”. Tra le tecniche narrative più note. Ma cosa vuol dire esattamente? Come si applica la tecnica che trasforma un testo in narrazione?
Non sono in grado di insegnare qualcosa agli altri nel campo della tecnica narrativa, ma alcuni concetti mi sembrano tanto semplici che dire di non capirli penso sia soltanto indice di pigrizia mentale. Voglia di non capirli.
Metterli in pratica è un’altra cosa, a volte bisogna snaturare il proprio stile e questo spesso non è giusto né redditizio, ma sperimentare per valutarli credo sia doveroso, verso noi stessi e i nostri ipotetici lettori.
La tecnica nota come “Mostrare, non dire”, anche se sarebbe più giusto utilizzare l’originale “Show, don’t tell”, che rende meglio l’idea, non è una novità: sono più di tre secoli che viene utilizzata consapevolmente, ma come può essere definita con esattezza?
Secondo K. Polking “È come la differenza tra gli attori che recitano uno spettacolo e il solo drammaturgo, in piedi su un palco vuoto, mentre racconta dettagliatamente lo spettacolo al pubblico”. (Writing A to Z)
A quale dei due spettacoli preferiremmo assistere?
Show don’t tell, esempi: come tradurre una scena descritta in una scena mostrata
«Luigi è alto, biondo, ha tante buone qualità che tutti amano e io gli voglio bene nonostante a volte sia anche brusco. Luigi è fedele, sincero, onesto ed è capace di mandarti a quel paese, se lo ritiene giusto».
Questo è un esempio di raccontato: il lettore è alla mercé del narratore che elenca una serie di caratteristiche e fa una sua riflessione. Banale, vero?
Vediamo invece come possiamo mostrare qualcosa di Luigi:
«Entrando nella stanza, Luigi abbassò la testa per non sbattere la fronte. I presenti si voltarono verso di lui con aria sollevata, facendo ampi sorrisi».
Qui abbiamo mostrato diverse cose: che Luigi è alto, che è benvoluto e già che c’eravamo che ha fatto qualcosa per cui gli altri temevano per la sua incolumità. Tutto questo in maniera dinamica e in due righe.
Ma vediamo un esempio di un maestro di questa tecnica, M. Crichton:
“Grant si sentì barcollare per il freddo e il terrore. Premette le mani contro il pannello di metallo della porta per tenerle ferme. Il tirannosauro ruggì di nuovo, ma non attaccò. Drizzò la testa e guardò la Land Cruiser, prima con un occhio, poi con l’altro.” (Jurassic Park)
Forte, vero?
Notate come vengano rappresentate le sensazioni dal punto di vista del protagonista. Questo porta il lettore ad immedesimarsi, a vivere la scena. A non chiudere il libro nel timore di addormentarsi.
Ma allora tutte le volte che facciamo una descrizione raccontiamo?
No, state a vedere:
“Il dinosauro doveva essere da qualche parte tra gli alberi, ma per il momento Grant non riusciva a vedere nulla. Poi capì che stava guardando troppo in basso: la testa dell’animale si ergeva sei metri sopra il livello del suolo, seminascosta dalla sommità delle palme. Malcolm sussurrò: – Oh, mio Dio, è alta quanto una casa…
Grant fissò l’enorme testa squadrata, lunga un metro e mezzo, con macule marrone rossiccio, e dotata di gigantesche mandibole e zanne. Le fauci si aprirono e si richiusero. Ma l’enorme animale non sbucò dal suo nascondiglio.”
I dettagli non vengono imposti dal narratore, ma mostrati attraverso gli occhi di Grant, e il breve dialogo serve a rafforzare l’impressione delle dimensioni gigantesche della belva. C’è, è vero, una breve descrizione dell’animale, ma è sempre funzionale al testo.
Potremmo quindi dire che:
A) Raccontare è imporre al lettore parole e fatti generici
B) Mostrare è calare il lettore nella storia con dettagli concreti e dinamici.
E narrare? Possiamo dire che:
C) Narrare è dosare sapientemente, con consapevolezza, le diverse tecniche narrative per creare “la magia dello scrittore”
I confini tra le diverse modalità non sono così netti, e l’abilità dello scrittore è determinante per il risultato finale, come è giusto che sia. Ma consideriamo ancora questo esempio, tratto da Tolkien:
“In una caverna viveva uno hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, piena di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima.”
Questa sembrerebbe proprio una descrizione, anzi, una non-descrizione, perché l’autore descrive come non era la caverna… e allora? Il lettore rimane confuso, spaesato durante la lettura? No, niente di tutto questo, anzi, si raffigura in maniera molto chiara la caverna dell’hobbit. Ma perché? Per merito di quelle due parole in chiusura, “cioé comodissima“, che sono un autentico colpo di genio.
Come diceva King: «se vengono preparate bene, se il lettore viene indirizzato sui giusti binari, allo Scrittore possono bastare due parole per creare la magia dello scrivere.»
Siamo entrati dentro il cuore della scrittura: Questo non è né mostrare, né raccontare: è narrare. E non troveremo in alcun dizionario una sintesi di questa magia, che rappresenta per noi il punto di arrivo di un cammino meravigliosamente complesso: imparare a narrare è, in definitiva, imparare a scrivere.
Volete provare anche voi questa tecnica? Vi rimando agli Esercizi per la creatività del nostro laboratorio di scrittura, dove troverete proprio l’esercizio “Mostra, non dire.”