Appena ho aperto gli occhi il solito pensiero mi ha invaso la mente. Quella mattina dovevo farlo, erano giorni che ci pensavo. Guardai fuori dalla finestra, la giornata non era delle migliori, un cielo grigio e umido di nebbia mi fece rabbrividire. Feci una doccia veloce, sui soliti pantaloni un maglioncino azzurro, ero veloce nel prepararmi, il trucco per me nemmeno esisteva, infilai il mio impermeabile bianco e mi avviai.

Sotto una fitta nebbia percorsi per pochi minuti la solita strada e mi infilai dentro il bar. Marco da dietro il bancone mi sorrise: “Buongiorno Giulia, sei in ritardo stamane!” Gli risposi un po’ sgarbatamente: “Buongiorno oggi non vado al lavoro ho altro da fare.” Marco mi guardò accigliato intanto che mi serviva il solito latte macchiato.
Lavoravo nella sartoria poco più giù del bar, era una sartoria per gente di un certo rango, le signore mogli di medici, avvocati ecc…
Passai in sartoria e alla signora Pina che si occupava di noi lavoranti, feci credere che avevo un appuntamento dal medico, e sarei tornata nel pomeriggio.

Al capolinea presi l’autobus non era molto affollato, d’altronde quella tratta per arrivare in cima alla collina non era molto frequentata, circa quaranta minuti e sarei arrivata.
Scesi sulla piazza e mi incamminai sulla stradina che portava in cima, dove era una enorme struttura settecentesca una volta residenza di ricca gente.

Luisella era la mia compagna dell’adolescenza, abitavamo vicino, solo che la sua casa era immensa e ricca di mobili, quadri, argenti, la mia era piccola e poco arredata. Lei era figlia di un avvocato, io avevo solo la mamma, vedova, che si arrangiava in piccoli lavori per la sartoria dove ora lavoro io dopo la sua morte. Ci vedevamo poco: lei non frequentava molto i giardini come noi, i suoi genitori non lo permettevano. Quel poco però ci bastava, eravamo legatissime. Luisella era molto tranquilla e faceva decidere sempre me cosa fare. Dei momenti però la vedevo con lo sguardo perso nel vuoto, poi improvvisamente mi diceva che sentiva delle voci e cominciava a dire cose senza senso, io non capivo cosa gli succedeva, però arrivava la sua mamma e di corsa la portava via. Poi le sue uscite si sono diradate e non l’ho più vista ai giardini, lei con la sua famiglia si erano trasferiti altrove.

La Signora Ranieri, la madre di Luisella, ancora oggi viene nella sartoria a misurare i suoi tallieur e camicette di seta. Un giorno mentre appuntavo spilli sulla gonna che stava provando gli chiesi di Luisella. Lei molto austera mi rispose: “Luisella ormai ha la sua vita all’estero, era sprecata qui con gli studi che ha fatto, mica poteva fare la sartina.”
Le mie gote diventarono rosse ed ebbi un attimo di vergogna.
Un giorno la nostra assistente, la signora Pina, mi raccontò tutt’altro. Che per ignoranza, vergogna e pregiudizio la povera Luisella era stata allontanata dalla famiglia stessa, non era all’estero ma viveva in quella settecentesca villa, e io ben sapevo a cosa era adibita.

Arrivai fuori la struttura e attraversai il viale alberato, entrai. Dal portone d’ingresso si sentiva un gran vociare, pure qualche urlo ma non si vedeva nessuno.
Nell’enorme atrio mi venne incontro una ragazza, un’infermiera. Gli chiesi se era possibile far visita alla signora Luisella Ranieri, lei gentilmente mi accompagnò, e mi disse: “Avrà sicuramente piacere di ricevere una visita, non viene mai nessuno a trovarla.”
Mi indicò una porta sulla destra in fondo al corridoio, provai a bussare ma non ricevetti risposta, con delicatezza aprì la porta e mi trovai Luisella davanti che sorrideva e mi disse: “Buongiorno dottoressa ho preso il caffè, ho preso acqua potabile, ho preso la  compressa vorrei una sigaretta”, quella frase la ripeté moltissime volte come se fosse registrata sulla  sua bocca. Non mi aveva nemmeno riconosciuta, mi gettò le braccia al collo e sorridendo col suo disordine mentale mi strinse forte, la sua dottoressa era l’unica figura a cui aggrapparsi.