IL FARO LO SA   35.202 caratteri spazi inclusi  Garamond 12. Giustificato

 

L’uomo camminava nella notte assorto in pensieri cupi, gli ultimi avvenimenti avevano instillato nel suo animo il tarlo del dubbio. Mani in tasca e berretto calato sulla fronte, sperava che la notte, visto che non gli concedeva il beneficio del sonno, gli portasse almeno consiglio. Non si accorse dell’ombra che lo seguiva rasente i muri, il colpo alla testa arrivò all’improvviso e lo fece piombare a terra privo di sensi.

 

Il dottor Barti guardava pensieroso l’uomo disteso sul letto d’ospedale, attaccato a una flebo e al macchinario che monitorava la pressione sanguigna e i battiti del cuore. Poteva avere trenta, trentacinque anni, un fisico robusto. Un passante lo aveva trovato a terra esanime e aveva subito chiamato un’ambulanza, i portantini trovarono l’uomo  ma non la persona che aveva telefonato; probabilmente aveva preferito evitare rogne come spesso accade. Un gemito del paziente convinse il dottore a tentare qualche domanda:

«Signore mi sente? Può dirmi il suo nome? Mi risponda se può».

Purtroppo dalla sua bocca non uscì neppure un suono, non un muscolo del suo corpo dava segni di vita. Il dottor Barti diede disposizioni all’infermiera e uscì dalla stanza, dicendo che avrebbe chiamato la polizia, il malcapitato non aveva documenti con sé, bisognava indagare.

 

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La tempesta infuriava quella notte, le gigantesche onde del mare si infrangevano con rumore assordante contro gli scogli, urla e gemiti di uomini terrorizzati si perdevano in quel frastuono, un faro dall’alto del promontorio, illuminava con fasci di luce la terribile scena, rendendola ancor più spettrale. Un uomo si sporgeva dal faro e precipitava di sotto sfracellandosi sugli scogli.

«Amedeo!»  La voce pareva provenire dall’oltretomba.

L’uomo si svegliò con un grido, madido di sudore, ansimante. Subito accorse l’infermiera, che chiamò immediatamente il dottor Barti.

«Si è svegliato finalmente – disse – si calmi, qui è al sicuro, non abbia paura».

«Dove sono?» – chiese con voce flebile lo sconosciuto.

«All’Ospedale San Cristoforo, io sono il dottor Barti».

«Ospedale? Perché… Che succede… Non capisco».

«Cerchi di calmarsi, ha subito un forte trauma cranico. Vuole dirmi il suo nome? »

«Il mio nome? Non… Non so… Non ricordo, mi gira la testa».

«D’accordo, aspetteremo, ora cerchi di rilassarsi».

Fece cenno all’infermiera che prontamente aggiunse alla flebo una fiala di sedativo.

«Lasciamolo riposare, domani riproveremo. Nel frattempo spero che la polizia scopra qualcosa».

 

Il sonno artificiale gli fece passare una notte relativamente calma, al mattino aprì gli occhi e subito lo accolse il sorriso dell’infermiera:

«Buongiorno, come si sente oggi? »

«Un po’ meglio grazie».

«Le ho portato la colazione, deve rimettersi in forze».

«Non ho fame, ho mal di testa».

«Coraggio, cerchi di mangiare qualcosa, io vado a chiamare il dottor Barti».

Sollevò la spalliera del letto, gli sistemò i cuscini dietro la schiena, appoggiò il vassoio con la colazione e se ne andò. Il paziente provò a bere un po’ di latte e inzuppò un biscotto molto lentamente, si sentiva esausto. Il dottore entrò sorridendo:

«Oh bene, molto bene! Vedo che comincia a reagire, bravo. Allora, come si sente, comincia a ricordare qualcosa? Il suo nome, il suo indirizzo…»

«No dottore – rispose sconsolato – non ricordo nulla».

«La polizia sta indagando, vedrà che scoprirà chi è lei».

«La polizia? Perché, cosa c’entra la polizia? »

«Vede caro signore, le è stato inferto un forte colpo alla testa, questo trauma ha sicuramente causato la sua amnesia, è ovvio che la polizia debba scoprire cosa è successo».

«Oh no, mi sembra di impazzire. Non è venuto nessuno a cercarmi? »

«No, mi dispiace».

«Magari fra qualche giorno…»

«Lei si trova qui da più di un mese».

«COSA? –  si abbandonò sui cuscini sconsolato – non può essere vero, no, devo sapere! Dottore la prego mi faccia uscire di qui, potrei ricordare qualcosa vedendo l’ambiente esterno».

«Lei è troppo debole, non può andare in giro. Abbia ancora pazienza, intanto si sforzi, scavi nella sua mente, cerchi di ricordare, anche un piccolo particolare può essere d’aiuto. Ora la lascio, tornerò a trovarla più tardi».

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La stanza era avvolta nella penombra, le palpebre pesanti si abbassavano cedendo al torpore che pervadeva tutto il corpo; improvvisamente spalancò gli occhi, c’era qualcuno in quell’angolo buio!
«Chi c’è là? Chi sei? »

«Ciao Amedeo» – l’ombra aveva parlato, non si era mossa da lì, non riusciva a distinguerne i lineamenti.

«Amedeo? Sono io? Tu mi conosci dunque, vieni più vicino, fatti vedere». 

Non ebbe risposta, l’ombra era sparita e lui si ritrovò  solo, disperato, con un solo desiderio… liberarsi da quei maledetti marchingegni che lo bloccavano a letto e andarsene via, alla ricerca del suo passato, della sua identità. Ma doveva convincere il dottore prima; escogitò un piano che gli sembrò piuttosto convincente, doveva solo avere un po’ di pazienza. Nei giorni seguenti fu molto diligente, mangiava tutto ciò che gli veniva portato, non si lamentava mai, sorrideva all’infermiera e al dottore nascondendo l’angoscia che lo tormentava; già, perché ogni notte l’ombra appariva nel solito angolo e lo salutava.
«Ciao Amedeo». Nient’altro.

Dopo una settimana da paziente modello, decise di parlare col dottor Barti.

«Dottore, mi sento molto meglio sa, la memoria non è ancora tornata ma mi sento forte e fiducioso. Le chiedo solo un favore, mi liberi di questi aghi e ventose la prego, vorrei potermi muovere un po’, andare al bagno, sgranchirmi le gambe, per favore».

Il dottore rifletté a lungo prima di rispondere:

«D’accordo, l’accontenterò. Però mi deve promettere che prenderà le medicine che le darò poi».

«Ma certo, glielo prometto, farò tutto ciò che mi dirà».

«Molto bene. Infermiera per favore stacchi pure la flebo e il monitoraggio al nostro paziente, ripasserò più tardi».

 «Subito dottore» – rispose l’infermiera, rivolgendo un sorriso ad Amedeo.

Una volta libero, si sentì al settimo cielo, subito cercò di scendere dal letto ma una vertigine lo fece ricadere sul materasso.

«Attento, deve scendere con lentezza le prime volte».

«Ha ragione infermiera, sono uno stupido. Lei è molto gentile, davvero, come si chiama? »

«Aurora».

«Un nome bellissimo, grazie Aurora, grazie di tutto».

Lei gli sorrise e uscì.

Rimasto solo respirò profondamente gustando al massimo la libertà, muoveva le braccia in tutte le direzioni, sollevava le gambe, si girava e rigirava nel letto come un bambino.

 

Quella sera, dopo aver preso le medicine che l’infermiera gli portò, decise di agire. Non aveva bene in mente cosa fare, ma almeno poteva scendere dal letto. Cautamente mise giù un piede dopo l’altro, si sollevò piano piano, tutto bene. Aprì l’armadietto di fianco al letto, conteneva un pantalone in jeans, una camicia e una giacca sgualciti, un paio di scarpe e un berretto.

“Bene, sono i miei vestiti, controlliamo un po’ cosa c’è nelle tasche”

Cominciò a rovistare con calma in quelle dei pantaloni, nulla, erano vuote. Passò alla giacca, in una tasca trovò una manciata di banconote –  “Che fortuna” – pensò. Nessun documento purtroppo, in un taschino trovò sigarette e accendino, nell’altro la fodera era scucita; nient’altro. Sconsolato stava per riporre la giacca quando sentì uno spessore in fondo, tastò con le dita, era qualcosa di rettangolare piuttosto sottile. Capì cos’era successo, dalla fodera scucita del taschino l’oggetto era scivolato in fondo alla giacca. Infilò la mano e lo estrasse; era un cartoncino blu, piuttosto sgualcito, con scritte in oro  una fotografia:
“IL FARO

Isola delle Moire

Una vacanza da sogno”.

La foto ritraeva un faro su un piccolo promontorio, una stretta striscia di mare lo separava dall’isola. Amedeo pensò che doveva essere un posto magnifico, ma non gli ricordava nulla. Voltò il cartoncino, c’erano alcune parole scritte a mano:

“Con tutto il mio amore, aspettando con ansia un’altra notte indimenticabile”.
Tuo Alfredo

Girava e rigirava il biglietto fra le mani, come poteva essere finito nella sua tasca? E chi era Alfredo? Se il messaggio era davvero indirizzato a lui voleva dire solo una cosa: era gay! Si sentiva frastornato, cerava di scavare nella mente, ma non riusciva a ricordare nulla.

“Devo uscire di qui, devo sapere altrimenti impazzisco. Ho due indizi, almeno spero, mi chiamo Amedeo e c’è qualcuno all’Isola delle Moire che mi conosce. Adesso è troppo buio, non saprei dove andare, proverò all’alba”.

 

L’incubo arrivò puntuale a tormentarlo: tempesta, lampi, tuoni, il faro, il rumore assordante delle onde, le urla e i gemiti dei marinai, infine l’uomo che si gettava dal faro ma… dietro di lui, due braccia tese  lo spingevano. Non si era suicidato era stato ucciso!

Nel dormiveglia sentì ancora quella voce cavernosa: “Ciao Amedeo”.

Si svegliò completamente guardando istintivamente nel solito angolo della stanza ma non c’era nessuno.
“Oh Dio, se non me ne vado da qui divento pazzo”.

Aprì lentamente la porta della camera, non c’era nessuno in vista. Velocemente si liberò del camice dell’ospedale, indossò i vestiti trovati nell’armadietto, aprì ancora la porta per accertarsi che non ci fosse nessuno. Vide Aurora l’infermiera, dirigersi dalla parte opposta, per assistere altri malati; uscì, si guardò intorno, iniziò a scendere le scale, per fortuna dopo due rampe vide subito l’uscita. Senza correre, col cuore che batteva a mille, attraversò il grande atrio, se avesse incontrato il dottor Barti  sarebbe stata una rovina. Andò tutto bene, nessuno si accorse di lui. Fuori albeggiava, aveva tutto il tempo di guardarsi intorno per capire dove si trovasse. Iniziò a camminare respirando l’aria fresca a pieni polmoni, avrebbe voluto urlare per la gioia di essere libero, un ottimismo lo pervase tutto, si sentiva rinascere, era sicuro che sarebbe andato tutto bene. Vide un bar aperto, entrò e chiese cappuccio e brioche; fece colazione seduto al tavolino, tutto gli sembrava meraviglioso, la luce dell’alba, il bar, la schiuma del cappuccino, la fragranza della brioche… “Dio ti ringrazio per tutto questo”.

Il sole era già alto nel cielo quando Amedeo si fermò davanti alla Banca del Popolo, non sapeva perché ma l’istinto gli suggeriva di entrare, così fece, guardandosi attorno spaesato.

«Amedeo! »

Si voltò di scatto verso quella voce, era un cassiere, che gli sorrideva e gli faceva cenno di avvicinarsi.
«Amedeo, dove sei stato tutto questo tempo? Sono venuto anche a cercarti a casa».

«Mi conosce… Lei mi conosce? »

«Ma dai non scherzare, siamo amici da una vita. Amedeo e Federico, gli inseparabili! »

«Non sto scherzando, ho avuto un incidente che mi ha causato una momentanea amnesia, sono appena uscito dall’ospedale».

«Oh, mi dispiace tanto Amedeo, scusami non ne sapevo niente. Posso aiutarti in qualche modo? »

«Sì grazie Federico, purtroppo ho perso tutti i documenti, ho bisogno di prelevare e non so come fare. Puoi aiutarmi? »

«Ma certo, però prima ti consiglierei di andare a casa a controllare, potresti avere una carta di credito o un bancomat in qualche cassetto, non credi? »

«A casa? Oh ma certo, a casa, ehm… mi daresti l’indirizzo per favore, come dicevo poc’anzi non ricordo nulla al momento».

«Povero amico mio, mi meraviglio che ti abbiano dimesso dall’ospedale in questo stato. Aspetta, ti stampo un foglio con i tuoi dati».

AMEDEO VARANI

Via degli aranci 5

BORGO ANTICO

«Ecco qua Amedeo, vedi? Abiti qui vicino, prosegui duecento metri,  giri a destra e sei arrivato».

«Dunque questo sono io, questa è casa mia, Dio santo com’è possibile non ricordare queste cose! Grazie Federico, sono contento che tu sia mio amico, vado subito a casa».

 

L’appartamento si trovava all’interno di una palazzina di tre piani,  trovò il portone aperto, salì le scale guardando le targhette dei cognomi sulle porte, e finalmente eccola, la porta di casa sua A. VARANI.

Non aveva le chiavi, le tasche le aveva controllate in ospedale, provò ad aprire la porta, era chiusa, controllò sotto il portaombrelli, sul bordo superiore della porta, niente da fare. Alquanto sgomento, decise di chiedere alla vicina, chissà, forse le aveva dato le chiavi in custodia, non ricordava nulla, tanto valeva provare. La signora Gisella, un’anziana simpatica donna, aprì la porta e gli fece un gran sorriso:

«Signor Amedeo, che piacere rivederla, come sta? »

«Buongiorno – rispose un po’ impacciato, non ricordava affatto la donna e tantomeno il suo nome – scusi se la disturbo, per caso ha le chiavi del mio appartamento? Non riesco a trovarle».

«Certo! Me le ha date lei stesso in custodia, ormai son due mesi almeno, si ricorda? »

«Oh sì – mentì Amedeo – che stupido avevo dimenticato, me le rende per favore, devo entrare in casa».

«Certo, le prendo subito – mentre rovistava in un barattolo la signora Gisella chiese – allora com’è andata la crociera? Si è divertito? »

Amedeo restò a bocca aperta: «Cosa? »

«Ma sì, mi diede apposta le chiavi perché doveva partire per una crociera, mi parlò di un’isola di un faro, non ricordo bene».

«Ah! Certo, la crociera, sì tutto bene, mi sono divertito, è stato bellissimo, grazie. Ora la saluto signora, grazie di tutto».

Con un sorriso forzato prese le chiavi che la vicina gli porgeva, e andò ad aprire la porta.

La signora Gisella rientrò in casa con un’espressione stupita sul volto:

“Che strano – pensò – sembrava quasi che non mi conoscesse, mah! Questi giovani, chissà che si fumano!”

 

Entrato in casa Amedeo iniziò ad aggirarsi per le stanze cercando un oggetto, una foto, insomma, qualsiasi cosa  potesse ricordargli di sé, del suo passato. In soggiorno, una scrivania attirò la sua attenzione; sul ripiano c’era un computer portatile, portamatite, fogli di carta A4 e una stampante. Gli avrebbe dato un’occhiata dopo, prima preferì aprire i cassetti. Tra varie cose gettate alla rinfusa fu attratto da una busta chiusa; l’aprì e rimase a guardarne il contenuto, immobile, incredulo. Conteneva un biglietto di imbarco a suo nome per L’Isola delle Moire, tirò fuori dalla tasca il cartoncino blu con la foto del faro e la strana dedica scritta sul retro: “Con tutto il mio amore, aspettando con ansia un’altra notte indimenticabile”.
Tuo Alfredo

Questo significava che aveva già in programma di andare sull’Isola, infatti la sua vicina era convinta che fosse tornato dalla crociera. Ma perché voleva andarci? Per incontrare quel fantomatico Alfredo? Ci avrebbe pensato dopo, ora doveva assolutamente trovare una carta di credito, senza soldi non poteva fare nessun progetto. Andò in camera da letto, aprì l’armadio e frugò in tutte le tasche delle giacche. La ricerca ebbe un ottimo risultato… trovò la carta d’identità e la carta di credito con  un bigliettino con scritto il pin; ringraziò mentalmente sé stesso, questo gli semplificava le cose anche se, dovette riconoscere che in momenti normali, lasciare il pin insieme alla carta era una dabbenaggine bella e buona. Un grande sospiro di sollievo allentò la tensione, tirò fuori dall’armadio biancheria pulita, mise al sicuro in una tasca della giacca documenti e biglietto d’imbarco, lasciando tutto ben disposto sul letto. Andò in bagno a fare una bella doccia calda, con indosso l’accappatoio si spostò nella piccola cucina, il frigorifero era vuoto ovviamente, poiché sarebbe dovuto partire già due mesi prima. Gli piaceva quel piccolo appartamento, anche se al momento non ricordava ancora nulla, si stupì non poco accorgendosi che non c’era neppure una fotografia in tutta la casa, come se lui fosse solo al mondo. Decise di dare un taglio a pensieri e considerazioni che non portavano a nulla, si vestì e tornò in banca. Federico il cassiere, ben felice di essergli stato utile, eseguì un prelievo e gli consegnò i soldi, l’estratto conto e il saldo finale. Amedeo vide con soddisfazione che le sue finanze erano solide, ringraziò Federico e andò a mangiare in un ristorantino poco distante:

<DA ORESTE IL CANTASTORIE>

«Oh, buongiorno signor Varani! »

«Buongiorno –  mi conosce, pensò – vorrei mangiare qualcosa».

«Certo la servo subito, che ne dice di uno spaghetto al pomodoro e basilico? So che è il suo piatto preferito».

«Perfetto, grazie».

Si sedette al tavolo e si guardò intorno, era davvero grazioso quel locale, semplice e accogliente; c’erano molte fotografie incorniciate attaccate alle pareti, tutti illustri clienti del passato che si erano lasciati fotografare col padrone del ristorante. Lo sguardo di Amedeo si soffermò su una foto in particolare, era in bianco e nero, raffigurava tre persone felici e sorridenti, accanto a loro un giovane Oreste.; Una didascalia a margine lo fece sobbalzare: “Con affetto, Cesare e Rosa Varani con l’amico Alfredo Spada”.

Oreste gli si avvicinò sorridendo:

«Gran bella foto vero? Ah, quelli erano tempi felici, I suoi genitori erano una bellissima coppia affiatata, chi l’avrebbe detto che sarebbe finita così male! »

Amedeo restò impietrito, quindi quelli erano i suoi genitori da giovani, avrebbe voluto chiedere cosa fosse successo, ma non voleva confidare a Oreste la perdita di memoria. Disse solo:

«Già, una brutta storia. E Alfredo? »

«Beh, dopo la disgrazia sparì dalla circolazione».

Immobile come una statua Amedeo cercò di saperne di più:,

«Dov’è ora? »

«Non lo so, può darsi che sia tornato all’Isola delle Moire, chi lo sa, io non l’ho più visto».

Amedeo sudava, moriva dalla voglia di sapere, quella maledetta amnesia lo stava distruggendo, si impose di resistere per sapere il più possibile da Oreste, che nel frattempo era andato in cucina a preparargli da mangiare. Amedeo aveva lo stomaco chiuso in una morsa ma doveva stare calmo. Con un sorriso che sprizzava soddisfazione Oreste gli mise davanti un profumato e fumante piatto di spaghetti, Amedeo si sforzò di gradire e cominciò a mangiare.

«Eh caro Amedeo, sapesse quante storie fantastiche raccontava suo padre quando veniva qui. Da buon guardiano del faro conosceva tutte le leggende del mare, mostri marini, piovre giganti che inabissavano navi, maghi che causavano terribili tempeste terrorizzando i poveri marinai, che spesso ci lasciavano la pelle… il tutto sotto la luce impietosa del faro. Che fantasia aveva. Anch’io però ne avevo eh? Da bravo “cantastorie” ne sfornavo una dopo l’altra, quanto ci divertivamo».

A quel punto Amedeo decise di andarsene, non resisteva più, doveva assolutamente partire, era convinto che solo tornando all’Isola delle Moire avrebbe risolto il problema. Indizi sicuri ormai ne aveva: Cesare e Rosa erano i suoi genitori, Cesare era il guardiano del faro, poi successe una disgrazia e Alfredo Spada si volatilizzò. Già, proprio quell’Alfredo che aveva scritto il biglietto d’amore. Chiese il conto, ma Oreste non volle neppure un centesimo, si fece solo promettere che si sarebbe fatto vedere più spesso.

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Il mare era liscio come l’olio quel giorno, la nave viaggiava a velocità di crociera per la gioia dei vacanzieri, che si godevano il sole sul ponte. Non mancava molto all’arrivo, Amedeo era impaziente, per lui quella non era una vacanza, ma una ricerca di se stesso, della verità. Appoggiato alla balaustra della prua ebbe un tuffo al cuore quando vide il faro in lontananza. Era spento, poiché era un pomeriggio di un giorno assolato, ma ugualmente affascinante e maestoso, per un momento un flash gli squarciò la mente, la visione di una scena poco piacevole, due voci alterate che discutevano, fu solo per un istante, ma fu sufficiente per turbarlo. Finalmente la nave attraccò al porto, i passeggeri scesero e furono accompagnati al Resort Le Moire, un albergo immerso nel verde delle palme, dove furono accolti con un piccolo rinfresco, quindi ad ognuno furono consegnate le chiavi delle camere.

 

Dopo essersi lavato e cambiato d’abito, Amedeo scese nella hall e si diresse nel grande giardino, all’ombra delle palme regnava una pace e una serenità che non riusciva ancora ad assaporare. Si inoltrò fino al cancello d’entrata, alcune barchette erano legate a dei paletti, a disposizione dei vacanzieri che volessero attraversare la stretta striscia di mare che portava al faro. Ed eccolo lì il faro, un gioiello incastonato nella roccia, alto, maestoso, rassicurante eppure inquietante. Lui sapeva la verità. Assorto nei suoi pensieri non si accorse della presenza dell’uomo anziano che gli si era avvicinato:

«Buongiorno signore, tutto bene? »

«Oh buongiorno a lei – rispose Amedeo – mi scusi ero soprapensiero».

«Questo posto è incantevole vero? Ti fa perdere il senso del tempo e della realtà… è magico! »

«Lei è qui in vacanza? »

«No no, io vivo qui da una vita, sono il titolare di questo albergo, però sono i miei figli che lo gestiscono ormai, io sono troppo vecchio e stanco».

«Capisco – rispose Amedeo – subito ebbe un’illuminazione – allora lei ha conosciuto i vecchi guardiani del faro».

«Ma certo! Più di uno».

«Allora… anche Cesare Varani».

«Oh! Sì certamente, una triste storia di almeno vent’anni fa, finita molto male».

«Cosa successe? »

«Una storia di tradimento, delitto passionale; a quanto pare la moglie del guardiano tradì il marito con un amico di famiglia, un certo Alfredo, che veniva spesso a trovarli, un giorno il Varani li scoprì e successe il finimondo. Uccise la moglie, poi chissà, forse il rimorso, si gettò in mare da lassù, vede? Dalla balaustra del faro».

Amedeo, la fronte imperlata di sudore, rimase immobile per non tradire l’emozione, il racconto combaciava perfettamente col suo incubo dei giorni scorsi, quando era ricoverato all’ospedale.  Chiese ancora:

«E l’amante della moglie? Che fine ha fatto? »

«Mah! Circolarono tante voci ai tempi, chi diceva che era fuggito, chi era certo che avesse spinto lui il povero Cesare giù dalla balaustra, sa cosa le dico io? La verità la conosce solo il faro! Lui è il testimone silenzioso di tutto ciò che succede qui. Peccato per il loro figliolo però, rimasto senza genitori…»

«Che ne è stato di lui? » – chiese con malcelata ansia.

«Si dice che fu affidato a dei parenti, non so niente di preciso».

«Una storia davvero triste» – disse Amedeo quasi tra sé.

«Ah, ma di storie tristi e spaventose qui ce ne sono tantissime, non era facile la vita nel faro, le tempeste, il  fascio di luce che gira continuamente sul mare di notte, è ipnotizzante, può farti vedere ciò che non è, mostri marini fra la spuma delle onde che si infrangono, si sentono urla che paiono umane, invece è l’ululato del vento. Non c’è da stupirsi se qualcuno perde la ragione. Bene, vado a vedere se i miei figli hanno bisogno di aiuto. Arrivederci».

Rimasto solo Amedeo si appoggiò sconsolato ad una palma, che vita infelice aveva alle spalle! Ma perché questa maledetta memoria non tornava? Con chi aveva vissuto? Non lo ricordava. Decise che avrebbe preso una barchetta e si sarebbe recato al faro attraversando lo stretto tratto di mare, forse gli sarebbe stato utile.  In quel momento annunciarono la cena.

Quella notte non riusciva a dormire, affacciato alla finestra guardava affascinato il faro acceso, il suo fascio di luce intermittente illuminava il mare calmo. Non riusciva a staccare lo sguardo da quello spettacolo. Improvvisamente,  in quegli spicchi di luce roteanti gli parve di vedere qualcosa, alcuni rapidi flash: una scala di pietra stretta e ripida, un ragazzino affacciato al parapetto in cima al faro che salutava col braccio alzato qualcuno che stava salendo. Non vedeva il suo volto era di spalle, ma sentì distintamente la sua voce: “Ciao Amedeo”.

Iniziò a sudare freddo, si allontanò dalla finestra e si gettò sul letto stremato. Forse stava cominciando a ricordare…

Al mattino fece colazione e uscì in giardino, un cinguettio di uccelli e un profumo di erba tagliata lo accolsero, chiuse gli occhi e inspirò profondamente; pensò che il Paradiso doveva essere così. Un vecchio giardiniere stava sistemando alcune aiuole. Amedeo gli si avvicinò:

«Buongiorno, già al lavoro? »

«Buongiorno a lei signore, eh sì, il giardino ha bisogno di cure continue, tagliare i rami secchi, innaffiare i fiori, ripulire il terreno dalle foglie cadute».

«Un lavoro faticoso per…».

«Per me a questa età vuole dire? »

«Beh sì, senza offesa naturalmente».

«No giovanotto si figuri, io amo questo giardino, conosco a memoria ogni angolo, ogni albero, ogni fiore. Io l’ho ideato e costruito quando ero molto giovane».

«Davvero?! Ma è fantastico! Complimenti è un giardino stupendo, quindi lei è vissuto sempre qui, conosce vita morte e miracoli di questo posto».

«Può dirlo forte! Ne ho viste di tutti i colori. Vede quello lassù? – Indicò il faro – illumina il mare di notte e aiuta i marinai ma… è anche ingannatore. Durante le tempeste nel suo raggio di luce appaiono volti contorti e urlanti, fantasmi di morti annegati che chiedono pace, molti hanno testimoniato queste visioni. Una notte io vidi un uomo gettarsi in mare dal faro, ma non fu una visione, successe davvero; era il guardiano del faro».

Amedeo respirava a fatica, la tensione era al massimo, lasciò che il vecchio parlasse senza interromperlo.

«Chi parlò di suicidio, chi di omicidio. Entrati nel faro i poliziotti trovarono il corpo della moglie del guardiano a terra in un lago di sangue, accoltellata. In piedi, in un angolo della stanza, il loro figliolo come inebetito, guardava la madre senza dire una parola. Non disse mai cosa aveva visto quella notte, probabilmente non vide nulla, forse si svegliò sentendo gridare… non lo sapremo mai; lo portarono via, credo da alcuni parenti».

«Mi piacerebbe andare al faro uno di questi giorni» – disse Amedeo.

«Niente di più facile, prenda una barchetta fra quelle ormeggiate, se non sa remare posso accompagnarla io».

«Davvero? La ringrazio, mi farebbe piacere, non sono un gran rematore. Quando potremo andare? »

«Anche oggi, nel tardo pomeriggio, sa, qui fa troppo caldo dopo pranzo, preferisco farmi una bella dormita».

«Certo, ha ragione, allora l’aspetto vicino alle barche, grazie infinite».

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Il vecchio remava piano, la barca scivolava leggera lasciando una piccola scia dietro di sé, in un silenzio quasi irreale si sentiva solo il leggero scroscio dei remi che fendevano l’acqua. I raggi del sole erano meno aggressivi, si preparavano al tramonto. Amedeo  vedeva il faro avvicinarsi e diventare sempre più grande, poteva distinguere la ripida scala di pietra laterale che portava fino in cima; un misto di inquietudine lo pervase, paura che non servisse a nulla quell’esperimento, che non avrebbe più ricordato niente, che avrebbe perso per sempre il suo passato.

«Ecco qua giovanotto, siamo arrivati – disse il vecchio mentre legava la  barca al palo – che le dicevo? Non è maestoso e inquietante? »

«Sì, è proprio così, mette i brividi. Ora voglio andare fino in cima, viene con me? »

«Oh no no! Sono troppo vecchio per queste cose, vada pure se ci tiene, però non potrà entrare nel faro. Ormai il tempo del guardiano del faro è finito, è tutto comandato dai computer».

«Mi dica una cosa prima, chi aveva accesso al faro in passato oltre al guardiano? »

«Oh, ben poche persone, quelli che rifornivano il cibo e il medico dell’isola».

«Bene. Io vado, a dopo».

Iniziò a salire lentamente la scala scavata nella roccia reggendosi al corrimano in ferro, saliva guardando sempre verso il faro, quasi aspettasse da lui qualche suggerimento Arrivato in cima si avvicinò alla finestrella per guardare all’interno.
Un grande spazio vuoto che si animò all’improvviso nella sua mente;
vide mobili sistemati tutt’intorno, un tavolo al centro, una scala a chiocciola che portava al piano superiore, una famigliola serena, padre madre e figlio seduti a tavola. Improvvisamente la scena cambia, una tempesta si abbatte sull’isola, il cielo diventa scuro, le onde del mare si ingrossano e vanno a infrangersi rumorosamente contro la roccia, Amedeo guarda immobile la scena che la sua mente gli proietta come fosse un film; ecco l’uomo che sale fino in cima al faro acceso, si appoggia alla balaustra, dietro di lui un altro uomo con le braccia tese in avanti…

«Papààà! Attento! » – grida Amedeo come se la scena si svolgesse in quel momento.
L’uomo precipita in mare. Ora la scena si svolge all’interno: una donna stesa a terra sanguinante, un ragazzino la guarda con gli occhi sbarrati, come inebetito. «Mamma! »  Ora ricorda tutto, quel ragazzino è lui stesso, quella notte voci alterate dalla rabbia lo avevano svegliato, sceso dalla scala a chiocciola, vide due uomini venire alle mani, uno era suo padre, l’altro di spalle, non ne vedeva il viso, sparirono tutti e due verso la cima del faro, sotto quella terribile tempesta. Per terra il corpo della mamma, tutto quel sangue, vicino a lei un coltello, il ragazzino lo raccoglie e resta lì, impalato a guardare sua madre ormai esanime. Il ricordo termina bruscamente, Amedeo si riscuote, è sconvolto, l’assassino è l’uomo che non è riuscito a vedere in faccia, poteva essere Alfredo?  Con la testa appoggiata alla finestrella del faro, sconsolato, sente distintamente:
«Ciao Amedeo».

Alza di scatto la testa e si volta:
«DOTTOR BARTI!!! »

«Amedeo, stai bene? »  
Un’improvviso terrore gli serra la gola.

«Ma… Che significa… cosa ci fa lei qui! »

«Sono qui per aiutarti».

«Aiutarmi? E mi ha seguito fino all’isola? Che razza di scherzo è questo! »

«Io vivevo qui Amedeo, tanti anni fa, ero il medico del villaggio. Quella notte ero al faro».

«Io sto impazzendo, e questo che significa? Che ha spinto lei mio padre? E chi è Alfredo allora? »

«Stai calmo, ti spiegherò tutto, vieni torniamo giù, mio fratello ci aspetta».

«Suo fratello? »

«Sì, l’anziano giardiniere che ti ha accompagnato fin qui, è mio fratello».

 

QUELLA NOTTE:

 

La tempesta era arrivata all’improvviso, tuoni, fulmini, il rumore assordante del vento e delle onde marine che si sfracellavano sulla roccia.

«Non potete andare via con questo tempaccio – disse Cesare Varani, il guardiano del faro – Vi sistemerete qui per la notte».

Alfredo Spada e il Dottor Giuseppe Barti accettarono di buon grado, era impensabile mettersi in mare.

La madre di Amedeo, Rosa, servì una cena frugale, non aveva un’espressione serena anzi, sembrava contrariata. Amedeo se ne accorse ma non disse nulla.

Cesare Varani salutò tutti e andò in cima al faro acceso, doveva stare di guardia, qualcuno poteva trovarsi in difficoltà. Aveva sistemato lassù una branda, così avrebbe potuto vigilare più facilmente.

Improvvisamente voci stridule, alterate dalla rabbia svegliarono Amedeo, che scese per vedere cosa stesse succedendo. Vide la madre in camicia da notte, i capelli scarmigliati, che inveiva contro il marito:
«Schifoso pervertito! Come hai potuto farmi questo! Mi fai orrore! Ho visto quel lurido biglietto sai, siete due maiali! »

Gli si era scagliata addosso graffiandogli il viso, Cesare cercava di difendersi dalla sua furia, Alfredo, si era rannicchiato in un angolo tutto tremante, il dottor Barti cercava di dividerli.

Amedeo era esterrefatto, non capiva, suo padre e Alfredo erano quasi nudi, la madre come impazzita.

All’improvviso successe tutto, Cesare afferrò un coltello e colpì più volte la moglie, che si accasciò in un lago di sangue poi, gettata l’arma prese a salire come un folle in cima al faro che, indifferente a tutto illuminava la scena. Il dottor Barti arrivò ansimante, in tempo per vedere Cesare a cavalcioni della balaustra, allungò le braccia per trattenerlo ma non fece in tempo; il suo corpo precipitò fra le onde burrascose del mare. Si voltò per tornare giù ma restò di ghiaccio: Amedeo era dietro di lui, il coltello insanguinato fra le mani, lo sguardo inebetito.

 

 

«Ecco la verità Amedeo, tu fosti affidato ad alcuni parenti, Alfredo sparì dalla circolazione, io lasciai l’Isola delle Moire al più presto, non potevo più rimanere. Tu col tempo hai rimosso tutto quell’orrore, ed è stato un bene, credimi».
«Perché non me ne ha parlato all’ospedale? Io avevo degli incubi, mi sentivo chiamare e sognavo che qualcuno buttava giù dal faro un uomo, mi sembrava di impazzire. Ho anche trovato il biglietto d’amore per mio padre di Alfredo nella giacca, chissà come ci è finito. E poi, chi mi ha colpito alla testa quella sera? »
«E’ stato un piccolo delinquente che voleva derubarti, a quanto pare non avevi soldi, oppure è stato disturbato ed è scappato. Quando ti ho visto quella sera ti ho riconosciuto subito, tu non ricordavi neppure il tuo nome. Ero io che ti chiamavo di notte, io ho messo il biglietto nella tua tasca, speravo che ti aiutasse a ricordare qualcosa».
«Perché lei aveva il biglietto di Alfredo per mio padre? E’ assurdo».
«Vedi, Alfredo uscì terribilmente traumatizzato da quella situazione, restò in contatto con me, lo aiutai al meglio delle mie possibilità. Via dall’isola venne ad abitare qui nelle vicinanze. Quando fosti ricoverato nel mio ospedale in amnesia totale, fui io a chiedere il suo aiuto. Escogitammo un piano per aiutarti: era Alfredo che ti salutava ogni notte per ricordarti il tuo nome, mi diede anche il biglietto che scrisse a tuo padre, io lo infilai nella tasca della tua giacca, speravo ti aiutasse a ricordare. Accettai di toglierti il monitoraggio, sapevo che saresti andato via alla ricerca dei ricordi. Non sei mai stato solo Amedeo, ti ho sempre controllato e seguito, fino a qui come vedi. Ora vieni, scendiamo».

Sempre più confuso Amedeo segue Barti come un automa, scendono la scala fino alla barca.

«Ecco, Sali pure con mio fratello, io sono arrivato dopo con un’altra barca. Ci vediamo all’isola.

 

………………………………………………………………………………………………………

Il dottor Barti si avvicinò al tavolo del ristorante dove Amedeo stava cenando.
«Posso farti compagnia? Devo presentarti una persona».
«Si accomodi dottore, quale persona? »
Barti fece un cenno verso la porta d’entrata e un uomo anziano si fece avanti.
«Ecco, questo è Alfredo».

Il viso di Amedeo diventò di pietra, gli occhi fissi sull’uomo che gli aveva rovinato la vita, e aveva rovinato la sua infanzia. Era tutta colpa sua e del suo vizio.

«Amedeo – disse Alfredo in tono contrito – mi dispiace tanto per quello che è successo, per quanto hai dovuto soffrire».

«Davvero? Mi sembra un po’ tardi non credi? Dopo trent’anni! »

«Hai ragione, anch’io sono stato tanto male, il dottore sa tutto di me, mi ha curato. Poi, non ho avuto il coraggio di farmi vedere ecco, sono stato un vile. Però una cosa voglio dirti: io amavo tuo padre e lui amava me. E’ stato un amore proibito ma vero, sincero».

«Ti pare confortante per me sapere che mio padre era un depravato? Che ha tradito mia madre con… con…»

«No! Ti prego Amedeo non dire così di tuo padre – lo interruppe Alfredo con le lacrime agli occhi – sono qui e ti scongiuro di perdonarmi, di perdonare anche tuo padre».

«Mi dispiace, non posso! Ho bisogno di riflettere, ho bisogno di tempo. Forse un domani, ma ora no. Lasciatemi solo».

Alfredo uscì dal ristorante, le spalle ricurve e gli occhi bassi, accompagnato dal dottor Barti.

Amedeo uscì in giardino, il profumo dei fiori era inebriante, volse lo sguardo al faro, luminoso, imponente, indifferente testimone di quella tragedia.

 

“Che storia terribile – disse fra sé – tu sapevi tutto vero? Non potevi dirmelo, lo so. Ma rivederti mi ha aiutato lo stesso. Grazie”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL FARO    35.202 caratteri spazi inclusi  Garamond 12. Giustificato

 

L’uomo camminava nella notte assorto in pensieri cupi, gli ultimi avvenimenti avevano instillato nel suo animo il tarlo del dubbio. Mani in tasca e berretto calato sulla fronte, sperava che la notte, visto che non gli concedeva il beneficio del sonno, gli portasse almeno consiglio. Non si accorse dell’ombra che lo seguiva rasente i muri, il colpo alla testa arrivò all’improvviso e lo fece piombare a terra privo di sensi.

 

Il dottor Barti guardava pensieroso lo sconosciuto disteso sul letto d’ospedale, attaccato a una flebo e al macchinario che monitorava la pressione sanguigna e i battiti del cuore. Poteva avere trenta, trentacinque anni, un fisico robusto. Un passante lo aveva trovato a terra esanime e aveva subito chiamato un’ambulanza, i portantini trovarono l’uomo  ma non la persona che aveva telefonato; probabilmente aveva preferito evitare rogne come spesso accade. Un gemito del paziente convinse il dottore a tentare qualche domanda:

«Signore mi sente? Può dirmi il suo nome? Mi risponda se può».

Purtroppo dalla sua bocca non uscì neppure un suono, non un muscolo del suo corpo dava segni di vita. Il dottor Barti diede disposizioni all’infermiera e uscì dalla stanza, dicendo che avrebbe chiamato la polizia, il malcapitato non aveva documenti con sé, bisognava indagare.

 

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La tempesta infuriava quella notte, le gigantesche onde del mare si infrangevano con rumore assordante contro gli scogli, urla e gemiti di uomini terrorizzati si perdevano in quel frastuono, un faro dall’alto del promontorio, illuminava con fasci di luce la terribile scena, rendendola ancor più spettrale. Un uomo si sporgeva dal faro e precipitava di sotto sfracellandosi sugli scogli.

«Amedeo!»  La voce pareva provenire dall’oltretomba.

L’uomo si svegliò con un grido, madido di sudore, ansimante. Subito accorse l’infermiera, che chiamò immediatamente il dottor Barti.

«Si è svegliato finalmente – disse – si calmi, qui è al sicuro, non abbia paura».

«Dove sono?» – chiese con voce flebile lo sconosciuto.

«All’Ospedale San Cristoforo, io sono il dottor Barti».

«Ospedale? Perché… Che succede… Non capisco».

«Cerchi di calmarsi, ha subito un forte trauma cranico. Vuole dirmi il suo nome? »

«Il mio nome? Non… Non so… Non ricordo, mi gira la testa».

«D’accordo, aspetteremo, ora cerchi di rilassarsi».

Fece cenno all’infermiera che prontamente aggiunse alla flebo una fiala di sedativo.

«Lasciamolo riposare, domani riproveremo. Nel frattempo spero che la polizia scopra qualcosa».

 

Il sonno artificiale gli fece passare una notte relativamente calma, al mattino aprì gli occhi e subito lo accolse il sorriso dell’infermiera:

«Buongiorno, come si sente oggi? »

«Un po’ meglio grazie».

«Le ho portato la colazione, deve rimettersi in forze».

«Non ho fame, ho mal di testa».

«Coraggio, cerchi di mangiare qualcosa, io vado a chiamare il dottor Barti».

Sollevò la spalliera del letto, gli sistemò i cuscini dietro la schiena, appoggiò il vassoio con la colazione e se ne andò. Il paziente provò a bere un po’ di latte e inzuppò un biscotto molto lentamente, si sentiva esausto. Il dottore entrò sorridendo:

«Oh bene, molto bene! Vedo che comincia a reagire, bravo. Allora, come si sente, comincia a ricordare qualcosa? Il suo nome, il suo indirizzo…»

«No dottore – rispose sconsolato – non ricordo nulla».

«La polizia sta indagando, vedrà che scoprirà chi è lei».

«La polizia? Perché, cosa c’entra la polizia? »

«Vede caro signore, le è stato inferto un forte colpo alla testa, questo trauma ha sicuramente causato la sua amnesia, è ovvio che la polizia debba scoprire cosa è successo».

«Oh no, mi sembra di impazzire. Non è venuto nessuno a cercarmi? »

«No, mi dispiace».

«Magari fra qualche giorno…»

«Lei si trova qui da più di un mese».

«COSA? –  si abbandonò sui cuscini sconsolato – non può essere vero, no, devo sapere! Dottore la prego mi faccia uscire di qui, potrei ricordare qualcosa vedendo l’ambiente esterno».

«Lei è troppo debole, non può andare in giro. Abbia ancora pazienza, intanto si sforzi, scavi nella sua mente, cerchi di ricordare, anche un piccolo particolare può essere d’aiuto. Ora la lascio, tornerò a trovarla più tardi».

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La stanza era avvolta nella penombra, le palpebre pesanti si abbassavano cedendo al torpore che pervadeva tutto il corpo; improvvisamente spalancò gli occhi, c’era qualcuno in quell’angolo buio!
«Chi c’è là? Chi sei? »

«Ciao Amedeo» – l’ombra aveva parlato, non si era mossa da lì, non riusciva a distinguerne i lineamenti.

«Amedeo? Sono io? Tu mi conosci dunque, vieni più vicino, fatti vedere». 

Non ebbe risposta, l’ombra era sparita e lui si ritrovò  solo, disperato, con un solo desiderio… liberarsi da quei maledetti marchingegni che lo bloccavano a letto e andarsene via, alla ricerca del suo passato, della sua identità. Ma doveva convincere il dottore prima; escogitò un piano che gli sembrò piuttosto convincente, doveva solo avere un po’ di pazienza. Nei giorni seguenti fu molto diligente, mangiava tutto ciò che gli veniva portato, non si lamentava mai, sorrideva all’infermiera e al dottore nascondendo l’angoscia che lo tormentava; già, perché ogni notte l’ombra appariva nel solito angolo e lo salutava.
«Ciao Amedeo». Nient’altro.

Dopo una settimana da paziente modello, decise di parlare col dottor Barti.

«Dottore, mi sento molto meglio sa, la memoria non è ancora tornata ma mi sento forte e fiducioso. Le chiedo solo un favore, mi liberi di questi aghi e ventose la prego, vorrei potermi muovere un po’, andare al bagno, sgranchirmi le gambe, per favore».

Il dottore rifletté a lungo prima di rispondere:

«D’accordo, l’accontenterò. Però mi deve promettere che prenderà le medicine che le darò poi».

«Ma certo, glielo prometto, farò tutto ciò che mi dirà».

«Molto bene. Infermiera per favore stacchi pure la flebo e il monitoraggio al nostro paziente, ripasserò più tardi».

 «Subito dottore» – rispose l’infermiera, rivolgendo un sorriso ad Amedeo.

Una volta libero, si sentì al settimo cielo, subito cercò di scendere dal letto ma una vertigine lo fece ricadere sul materasso.

«Attento, deve scendere con lentezza le prime volte».

«Ha ragione infermiera, sono uno stupido. Lei è molto gentile, davvero, come si chiama? »

«Aurora».

«Un nome bellissimo, grazie Aurora, grazie di tutto».

Lei gli sorrise e uscì.

Rimasto solo respirò profondamente gustando al massimo la libertà, muoveva le braccia in tutte le direzioni, sollevava le gambe, si girava e rigirava nel letto come un bambino.

 

Quella sera, dopo aver preso le medicine che l’infermiera gli portò, decise di agire. Non aveva bene in mente cosa fare, ma almeno poteva scendere dal letto. Cautamente mise giù un piede dopo l’altro, si sollevò piano piano, tutto bene. Aprì l’armadietto di fianco al letto, conteneva un pantalone in jeans, una camicia e una giacca sgualciti, un paio di scarpe e un berretto.

“Bene, sono i miei vestiti, controlliamo un po’ cosa c’è nelle tasche”

Cominciò a rovistare con calma in quelle dei pantaloni, nulla, erano vuote. Passò alla giacca, in una tasca trovò una manciata di banconote –  “Che fortuna” – pensò. Nessun documento purtroppo, in un taschino trovò sigarette e accendino, nell’altro la fodera era scucita; nient’altro. Sconsolato stava per riporre la giacca quando sentì uno spessore in fondo, tastò con le dita, era qualcosa di rettangolare piuttosto sottile. Capì cos’era successo, dalla fodera scucita del taschino l’oggetto era scivolato in fondo alla giacca. Infilò la mano e lo estrasse; era un cartoncino blu, piuttosto sgualcito, con scritte in oro  una fotografia:
“IL FARO

Isola delle Moire

Una vacanza da sogno”.

La foto ritraeva un faro su un piccolo promontorio, una stretta striscia di mare lo separava dall’isola. Amedeo pensò che doveva essere un posto magnifico, ma non gli ricordava nulla. Voltò il cartoncino, c’erano alcune parole scritte a mano:

“Con tutto il mio amore, aspettando con ansia un’altra notte indimenticabile”.
Tuo Alfredo

Girava e rigirava il biglietto fra le mani, come poteva essere finito nella sua tasca? E chi era Alfredo? Se il messaggio era davvero indirizzato a lui voleva dire solo una cosa: era gay! Si sentiva frastornato, cerava di scavare nella mente, ma non riusciva a ricordare nulla.

“Devo uscire di qui, devo sapere altrimenti impazzisco. Ho due indizi, almeno spero, mi chiamo Amedeo e c’è qualcuno all’Isola delle Moire che mi conosce. Adesso è troppo buio, non saprei dove andare, proverò all’alba”.

 

L’incubo arrivò puntuale a tormentarlo: tempesta, lampi, tuoni, il faro, il rumore assordante delle onde, le urla e i gemiti dei marinai, infine l’uomo che si gettava dal faro ma… dietro di lui, due braccia tese  lo spingevano. Non si era suicidato era stato ucciso!

Nel dormiveglia sentì ancora quella voce cavernosa: “Ciao Amedeo”.

Si svegliò completamente guardando istintivamente nel solito angolo della stanza ma non c’era nessuno.
“Oh Dio, se non me ne vado da qui divento pazzo”.

Aprì lentamente la porta della camera, non c’era nessuno in vista. Velocemente si liberò del camice dell’ospedale, indossò i vestiti trovati nell’armadietto, aprì ancora la porta per accertarsi che non ci fosse nessuno. Vide Aurora l’infermiera, dirigersi dalla parte opposta, per assistere altri malati; uscì, si guardò intorno, iniziò a scendere le scale, per fortuna dopo due rampe vide subito l’uscita. Senza correre, col cuore che batteva a mille, attraversò il grande atrio, se avesse incontrato il dottor Barti  sarebbe stata una rovina. Andò tutto bene, nessuno si accorse di lui. Fuori albeggiava, aveva tutto il tempo di guardarsi intorno per capire dove si trovasse. Iniziò a camminare respirando l’aria fresca a pieni polmoni, avrebbe voluto urlare per la gioia di essere libero, un ottimismo lo pervase tutto, si sentiva rinascere, era sicuro che sarebbe andato tutto bene. Vide un bar aperto, entrò e chiese cappuccio e brioche; fece colazione seduto al tavolino, tutto gli sembrava meraviglioso, la luce dell’alba, il bar, la schiuma del cappuccino, la fragranza della brioche… “Dio ti ringrazio per tutto questo”.

Il sole era già alto nel cielo quando Amedeo si fermò davanti alla Banca del Popolo, non sapeva perché ma l’istinto gli suggeriva di entrare, così fece, guardandosi attorno spaesato.

«Amedeo! »

Si voltò di scatto verso quella voce, era un cassiere, che gli sorrideva e gli faceva cenno di avvicinarsi.
«Amedeo, dove sei stato tutto questo tempo? Sono venuto anche a cercarti a casa».

«Mi conosce… Lei mi conosce? »

«Ma dai non scherzare, siamo amici da una vita. Amedeo e Federico, gli inseparabili! »

«Non sto scherzando, ho avuto un incidente che mi ha causato una momentanea amnesia, sono appena uscito dall’ospedale».

«Oh, mi dispiace tanto Amedeo, scusami non ne sapevo niente. Posso aiutarti in qualche modo? »

«Sì grazie Federico, purtroppo ho perso tutti i documenti, ho bisogno di prelevare e non so come fare. Puoi aiutarmi? »

«Ma certo, però prima ti consiglierei di andare a casa a controllare, potresti avere una carta di credito o un bancomat in qualche cassetto, non credi? »

«A casa? Oh ma certo, a casa, ehm… mi daresti l’indirizzo per favore, come dicevo poc’anzi non ricordo nulla al momento».

«Povero amico mio, mi meraviglio che ti abbiano dimesso dall’ospedale in questo stato. Aspetta, ti stampo un foglio con i tuoi dati».

AMEDEO VARANI

Via degli aranci 5

BORGO ANTICO

«Ecco qua Amedeo, vedi? Abiti qui vicino, prosegui duecento metri,  giri a destra e sei arrivato».

«Dunque questo sono io, questa è casa mia, Dio santo com’è possibile non ricordare queste cose! Grazie Federico, sono contento che tu sia mio amico, vado subito a casa».

 

L’appartamento si trovava all’interno di una palazzina di tre piani,  trovò il portone aperto, salì le scale guardando le targhette dei cognomi sulle porte, e finalmente eccola, la porta di casa sua A. VARANI.

Non aveva le chiavi, le tasche le aveva controllate in ospedale, provò ad aprire la porta, era chiusa, controllò sotto il portaombrelli, sul bordo superiore della porta, niente da fare. Alquanto sgomento, decise di chiedere alla vicina, chissà, forse le aveva dato le chiavi in custodia, non ricordava nulla, tanto valeva provare. La signora Gisella, un’anziana simpatica donna, aprì la porta e gli fece un gran sorriso:

«Signor Amedeo, che piacere rivederla, come sta? »

«Buongiorno – rispose un po’ impacciato, non ricordava affatto la donna e tantomeno il suo nome – scusi se la disturbo, per caso ha le chiavi del mio appartamento? Non riesco a trovarle».

«Certo! Me le ha date lei stesso in custodia, ormai son due mesi almeno, si ricorda? »

«Oh sì – mentì Amedeo – che stupido avevo dimenticato, me le rende per favore, devo entrare in casa».

«Certo, le prendo subito – mentre rovistava in un barattolo la signora Gisella chiese – allora com’è andata la crociera? Si è divertito? »

Amedeo restò a bocca aperta: «Cosa? »

«Ma sì, mi diede apposta le chiavi perché doveva partire per una crociera, mi parlò di un’isola di un faro, non ricordo bene».

«Ah! Certo, la crociera, sì tutto bene, mi sono divertito, è stato bellissimo, grazie. Ora la saluto signora, grazie di tutto».

Con un sorriso forzato prese le chiavi che la vicina gli porgeva, e andò ad aprire la porta.

La signora Gisella rientrò in casa con un’espressione stupita sul volto:

“Che strano – pensò – sembrava quasi che non mi conoscesse, mah! Questi giovani, chissà che si fumano!”

 

Entrato in casa Amedeo iniziò ad aggirarsi per le stanze cercando un oggetto, una foto, insomma, qualsiasi cosa  potesse ricordargli di sé, del suo passato. In soggiorno, una scrivania attirò la sua attenzione; sul ripiano c’era un computer portatile, portamatite, fogli di carta A4 e una stampante. Gli avrebbe dato un’occhiata dopo, prima preferì aprire i cassetti. Tra varie cose gettate alla rinfusa fu attratto da una busta chiusa; l’aprì e rimase a guardarne il contenuto, immobile, incredulo. Conteneva un biglietto di imbarco a suo nome per L’Isola delle Moire, tirò fuori dalla tasca il cartoncino blu con la foto del faro e la strana dedica scritta sul retro: “Con tutto il mio amore, aspettando con ansia un’altra notte indimenticabile”.
Tuo Alfredo

Questo significava che aveva già in programma di andare sull’Isola, infatti la sua vicina era convinta che fosse tornato dalla crociera. Ma perché voleva andarci? Per incontrare quel fantomatico Alfredo? Ci avrebbe pensato dopo, ora doveva assolutamente trovare una carta di credito, senza soldi non poteva fare nessun progetto. Andò in camera da letto, aprì l’armadio e frugò in tutte le tasche delle giacche. La ricerca ebbe un ottimo risultato… trovò la carta d’identità e la carta di credito con  un bigliettino con scritto il pin; ringraziò mentalmente sé stesso, questo gli semplificava le cose anche se, dovette riconoscere che in momenti normali, lasciare il pin insieme alla carta era una dabbenaggine bella e buona. Un grande sospiro di sollievo allentò la tensione, tirò fuori dall’armadio biancheria pulita, mise al sicuro in una tasca della giacca documenti e biglietto d’imbarco, lasciando tutto ben disposto sul letto. Andò in bagno a fare una bella doccia calda, con indosso l’accappatoio si spostò nella piccola cucina, il frigorifero era vuoto ovviamente, poiché sarebbe dovuto partire già due mesi prima. Gli piaceva quel piccolo appartamento, anche se al momento non ricordava ancora nulla, si stupì non poco accorgendosi che non c’era neppure una fotografia in tutta la casa, come se lui fosse solo al mondo. Decise di dare un taglio a pensieri e considerazioni che non portavano a nulla, si vestì e tornò in banca. Federico il cassiere, ben felice di essergli stato utile, eseguì un prelievo e gli consegnò i soldi, l’estratto conto e il saldo finale. Amedeo vide con soddisfazione che le sue finanze erano solide, ringraziò Federico e andò a mangiare in un ristorantino poco distante:

<DA ORESTE IL CANTASTORIE>

«Oh, buongiorno signor Varani! »

«Buongiorno –  mi conosce, pensò – vorrei mangiare qualcosa».

«Certo la servo subito, che ne dice di uno spaghetto al pomodoro e basilico? So che è il suo piatto preferito».

«Perfetto, grazie».

Si sedette al tavolo e si guardò intorno, era davvero grazioso quel locale, semplice e accogliente; c’erano molte fotografie incorniciate attaccate alle pareti, tutti illustri clienti del passato che si erano lasciati fotografare col padrone del ristorante. Lo sguardo di Amedeo si soffermò su una foto in particolare, era in bianco e nero, raffigurava tre persone felici e sorridenti, accanto a loro un giovane Oreste.; Una didascalia a margine lo fece sobbalzare: “Con affetto, Cesare e Rosa Varani con l’amico Alfredo”.

Oreste gli si avvicinò sorridendo:

«Gran bella foto vero? Ah, quelli erano tempi felici, I suoi genitori erano una bellissima coppia affiatata, chi l’avrebbe detto che sarebbe finita così male! »

Amedeo restò impietrito, quindi quelli erano i suoi genitori da giovani, avrebbe voluto chiedere cosa fosse successo, ma non voleva confidare a Oreste la perdita di memoria. Disse solo:

«Già, una brutta storia. E Alfredo? »

«Beh, dopo la disgrazia sparì dalla circolazione».

Immobile come una statua Amedeo cercò di saperne di più:,

«Dov’è ora? »

«Non lo so, può darsi che sia tornato all’Isola delle Moire, chi lo sa, io non l’ho più visto».

Amedeo sudava, moriva dalla voglia di sapere, quella maledetta amnesia lo stava distruggendo, si impose di resistere per sapere il più possibile da Oreste, che nel frattempo era andato in cucina a preparargli da mangiare. Amedeo aveva lo stomaco chiuso in una morsa ma doveva stare calmo. Con un sorriso che sprizzava soddisfazione Oreste gli mise davanti un profumato e fumante piatto di spaghetti, Amedeo si sforzò di gradire e cominciò a mangiare.

«Eh caro Amedeo, sapesse quante storie fantastiche raccontava suo padre quando veniva qui. Conosceva tutte le leggende del mare, mostri marini, piovre giganti che inabissavano navi, maghi che causavano terribili tempeste terrorizzando i poveri marinai, che spesso ci lasciavano la pelle… il tutto sotto la luce impietosa del faro. Che fantasia aveva. Anch’io però ne avevo eh? Da bravo “cantastorie” ne sfornavo una dopo l’altra, quanto ci divertivamo».

A quel punto Amedeo decise di andarsene, non resisteva più, doveva assolutamente partire, era convinto che solo tornando all’Isola delle Moire avrebbe risolto il problema. Indizi sicuri ormai ne aveva: Cesare e Rosa erano i suoi genitori, Cesare era il guardiano del faro, poi successe una disgrazia e Alfredo Spada gli subentrò. Già, proprio quell’Alfredo che aveva scritto il biglietto d’amore. Chiese il conto, ma Oreste non volle neppure un centesimo, si fece solo promettere che si sarebbe fatto vedere più spesso.

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Il mare era liscio come l’olio quel giorno, la nave viaggiava a velocità di crociera per la gioia dei vacanzieri, che si godevano il sole sul ponte. Non mancava molto all’arrivo, Amedeo era impaziente, per lui quella non era una vacanza, ma una ricerca di se stesso, della verità. Appoggiato alla balaustra della prua ebbe un tuffo al cuore quando vide il faro in lontananza. Era spento, poiché era un pomeriggio di un giorno assolato, ma ugualmente affascinante e maestoso, per un momento un flash gli squarciò la mente, la visione di una scena poco piacevole, due voci alterate che discutevano, fu solo per un istante, ma fu sufficiente per turbarlo. Finalmente la nave attraccò al porto, i passeggeri scesero e furono accompagnati al Resort Le Moire, un albergo immerso nel verde delle palme, dove furono accolti con un piccolo rinfresco, quindi ad ognuno furono consegnate le chiavi delle camere.

 

Dopo essersi lavato e cambiato d’abito, Amedeo scese nella hall e si diresse nel grande giardino, all’ombra delle palme regnava una pace e una serenità che non riusciva ancora ad assaporare. Si inoltrò fino al cancello d’entrata, alcune barchette erano legate a dei paletti, a disposizione dei vacanzieri che volessero attraversare la stretta striscia di mare che portava al faro. Ed eccolo lì il faro, un gioiello incastonato nella roccia, alto, maestoso, rassicurante eppure inquietante. Lui sapeva la verità. Assorto nei suoi pensieri non si accorse della presenza dell’uomo anziano che gli si era avvicinato:

«Buongiorno signore, tutto bene? »

«Oh buongiorno a lei – rispose Amedeo – mi scusi ero soprapensiero».

«Questo posto è incantevole vero? Ti fa perdere il senso del tempo e della realtà… è magico! »

«Lei è qui in vacanza? »

«No no, io vivo qui da una vita, sono il titolare di questo albergo, però sono i miei figli che lo gestiscono ormai, io sono troppo vecchio e stanco».

«Capisco – rispose Amedeo – subito ebbe un’illuminazione – allora lei ha conosciuto i vecchi guardiani del faro».

«Ma certo! Più di uno».

«Allora… anche Cesare Varani».

«Oh! Sì certamente, una triste storia di almeno vent’anni fa, finita molto male».

«Cosa successe? »

«Una storia di tradimento, delitto passionale; a quanto pare la moglie del guardiano tradì il marito con un amico di famiglia, un certo Alfredo, che veniva spesso a trovarli, un giorno il Varani li scoprì e successe il finimondo. Uccise la moglie, poi chissà, forse il rimorso, si gettò in mare da lassù, vede? Dalla balaustra del faro».

Amedeo, la fronte imperlata di sudore, rimase immobile per non tradire l’emozione, il racconto combaciava perfettamente col suo incubo dei giorni scorsi, quando era ricoverato all’ospedale.  Chiese ancora:

«E l’amante della moglie? Che fine ha fatto? »

«Mah! Circolarono tante voci ai tempi, chi diceva che era fuggito, chi era certo che avesse spinto lui il povero Cesare giù dalla balaustra, sa cosa le dico io? La verità la conosce solo il faro! Lui è il testimone silenzioso di tutto ciò che succede qui. Peccato per il loro figliolo però, rimasto senza genitori…»

«Che ne è stato di lui? » – chiese con malcelata ansia.

«Si dice che fu affidato a dei parenti, non so niente di preciso».

«Una storia davvero triste» – disse Amedeo quasi tra sé.

«Ah, ma di storie tristi e spaventose qui ce ne sono tantissime, non era facile la vita nel faro, le tempeste, il  fascio di luce che gira continuamente sul mare di notte, è ipnotizzante, può farti vedere ciò che non è, mostri marini fra la spuma delle onde che si infrangono, si sentono urla che paiono umane, invece è l’ululato del vento. Non c’è da stupirsi se qualcuno perde la ragione. Bene, vado a vedere se i miei figli hanno bisogno di aiuto. Arrivederci».

Rimasto solo Amedeo si appoggiò sconsolato ad una palma, che vita infelice aveva alle spalle! Ma perché questa maledetta memoria non tornava? Con chi aveva vissuto? Non lo ricordava. Decise che avrebbe preso una barchetta e si sarebbe recato al faro attraversando lo stretto tratto di mare, forse gli sarebbe stato utile.  In quel momento annunciarono la cena.

Quella notte non riusciva a dormire, affacciato alla finestra guardava affascinato il faro acceso, il suo fascio di luce intermittente illuminava il mare calmo. Non riusciva a staccare lo sguardo da quello spettacolo. Improvvisamente,  in quegli spicchi di luce roteanti gli parve di vedere qualcosa, alcuni rapidi flash: una scala di pietra stretta e ripida, un ragazzino affacciato al parapetto in cima al faro che salutava col braccio alzato qualcuno che stava salendo. Non vedeva il suo volto era di spalle, ma sentì distintamente la sua voce: “Ciao Amedeo”.

Iniziò a sudare freddo, si allontanò dalla finestra e si gettò sul letto stremato. Forse stava cominciando a ricordare…

Al mattino fece colazione e uscì in giardino, un cinguettio di uccelli e un profumo di erba tagliata lo accolsero, chiuse gli occhi e inspirò profondamente; pensò che il Paradiso doveva essere così. Un vecchio giardiniere stava sistemando alcune aiuole. Amedeo gli si avvicinò:

«Buongiorno, già al lavoro? »

«Buongiorno a lei signore, eh sì, il giardino ha bisogno di cure continue, tagliare i rami secchi, innaffiare i fiori, ripulire il terreno dalle foglie cadute».

«Un lavoro faticoso per…».

«Per me a questa età vuole dire? »

«Beh sì, senza offesa naturalmente».

«No giovanotto si figuri, io amo questo giardino, conosco a memoria ogni angolo, ogni albero, ogni fiore. Io l’ho ideato e costruito quando ero molto giovane».

«Davvero?! Ma è fantastico! Complimenti è un giardino stupendo, quindi lei è vissuto sempre qui, conosce vita morte e miracoli di questo posto».

«Può dirlo forte! Ne ho viste di tutti i colori. Vede quello lassù? – Indicò il faro – illumina il mare di notte e aiuta i marinai ma… è anche ingannatore. Durante le tempeste nel suo raggio di luce appaiono volti contorti e urlanti, fantasmi di morti annegati che chiedono pace, molti hanno testimoniato queste visioni. Una notte io vidi un uomo gettarsi in mare dal faro, ma non fu una visione, successe davvero; era il guardiano del faro».

Amedeo respirava a fatica, la tensione era al massimo, lasciò che il vecchio parlasse senza interromperlo.

«Chi parlò di suicidio, chi di omicidio. Entrati nel faro i poliziotti trovarono il corpo della moglie del guardiano a terra in un lago di sangue, accoltellata. In piedi, in un angolo della stanza, il loro figliolo come inebetito, guardava la madre senza dire una parola. Non disse mai cosa aveva visto quella notte, probabilmente non vide nulla, forse si svegliò sentendo gridare… non lo sapremo mai; lo portarono via, credo da alcuni parenti».

«Mi piacerebbe andare al faro uno di questi giorni» – disse Amedeo.

«Niente di più facile, prenda una barchetta fra quelle ormeggiate, se non sa remare posso accompagnarla io».

«Davvero? La ringrazio, mi farebbe piacere, non sono un gran rematore. Quando potremo andare? »

«Anche oggi, nel tardo pomeriggio, sa, qui fa troppo caldo dopo pranzo, preferisco farmi una bella dormita».

«Certo, ha ragione, allora l’aspetto vicino alle barche, grazie infinite».

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Il vecchio remava piano, la barca scivolava leggera lasciando una piccola scia dietro di sé, in un silenzio quasi irreale si sentiva solo il leggero scroscio dei remi che fendevano l’acqua. I raggi del sole erano meno aggressivi, si preparavano al tramonto. Amedeo  vedeva il faro avvicinarsi e diventare sempre più grande, poteva distinguere la ripida scala di pietra laterale che portava fino in cima; un misto di inquietudine lo pervase, paura che non servisse a nulla quell’esperimento, che non avrebbe più ricordato niente, che avrebbe perso per sempre il suo passato.

«Ecco qua giovanotto, siamo arrivati – disse il vecchio mentre legava la  barca al palo – che le dicevo? Non è maestoso e inquietante? »

«Sì, è proprio così, mette i brividi. Ora voglio andare fino in cima, viene con me? »

«Oh no no! Sono troppo vecchio per queste cose, vada pure se ci tiene, però non potrà entrare nel faro. Ormai il tempo del guardiano del faro è finito, è tutto comandato dai computer».

«Mi dica una cosa prima, chi aveva accesso al faro in passato oltre al guardiano? »

«Oh, ben poche persone, quelli che rifornivano il cibo e il medico dell’isola».

«Bene. Io vado, a dopo».

Iniziò a salire lentamente la scala scavata nella roccia reggendosi al corrimano in ferro, saliva guardando sempre verso il faro, quasi aspettasse da lui qualche suggerimento Arrivato in cima si avvicinò alla finestrella per guardare all’interno. Un grande spazio vuoto che si animò all’improvviso nella sua mente;

vide mobili sistemati tutt’intorno, un tavolo al centro, una scala a chiocciola che portava al piano superiore, una famigliola serena, padre madre e figlio seduti a tavola. Improvvisamente la scena cambia, una tempesta si abbatte sull’isola, il cielo diventa scuro, le onde del mare si ingrossano e vanno a infrangersi rumorosamente contro la roccia, Amedeo guarda immobile la scena che la sua mente gli proietta come fosse un film; ecco l’uomo che sale fino in cima al faro acceso, si appoggia alla balaustra, dietro di lui un altro uomo con le braccia tese in avanti…

«Papààà! Attento! » – grida Amedeo. Troppo tardi, l’uomo precipita in mare. Ora la scena si svolge all’interno: una donna stesa a terra sanguinante, un ragazzino la guarda con gli occhi sbarrati, come inebetito. «Mamma! »  Ora ricorda tutto, quel ragazzino è lui stesso, quella notte voci alterate dalla rabbia lo avevano svegliato, sceso dalla scala a chiocciola, vide due uomini venire alle mani, uno era suo padre, l’altro di spalle, non ne vedeva il viso, sparirono tutti e due verso la cima del faro, sotto quella terribile tempesta. Per terra il corpo della mamma, tutto quel sangue, vicino a lei un coltello, il ragazzino lo raccoglie e resta lì, impalato a guardare sua madre ormai esanime. Il ricordo termina bruscamente, Amedeo si riscuote, è sconvolto, l’assassino è l’uomo che non è riuscito a vedere in faccia, poteva essere Alfredo?  Con la testa appoggiata alla finestrella del faro, sconsolato, sente distintamente:
«Ciao Amedeo».

Alza di scatto la testa e si volta:
«DOTTOR BARTI!!! »

«Amedeo, stai bene? »  
Un’improvvisa gli serra la gola.

«Ma… Che significa… cosa ci fa lei qui! »

«Sono qui per aiutarti».

«Aiutarmi? E mi ha seguito fino all’isola? Che razza di scherzo è questo! »

«Io vivevo qui Amedeo, tanti anni fa, ero il medico del villaggio. Quella notte ero al faro».

«Io sto impazzendo, e questo che significa? Che ha spinto lei mio padre? E chi è Alfredo allora? »

«Stai calmo, ti spiegherò tutto, vieni torniamo giù, mio fratello ci aspetta».

«Suo fratello? »

«Sì, l’anziano giardiniere che ti ha accompagnato fin qui, è mio fratello».

 

QUELLA NOTTE:

 

La tempesta era arrivata all’improvviso, tuoni, fulmini, il rumore assordante del vento e delle onde marine che si sfracellavano sulla roccia.

«Non potete andare via con questo tempaccio – disse Cesare Varani il guardiano del faro – Vi sistemerete qui per la notte».

Alfredo Spada e il Dottor Giuseppe Barti accettarono di buon grado, era impensabile mettersi in mare.

La madre di Amedeo, Rosa, servì una cena frugale, non aveva un’espressione serena anzi, sembrava contrariata. Amedeo se ne accorse ma non disse nulla.

Cesare Varani salutò tutti e andò in cima al faro acceso, doveva stare di guardia, qualcuno poteva trovarsi in difficoltà. Aveva sistemato lassù una branda, così avrebbe potuto vigilare più facilmente.

Improvvisamente voci stridule, alterate dalla rabbia svegliarono Amedeo, che scese per vedere cosa stesse succedendo. Vide la madre in camicia da notte, i capelli scarmigliati, che inveiva contro il marito:
«Schifoso pervertito! Come hai potuto farmi questo! Mi fai orrore! Ho visto quel lurido biglietto sai, siete due maiali! »

Gli si era scagliata addosso graffiandogli il viso, Cesare cercava di difendersi dalla sua furia, Alfredo, si era rannicchiato in un angolo tutto tremante, il dottor Barti cercava di dividerli.

Amedeo era esterrefatto, non capiva, suo padre e Alfredo erano quasi nudi, la madre come impazzita.

All’improvviso successe tutto, Cesare afferrò un coltello e colpì più volte la moglie, che si accasciò in un lago di sangue poi, gettata l’arma prese a salire come un folle in cima al faro che, indifferente a tutto illuminava la scena. Il dottor Barti arrivò ansimante, in tempo per vedere Cesare a cavalcioni della balaustra, allungò le braccia per trattenerlo ma non fece in tempo; il suo corpo precipitò fra le onde burrascose del mare. Si voltò per tornare giù ma restò di ghiaccio: Amedeo era dietro di lui, il coltello insanguinato fra le mani, lo sguardo inebetito.

 

 

«Ecco la verità Amedeo, tu fosti affidato ad alcuni parenti, Alfredo sparì dalla circolazione, io lasciai l’Isola delle Moire al più presto, non potevo più rimanere. Tu col tempo hai rimosso tutto quell’orrore, ed è stato un bene, credimi».
«Perché non me ne ha parlato all’ospedale? Io avevo degli incubi, mi sentivo chiamare e sognavo che qualcuno buttava giù dal faro un uomo, mi sembrava di impazzire. Ho anche trovato il biglietto d’amore per mio padre di Alfredo nella giacca, chissà come ci è finito. E poi, chi mi ha colpito alla testa quella sera? »
«Quando ti ho visto quella sera ti ho riconosciuto subito, tu non ricordavi neppure il tuo nome. Ero io che ti chiamavo di notte, io ho messo il biglietto nella tua tasca, speravo che ti aiutasse a ricordare qualcosa. Il colpo alla testa è opera di un piccolo delinquente che voleva derubarti, a quanto pare non avevi soldi, oppure è stato disturbato ed è scappato».
«Perché lei aveva il biglietto di Alfredo per mio padre? E’ assurdo».
«Vedi, Alfredo uscì terribilmente traumatizzato da quella situazione, restò in contatto con me, lo aiutai al meglio delle mie possibilità. Via dall’isola venne ad abitare qui nelle vicinanze. Quando fosti ricoverato nel mio ospedale in amnesia totale, fui io a chiedere il suo aiuto. Escogitammo un piano per aiutarti: era Alfredo che ti salutava ogni notte per ricordarti il tuo nome, mi diede anche il biglietto che scrisse a tuo padre, io lo infilai nella tasca della tua giacca, speravo ti aiutasse a ricordare. Accettai di toglierti il monitoraggio, sapevo che saresti andato via alla ricerca dei ricordi. Non sei mai stato solo Amedeo, ti ho sempre controllato e seguito, fino a qui come vedi. Ora vieni, scendiamo».

Sempre più confuso Amedeo segue Barti come un automa, scendono la scala fino alla barca.

«Ecco, Sali pure con mio fratello, io sono arrivato dopo con un’altra barca. Ci vediamo all’isola.

 

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Il dottor Barti si avvicinò al tavolo del ristorante dove Amedeo stava cenando.
«Posso farti compagnia? Devo presentarti una persona».
«Si accomodi dottore, quale persona? »
Barti fece un cenno verso la porta d’entrata e un uomo anziano si fece avanti.
«Ecco, questo è Alfredo».

Il viso di Amedeo diventò di pietra, gli occhi fissi sull’uomo che gli aveva rovinato la vita, e aveva rovinato la sua infanzia. Era tutta colpa sua e del suo vizio.

«Amedeo – disse Alfredo in tono contrito – mi dispiace tanto per quello che è successo, per quanto hai dovuto soffrire».

«Davvero? Mi sembra un po’ tardi non credi? Dopo trent’anni! »

«Hai ragione, anch’io sono stato tanto male, il dottore sa tutto di me, mi ha curato. Poi, non ho avuto il coraggio di farmi vedere ecco, sono stato un vile. Però una cosa voglio dirti: io amavo tuo padre e lui amava me. E’ stato un amore proibito ma vero, sincero».

«Ti pare confortante per me sapere che mio padre era un depravato? Che ha tradito mia madre con… con…»

«No! Ti prego Amedeo non dire così di tuo padre – lo interruppe Alfredo con le lacrime agli occhi – sono qui e ti scongiuro di perdonarmi, di perdonare anche tuo padre».

«Mi dispiace, non posso! Ho bisogno di riflettere, ho bisogno di tempo. Forse un domani, ma ora no. Lasciatemi solo».

Alfredo uscì dal ristorante, le spalle ricurve e gli occhi bassi, accompagnato dal dottor Barti.

Amedeo uscì in giardino, il profumo dei fiori era inebriante, volse lo sguardo al faro, luminoso, imponente, indifferente testimone di quella tragedia.

 

“Che storia terribile – disse fra sé – tu sapevi tutto vero? Non potevi dirmelo, lo so. Ma rivederti mi ha aiutato lo stesso. Grazie”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL FARO    35.202 caratteri spazi inclusi  Garamond 12. Giustificato

 

L’uomo camminava nella notte assorto in pensieri cupi, gli ultimi avvenimenti avevano instillato nel suo animo il tarlo del dubbio. Mani in tasca e berretto calato sulla fronte, sperava che la notte, visto che non gli concedeva il beneficio del sonno, gli portasse almeno consiglio. Non si accorse dell’ombra che lo seguiva rasente i muri, il colpo alla testa arrivò all’improvviso e lo fece piombare a terra privo di sensi.

 

Il dottor Barti guardava pensieroso lo sconosciuto disteso sul letto d’ospedale, attaccato a una flebo e al macchinario che monitorava la pressione sanguigna e i battiti del cuore. Poteva avere trenta, trentacinque anni, un fisico robusto. Un passante lo aveva trovato a terra esanime e aveva subito chiamato un’ambulanza, i portantini trovarono l’uomo  ma non la persona che aveva telefonato; probabilmente aveva preferito evitare rogne come spesso accade. Un gemito del paziente convinse il dottore a tentare qualche domanda:

«Signore mi sente? Può dirmi il suo nome? Mi risponda se può».

Purtroppo dalla sua bocca non uscì neppure un suono, non un muscolo del suo corpo dava segni di vita. Il dottor Barti diede disposizioni all’infermiera e uscì dalla stanza, dicendo che avrebbe chiamato la polizia, il malcapitato non aveva documenti con sé, bisognava indagare.

 

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La tempesta infuriava quella notte, le gigantesche onde del mare si infrangevano con rumore assordante contro gli scogli, urla e gemiti di uomini terrorizzati si perdevano in quel frastuono, un faro dall’alto del promontorio, illuminava con fasci di luce la terribile scena, rendendola ancor più spettrale. Un uomo si sporgeva dal faro e precipitava di sotto sfracellandosi sugli scogli.

«Amedeo!»  La voce pareva provenire dall’oltretomba.

L’uomo si svegliò con un grido, madido di sudore, ansimante. Subito accorse l’infermiera, che chiamò immediatamente il dottor Barti.

«Si è svegliato finalmente – disse – si calmi, qui è al sicuro, non abbia paura».

«Dove sono?» – chiese con voce flebile lo sconosciuto.

«All’Ospedale San Cristoforo, io sono il dottor Barti».

«Ospedale? Perché… Che succede… Non capisco».

«Cerchi di calmarsi, ha subito un forte trauma cranico. Vuole dirmi il suo nome? »

«Il mio nome? Non… Non so… Non ricordo, mi gira la testa».

«D’accordo, aspetteremo, ora cerchi di rilassarsi».

Fece cenno all’infermiera che prontamente aggiunse alla flebo una fiala di sedativo.

«Lasciamolo riposare, domani riproveremo. Nel frattempo spero che la polizia scopra qualcosa».

 

Il sonno artificiale gli fece passare una notte relativamente calma, al mattino aprì gli occhi e subito lo accolse il sorriso dell’infermiera:

«Buongiorno, come si sente oggi? »

«Un po’ meglio grazie».

«Le ho portato la colazione, deve rimettersi in forze».

«Non ho fame, ho mal di testa».

«Coraggio, cerchi di mangiare qualcosa, io vado a chiamare il dottor Barti».

Sollevò la spalliera del letto, gli sistemò i cuscini dietro la schiena, appoggiò il vassoio con la colazione e se ne andò. Il paziente provò a bere un po’ di latte e inzuppò un biscotto molto lentamente, si sentiva esausto. Il dottore entrò sorridendo:

«Oh bene, molto bene! Vedo che comincia a reagire, bravo. Allora, come si sente, comincia a ricordare qualcosa? Il suo nome, il suo indirizzo…»

«No dottore – rispose sconsolato – non ricordo nulla».

«La polizia sta indagando, vedrà che scoprirà chi è lei».

«La polizia? Perché, cosa c’entra la polizia? »

«Vede caro signore, le è stato inferto un forte colpo alla testa, questo trauma ha sicuramente causato la sua amnesia, è ovvio che la polizia debba scoprire cosa è successo».

«Oh no, mi sembra di impazzire. Non è venuto nessuno a cercarmi? »

«No, mi dispiace».

«Magari fra qualche giorno…»

«Lei si trova qui da più di un mese».

«COSA? –  si abbandonò sui cuscini sconsolato – non può essere vero, no, devo sapere! Dottore la prego mi faccia uscire di qui, potrei ricordare qualcosa vedendo l’ambiente esterno».

«Lei è troppo debole, non può andare in giro. Abbia ancora pazienza, intanto si sforzi, scavi nella sua mente, cerchi di ricordare, anche un piccolo particolare può essere d’aiuto. Ora la lascio, tornerò a trovarla più tardi».

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La stanza era avvolta nella penombra, le palpebre pesanti si abbassavano cedendo al torpore che pervadeva tutto il corpo; improvvisamente spalancò gli occhi, c’era qualcuno in quell’angolo buio!
«Chi c’è là? Chi sei? »

«Ciao Amedeo» – l’ombra aveva parlato, non si era mossa da lì, non riusciva a distinguerne i lineamenti.

«Amedeo? Sono io? Tu mi conosci dunque, vieni più vicino, fatti vedere». 

Non ebbe risposta, l’ombra era sparita e lui si ritrovò  solo, disperato, con un solo desiderio… liberarsi da quei maledetti marchingegni che lo bloccavano a letto e andarsene via, alla ricerca del suo passato, della sua identità. Ma doveva convincere il dottore prima; escogitò un piano che gli sembrò piuttosto convincente, doveva solo avere un po’ di pazienza. Nei giorni seguenti fu molto diligente, mangiava tutto ciò che gli veniva portato, non si lamentava mai, sorrideva all’infermiera e al dottore nascondendo l’angoscia che lo tormentava; già, perché ogni notte l’ombra appariva nel solito angolo e lo salutava.
«Ciao Amedeo». Nient’altro.

Dopo una settimana da paziente modello, decise di parlare col dottor Barti.

«Dottore, mi sento molto meglio sa, la memoria non è ancora tornata ma mi sento forte e fiducioso. Le chiedo solo un favore, mi liberi di questi aghi e ventose la prego, vorrei potermi muovere un po’, andare al bagno, sgranchirmi le gambe, per favore».

Il dottore rifletté a lungo prima di rispondere:

«D’accordo, l’accontenterò. Però mi deve promettere che prenderà le medicine che le darò poi».

«Ma certo, glielo prometto, farò tutto ciò che mi dirà».

«Molto bene. Infermiera per favore stacchi pure la flebo e il monitoraggio al nostro paziente, ripasserò più tardi».

 «Subito dottore» – rispose l’infermiera, rivolgendo un sorriso ad Amedeo.

Una volta libero, si sentì al settimo cielo, subito cercò di scendere dal letto ma una vertigine lo fece ricadere sul materasso.

«Attento, deve scendere con lentezza le prime volte».

«Ha ragione infermiera, sono uno stupido. Lei è molto gentile, davvero, come si chiama? »

«Aurora».

«Un nome bellissimo, grazie Aurora, grazie di tutto».

Lei gli sorrise e uscì.

Rimasto solo respirò profondamente gustando al massimo la libertà, muoveva le braccia in tutte le direzioni, sollevava le gambe, si girava e rigirava nel letto come un bambino.

 

Quella sera, dopo aver preso le medicine che l’infermiera gli portò, decise di agire. Non aveva bene in mente cosa fare, ma almeno poteva scendere dal letto. Cautamente mise giù un piede dopo l’altro, si sollevò piano piano, tutto bene. Aprì l’armadietto di fianco al letto, conteneva un pantalone in jeans, una camicia e una giacca sgualciti, un paio di scarpe e un berretto.

“Bene, sono i miei vestiti, controlliamo un po’ cosa c’è nelle tasche”

Cominciò a rovistare con calma in quelle dei pantaloni, nulla, erano vuote. Passò alla giacca, in una tasca trovò una manciata di banconote –  “Che fortuna” – pensò. Nessun documento purtroppo, in un taschino trovò sigarette e accendino, nell’altro la fodera era scucita; nient’altro. Sconsolato stava per riporre la giacca quando sentì uno spessore in fondo, tastò con le dita, era qualcosa di rettangolare piuttosto sottile. Capì cos’era successo, dalla fodera scucita del taschino l’oggetto era scivolato in fondo alla giacca. Infilò la mano e lo estrasse; era un cartoncino blu, piuttosto sgualcito, con scritte in oro  una fotografia:
“IL FARO

Isola delle Moire

Una vacanza da sogno”.

La foto ritraeva un faro su un piccolo promontorio, una stretta striscia di mare lo separava dall’isola. Amedeo pensò che doveva essere un posto magnifico, ma non gli ricordava nulla. Voltò il cartoncino, c’erano alcune parole scritte a mano:

“Con tutto il mio amore, aspettando con ansia un’altra notte indimenticabile”.
Tuo Alfredo

Girava e rigirava il biglietto fra le mani, come poteva essere finito nella sua tasca? E chi era Alfredo? Se il messaggio era davvero indirizzato a lui voleva dire solo una cosa: era gay! Si sentiva frastornato, cerava di scavare nella mente, ma non riusciva a ricordare nulla.

“Devo uscire di qui, devo sapere altrimenti impazzisco. Ho due indizi, almeno spero, mi chiamo Amedeo e c’è qualcuno all’Isola delle Moire che mi conosce. Adesso è troppo buio, non saprei dove andare, proverò all’alba”.

 

L’incubo arrivò puntuale a tormentarlo: tempesta, lampi, tuoni, il faro, il rumore assordante delle onde, le urla e i gemiti dei marinai, infine l’uomo che si gettava dal faro ma… dietro di lui, due braccia tese  lo spingevano. Non si era suicidato era stato ucciso!

Nel dormiveglia sentì ancora quella voce cavernosa: “Ciao Amedeo”.

Si svegliò completamente guardando istintivamente nel solito angolo della stanza ma non c’era nessuno.
“Oh Dio, se non me ne vado da qui divento pazzo”.

Aprì lentamente la porta della camera, non c’era nessuno in vista. Velocemente si liberò del camice dell’ospedale, indossò i vestiti trovati nell’armadietto, aprì ancora la porta per accertarsi che non ci fosse nessuno. Vide Aurora l’infermiera, dirigersi dalla parte opposta, per assistere altri malati; uscì, si guardò intorno, iniziò a scendere le scale, per fortuna dopo due rampe vide subito l’uscita. Senza correre, col cuore che batteva a mille, attraversò il grande atrio, se avesse incontrato il dottor Barti  sarebbe stata una rovina. Andò tutto bene, nessuno si accorse di lui. Fuori albeggiava, aveva tutto il tempo di guardarsi intorno per capire dove si trovasse. Iniziò a camminare respirando l’aria fresca a pieni polmoni, avrebbe voluto urlare per la gioia di essere libero, un ottimismo lo pervase tutto, si sentiva rinascere, era sicuro che sarebbe andato tutto bene. Vide un bar aperto, entrò e chiese cappuccio e brioche; fece colazione seduto al tavolino, tutto gli sembrava meraviglioso, la luce dell’alba, il bar, la schiuma del cappuccino, la fragranza della brioche… “Dio ti ringrazio per tutto questo”.

Il sole era già alto nel cielo quando Amedeo si fermò davanti alla Banca del Popolo, non sapeva perché ma l’istinto gli suggeriva di entrare, così fece, guardandosi attorno spaesato.

«Amedeo! »

Si voltò di scatto verso quella voce, era un cassiere, che gli sorrideva e gli faceva cenno di avvicinarsi.
«Amedeo, dove sei stato tutto questo tempo? Sono venuto anche a cercarti a casa».

«Mi conosce… Lei mi conosce? »

«Ma dai non scherzare, siamo amici da una vita. Amedeo e Federico, gli inseparabili! »

«Non sto scherzando, ho avuto un incidente che mi ha causato una momentanea amnesia, sono appena uscito dall’ospedale».

«Oh, mi dispiace tanto Amedeo, scusami non ne sapevo niente. Posso aiutarti in qualche modo? »

«Sì grazie Federico, purtroppo ho perso tutti i documenti, ho bisogno di prelevare e non so come fare. Puoi aiutarmi? »

«Ma certo, però prima ti consiglierei di andare a casa a controllare, potresti avere una carta di credito o un bancomat in qualche cassetto, non credi? »

«A casa? Oh ma certo, a casa, ehm… mi daresti l’indirizzo per favore, come dicevo poc’anzi non ricordo nulla al momento».

«Povero amico mio, mi meraviglio che ti abbiano dimesso dall’ospedale in questo stato. Aspetta, ti stampo un foglio con i tuoi dati».

AMEDEO VARANI

Via degli aranci 5

BORGO ANTICO

«Ecco qua Amedeo, vedi? Abiti qui vicino, prosegui duecento metri,  giri a destra e sei arrivato».

«Dunque questo sono io, questa è casa mia, Dio santo com’è possibile non ricordare queste cose! Grazie Federico, sono contento che tu sia mio amico, vado subito a casa».

 

L’appartamento si trovava all’interno di una palazzina di tre piani,  trovò il portone aperto, salì le scale guardando le targhette dei cognomi sulle porte, e finalmente eccola, la porta di casa sua A. VARANI.

Non aveva le chiavi, le tasche le aveva controllate in ospedale, provò ad aprire la porta, era chiusa, controllò sotto il portaombrelli, sul bordo superiore della porta, niente da fare. Alquanto sgomento, decise di chiedere alla vicina, chissà, forse le aveva dato le chiavi in custodia, non ricordava nulla, tanto valeva provare. La signora Gisella, un’anziana simpatica donna, aprì la porta e gli fece un gran sorriso:

«Signor Amedeo, che piacere rivederla, come sta? »

«Buongiorno – rispose un po’ impacciato, non ricordava affatto la donna e tantomeno il suo nome – scusi se la disturbo, per caso ha le chiavi del mio appartamento? Non riesco a trovarle».

«Certo! Me le ha date lei stesso in custodia, ormai son due mesi almeno, si ricorda? »

«Oh sì – mentì Amedeo – che stupido avevo dimenticato, me le rende per favore, devo entrare in casa».

«Certo, le prendo subito – mentre rovistava in un barattolo la signora Gisella chiese – allora com’è andata la crociera? Si è divertito? »

Amedeo restò a bocca aperta: «Cosa? »

«Ma sì, mi diede apposta le chiavi perché doveva partire per una crociera, mi parlò di un’isola di un faro, non ricordo bene».

«Ah! Certo, la crociera, sì tutto bene, mi sono divertito, è stato bellissimo, grazie. Ora la saluto signora, grazie di tutto».

Con un sorriso forzato prese le chiavi che la vicina gli porgeva, e andò ad aprire la porta.

La signora Gisella rientrò in casa con un’espressione stupita sul volto:

“Che strano – pensò – sembrava quasi che non mi conoscesse, mah! Questi giovani, chissà che si fumano!”

 

Entrato in casa Amedeo iniziò ad aggirarsi per le stanze cercando un oggetto, una foto, insomma, qualsiasi cosa  potesse ricordargli di sé, del suo passato. In soggiorno, una scrivania attirò la sua attenzione; sul ripiano c’era un computer portatile, portamatite, fogli di carta A4 e una stampante. Gli avrebbe dato un’occhiata dopo, prima preferì aprire i cassetti. Tra varie cose gettate alla rinfusa fu attratto da una busta chiusa; l’aprì e rimase a guardarne il contenuto, immobile, incredulo. Conteneva un biglietto di imbarco a suo nome per L’Isola delle Moire, tirò fuori dalla tasca il cartoncino blu con la foto del faro e la strana dedica scritta sul retro: “Con tutto il mio amore, aspettando con ansia un’altra notte indimenticabile”.
Tuo Alfredo

Questo significava che aveva già in programma di andare sull’Isola, infatti la sua vicina era convinta che fosse tornato dalla crociera. Ma perché voleva andarci? Per incontrare quel fantomatico Alfredo? Ci avrebbe pensato dopo, ora doveva assolutamente trovare una carta di credito, senza soldi non poteva fare nessun progetto. Andò in camera da letto, aprì l’armadio e frugò in tutte le tasche delle giacche. La ricerca ebbe un ottimo risultato… trovò la carta d’identità e la carta di credito con  un bigliettino con scritto il pin; ringraziò mentalmente sé stesso, questo gli semplificava le cose anche se, dovette riconoscere che in momenti normali, lasciare il pin insieme alla carta era una dabbenaggine bella e buona. Un grande sospiro di sollievo allentò la tensione, tirò fuori dall’armadio biancheria pulita, mise al sicuro in una tasca della giacca documenti e biglietto d’imbarco, lasciando tutto ben disposto sul letto. Andò in bagno a fare una bella doccia calda, con indosso l’accappatoio si spostò nella piccola cucina, il frigorifero era vuoto ovviamente, poiché sarebbe dovuto partire già due mesi prima. Gli piaceva quel piccolo appartamento, anche se al momento non ricordava ancora nulla, si stupì non poco accorgendosi che non c’era neppure una fotografia in tutta la casa, come se lui fosse solo al mondo. Decise di dare un taglio a pensieri e considerazioni che non portavano a nulla, si vestì e tornò in banca. Federico il cassiere, ben felice di essergli stato utile, eseguì un prelievo e gli consegnò i soldi, l’estratto conto e il saldo finale. Amedeo vide con soddisfazione che le sue finanze erano solide, ringraziò Federico e andò a mangiare in un ristorantino poco distante:

<DA ORESTE IL CANTASTORIE>

«Oh, buongiorno signor Varani! »

«Buongiorno –  mi conosce, pensò – vorrei mangiare qualcosa».

«Certo la servo subito, che ne dice di uno spaghetto al pomodoro e basilico? So che è il suo piatto preferito».

«Perfetto, grazie».

Si sedette al tavolo e si guardò intorno, era davvero grazioso quel locale, semplice e accogliente; c’erano molte fotografie incorniciate attaccate alle pareti, tutti illustri clienti del passato che si erano lasciati fotografare col padrone del ristorante. Lo sguardo di Amedeo si soffermò su una foto in particolare, era in bianco e nero, raffigurava tre persone felici e sorridenti, accanto a loro un giovane Oreste.; Una didascalia a margine lo fece sobbalzare: “Con affetto, Cesare e Rosa Varani con l’amico Alfredo”.

Oreste gli si avvicinò sorridendo:

«Gran bella foto vero? Ah, quelli erano tempi felici, I suoi genitori erano una bellissima coppia affiatata, chi l’avrebbe detto che sarebbe finita così male! »

Amedeo restò impietrito, quindi quelli erano i suoi genitori da giovani, avrebbe voluto chiedere cosa fosse successo, ma non voleva confidare a Oreste la perdita di memoria. Disse solo:

«Già, una brutta storia. E Alfredo? »

«Beh, dopo la disgrazia sparì dalla circolazione».

Immobile come una statua Amedeo cercò di saperne di più:,

«Dov’è ora? »

«Non lo so, può darsi che sia tornato all’Isola delle Moire, chi lo sa, io non l’ho più visto».

Amedeo sudava, moriva dalla voglia di sapere, quella maledetta amnesia lo stava distruggendo, si impose di resistere per sapere il più possibile da Oreste, che nel frattempo era andato in cucina a preparargli da mangiare. Amedeo aveva lo stomaco chiuso in una morsa ma doveva stare calmo. Con un sorriso che sprizzava soddisfazione Oreste gli mise davanti un profumato e fumante piatto di spaghetti, Amedeo si sforzò di gradire e cominciò a mangiare.

«Eh caro Amedeo, sapesse quante storie fantastiche raccontava suo padre quando veniva qui. Conosceva tutte le leggende del mare, mostri marini, piovre giganti che inabissavano navi, maghi che causavano terribili tempeste terrorizzando i poveri marinai, che spesso ci lasciavano la pelle… il tutto sotto la luce impietosa del faro. Che fantasia aveva. Anch’io però ne avevo eh? Da bravo “cantastorie” ne sfornavo una dopo l’altra, quanto ci divertivamo».

A quel punto Amedeo decise di andarsene, non resisteva più, doveva assolutamente partire, era convinto che solo tornando all’Isola delle Moire avrebbe risolto il problema. Indizi sicuri ormai ne aveva: Cesare e Rosa erano i suoi genitori, Cesare era il guardiano del faro, poi successe una disgrazia e Alfredo Spada gli subentrò. Già, proprio quell’Alfredo che aveva scritto il biglietto d’amore. Chiese il conto, ma Oreste non volle neppure un centesimo, si fece solo promettere che si sarebbe fatto vedere più spesso.

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Il mare era liscio come l’olio quel giorno, la nave viaggiava a velocità di crociera per la gioia dei vacanzieri, che si godevano il sole sul ponte. Non mancava molto all’arrivo, Amedeo era impaziente, per lui quella non era una vacanza, ma una ricerca di se stesso, della verità. Appoggiato alla balaustra della prua ebbe un tuffo al cuore quando vide il faro in lontananza. Era spento, poiché era un pomeriggio di un giorno assolato, ma ugualmente affascinante e maestoso, per un momento un flash gli squarciò la mente, la visione di una scena poco piacevole, due voci alterate che discutevano, fu solo per un istante, ma fu sufficiente per turbarlo. Finalmente la nave attraccò al porto, i passeggeri scesero e furono accompagnati al Resort Le Moire, un albergo immerso nel verde delle palme, dove furono accolti con un piccolo rinfresco, quindi ad ognuno furono consegnate le chiavi delle camere.

 

Dopo essersi lavato e cambiato d’abito, Amedeo scese nella hall e si diresse nel grande giardino, all’ombra delle palme regnava una pace e una serenità che non riusciva ancora ad assaporare. Si inoltrò fino al cancello d’entrata, alcune barchette erano legate a dei paletti, a disposizione dei vacanzieri che volessero attraversare la stretta striscia di mare che portava al faro. Ed eccolo lì il faro, un gioiello incastonato nella roccia, alto, maestoso, rassicurante eppure inquietante. Lui sapeva la verità. Assorto nei suoi pensieri non si accorse della presenza dell’uomo anziano che gli si era avvicinato:

«Buongiorno signore, tutto bene? »

«Oh buongiorno a lei – rispose Amedeo – mi scusi ero soprapensiero».

«Questo posto è incantevole vero? Ti fa perdere il senso del tempo e della realtà… è magico! »

«Lei è qui in vacanza? »

«No no, io vivo qui da una vita, sono il titolare di questo albergo, però sono i miei figli che lo gestiscono ormai, io sono troppo vecchio e stanco».

«Capisco – rispose Amedeo – subito ebbe un’illuminazione – allora lei ha conosciuto i vecchi guardiani del faro».

«Ma certo! Più di uno».

«Allora… anche Cesare Varani».

«Oh! Sì certamente, una triste storia di almeno vent’anni fa, finita molto male».

«Cosa successe? »

«Una storia di tradimento, delitto passionale; a quanto pare la moglie del guardiano tradì il marito con un amico di famiglia, un certo Alfredo, che veniva spesso a trovarli, un giorno il Varani li scoprì e successe il finimondo. Uccise la moglie, poi chissà, forse il rimorso, si gettò in mare da lassù, vede? Dalla balaustra del faro».

Amedeo, la fronte imperlata di sudore, rimase immobile per non tradire l’emozione, il racconto combaciava perfettamente col suo incubo dei giorni scorsi, quando era ricoverato all’ospedale.  Chiese ancora:

«E l’amante della moglie? Che fine ha fatto? »

«Mah! Circolarono tante voci ai tempi, chi diceva che era fuggito, chi era certo che avesse spinto lui il povero Cesare giù dalla balaustra, sa cosa le dico io? La verità la conosce solo il faro! Lui è il testimone silenzioso di tutto ciò che succede qui. Peccato per il loro figliolo però, rimasto senza genitori…»

«Che ne è stato di lui? » – chiese con malcelata ansia.

«Si dice che fu affidato a dei parenti, non so niente di preciso».

«Una storia davvero triste» – disse Amedeo quasi tra sé.

«Ah, ma di storie tristi e spaventose qui ce ne sono tantissime, non era facile la vita nel faro, le tempeste, il  fascio di luce che gira continuamente sul mare di notte, è ipnotizzante, può farti vedere ciò che non è, mostri marini fra la spuma delle onde che si infrangono, si sentono urla che paiono umane, invece è l’ululato del vento. Non c’è da stupirsi se qualcuno perde la ragione. Bene, vado a vedere se i miei figli hanno bisogno di aiuto. Arrivederci».

Rimasto solo Amedeo si appoggiò sconsolato ad una palma, che vita infelice aveva alle spalle! Ma perché questa maledetta memoria non tornava? Con chi aveva vissuto? Non lo ricordava. Decise che avrebbe preso una barchetta e si sarebbe recato al faro attraversando lo stretto tratto di mare, forse gli sarebbe stato utile.  In quel momento annunciarono la cena.

Quella notte non riusciva a dormire, affacciato alla finestra guardava affascinato il faro acceso, il suo fascio di luce intermittente illuminava il mare calmo. Non riusciva a staccare lo sguardo da quello spettacolo. Improvvisamente,  in quegli spicchi di luce roteanti gli parve di vedere qualcosa, alcuni rapidi flash: una scala di pietra stretta e ripida, un ragazzino affacciato al parapetto in cima al faro che salutava col braccio alzato qualcuno che stava salendo. Non vedeva il suo volto era di spalle, ma sentì distintamente la sua voce: “Ciao Amedeo”.

Iniziò a sudare freddo, si allontanò dalla finestra e si gettò sul letto stremato. Forse stava cominciando a ricordare…

Al mattino fece colazione e uscì in giardino, un cinguettio di uccelli e un profumo di erba tagliata lo accolsero, chiuse gli occhi e inspirò profondamente; pensò che il Paradiso doveva essere così. Un vecchio giardiniere stava sistemando alcune aiuole. Amedeo gli si avvicinò:

«Buongiorno, già al lavoro? »

«Buongiorno a lei signore, eh sì, il giardino ha bisogno di cure continue, tagliare i rami secchi, innaffiare i fiori, ripulire il terreno dalle foglie cadute».

«Un lavoro faticoso per…».

«Per me a questa età vuole dire? »

«Beh sì, senza offesa naturalmente».

«No giovanotto si figuri, io amo questo giardino, conosco a memoria ogni angolo, ogni albero, ogni fiore. Io l’ho ideato e costruito quando ero molto giovane».

«Davvero?! Ma è fantastico! Complimenti è un giardino stupendo, quindi lei è vissuto sempre qui, conosce vita morte e miracoli di questo posto».

«Può dirlo forte! Ne ho viste di tutti i colori. Vede quello lassù? – Indicò il faro – illumina il mare di notte e aiuta i marinai ma… è anche ingannatore. Durante le tempeste nel suo raggio di luce appaiono volti contorti e urlanti, fantasmi di morti annegati che chiedono pace, molti hanno testimoniato queste visioni. Una notte io vidi un uomo gettarsi in mare dal faro, ma non fu una visione, successe davvero; era il guardiano del faro».

Amedeo respirava a fatica, la tensione era al massimo, lasciò che il vecchio parlasse senza interromperlo.

«Chi parlò di suicidio, chi di omicidio. Entrati nel faro i poliziotti trovarono il corpo della moglie del guardiano a terra in un lago di sangue, accoltellata. In piedi, in un angolo della stanza, il loro figliolo come inebetito, guardava la madre senza dire una parola. Non disse mai cosa aveva visto quella notte, probabilmente non vide nulla, forse si svegliò sentendo gridare… non lo sapremo mai; lo portarono via, credo da alcuni parenti».

«Mi piacerebbe andare al faro uno di questi giorni» – disse Amedeo.

«Niente di più facile, prenda una barchetta fra quelle ormeggiate, se non sa remare posso accompagnarla io».

«Davvero? La ringrazio, mi farebbe piacere, non sono un gran rematore. Quando potremo andare? »

«Anche oggi, nel tardo pomeriggio, sa, qui fa troppo caldo dopo pranzo, preferisco farmi una bella dormita».

«Certo, ha ragione, allora l’aspetto vicino alle barche, grazie infinite».

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Il vecchio remava piano, la barca scivolava leggera lasciando una piccola scia dietro di sé, in un silenzio quasi irreale si sentiva solo il leggero scroscio dei remi che fendevano l’acqua. I raggi del sole erano meno aggressivi, si preparavano al tramonto. Amedeo  vedeva il faro avvicinarsi e diventare sempre più grande, poteva distinguere la ripida scala di pietra laterale che portava fino in cima; un misto di inquietudine lo pervase, paura che non servisse a nulla quell’esperimento, che non avrebbe più ricordato niente, che avrebbe perso per sempre il suo passato.

«Ecco qua giovanotto, siamo arrivati – disse il vecchio mentre legava la  barca al palo – che le dicevo? Non è maestoso e inquietante? »

«Sì, è proprio così, mette i brividi. Ora voglio andare fino in cima, viene con me? »

«Oh no no! Sono troppo vecchio per queste cose, vada pure se ci tiene, però non potrà entrare nel faro. Ormai il tempo del guardiano del faro è finito, è tutto comandato dai computer».

«Mi dica una cosa prima, chi aveva accesso al faro in passato oltre al guardiano? »

«Oh, ben poche persone, quelli che rifornivano il cibo e il medico dell’isola».

«Bene. Io vado, a dopo».

Iniziò a salire lentamente la scala scavata nella roccia reggendosi al corrimano in ferro, saliva guardando sempre verso il faro, quasi aspettasse da lui qualche suggerimento Arrivato in cima si avvicinò alla finestrella per guardare all’interno. Un grande spazio vuoto che si animò all’improvviso nella sua mente;

vide mobili sistemati tutt’intorno, un tavolo al centro, una scala a chiocciola che portava al piano superiore, una famigliola serena, padre madre e figlio seduti a tavola. Improvvisamente la scena cambia, una tempesta si abbatte sull’isola, il cielo diventa scuro, le onde del mare si ingrossano e vanno a infrangersi rumorosamente contro la roccia, Amedeo guarda immobile la scena che la sua mente gli proietta come fosse un film; ecco l’uomo che sale fino in cima al faro acceso, si appoggia alla balaustra, dietro di lui un altro uomo con le braccia tese in avanti…

«Papààà! Attento! » – grida Amedeo. Troppo tardi, l’uomo precipita in mare. Ora la scena si svolge all’interno: una donna stesa a terra sanguinante, un ragazzino la guarda con gli occhi sbarrati, come inebetito. «Mamma! »  Ora ricorda tutto, quel ragazzino è lui stesso, quella notte voci alterate dalla rabbia lo avevano svegliato, sceso dalla scala a chiocciola, vide due uomini venire alle mani, uno era suo padre, l’altro di spalle, non ne vedeva il viso, sparirono tutti e due verso la cima del faro, sotto quella terribile tempesta. Per terra il corpo della mamma, tutto quel sangue, vicino a lei un coltello, il ragazzino lo raccoglie e resta lì, impalato a guardare sua madre ormai esanime. Il ricordo termina bruscamente, Amedeo si riscuote, è sconvolto, l’assassino è l’uomo che non è riuscito a vedere in faccia, poteva essere Alfredo?  Con la testa appoggiata alla finestrella del faro, sconsolato, sente distintamente:
«Ciao Amedeo».

Alza di scatto la testa e si volta:
«DOTTOR BARTI!!! »

«Amedeo, stai bene? »  
Un’improvvisa gli serra la gola.

«Ma… Che significa… cosa ci fa lei qui! »

«Sono qui per aiutarti».

«Aiutarmi? E mi ha seguito fino all’isola? Che razza di scherzo è questo! »

«Io vivevo qui Amedeo, tanti anni fa, ero il medico del villaggio. Quella notte ero al faro».

«Io sto impazzendo, e questo che significa? Che ha spinto lei mio padre? E chi è Alfredo allora? »

«Stai calmo, ti spiegherò tutto, vieni torniamo giù, mio fratello ci aspetta».

«Suo fratello? »

«Sì, l’anziano giardiniere che ti ha accompagnato fin qui, è mio fratello».

 

QUELLA NOTTE:

 

La tempesta era arrivata all’improvviso, tuoni, fulmini, il rumore assordante del vento e delle onde marine che si sfracellavano sulla roccia.

«Non potete andare via con questo tempaccio – disse Cesare Varani il guardiano del faro – Vi sistemerete qui per la notte».

Alfredo Spada e il Dottor Giuseppe Barti accettarono di buon grado, era impensabile mettersi in mare.

La madre di Amedeo, Rosa, servì una cena frugale, non aveva un’espressione serena anzi, sembrava contrariata. Amedeo se ne accorse ma non disse nulla.

Cesare Varani salutò tutti e andò in cima al faro acceso, doveva stare di guardia, qualcuno poteva trovarsi in difficoltà. Aveva sistemato lassù una branda, così avrebbe potuto vigilare più facilmente.

Improvvisamente voci stridule, alterate dalla rabbia svegliarono Amedeo, che scese per vedere cosa stesse succedendo. Vide la madre in camicia da notte, i capelli scarmigliati, che inveiva contro il marito:
«Schifoso pervertito! Come hai potuto farmi questo! Mi fai orrore! Ho visto quel lurido biglietto sai, siete due maiali! »

Gli si era scagliata addosso graffiandogli il viso, Cesare cercava di difendersi dalla sua furia, Alfredo, si era rannicchiato in un angolo tutto tremante, il dottor Barti cercava di dividerli.

Amedeo era esterrefatto, non capiva, suo padre e Alfredo erano quasi nudi, la madre come impazzita.

All’improvviso successe tutto, Cesare afferrò un coltello e colpì più volte la moglie, che si accasciò in un lago di sangue poi, gettata l’arma prese a salire come un folle in cima al faro che, indifferente a tutto illuminava la scena. Il dottor Barti arrivò ansimante, in tempo per vedere Cesare a cavalcioni della balaustra, allungò le braccia per trattenerlo ma non fece in tempo; il suo corpo precipitò fra le onde burrascose del mare. Si voltò per tornare giù ma restò di ghiaccio: Amedeo era dietro di lui, il coltello insanguinato fra le mani, lo sguardo inebetito.

 

 

«Ecco la verità Amedeo, tu fosti affidato ad alcuni parenti, Alfredo sparì dalla circolazione, io lasciai l’Isola delle Moire al più presto, non potevo più rimanere. Tu col tempo hai rimosso tutto quell’orrore, ed è stato un bene, credimi».
«Perché non me ne ha parlato all’ospedale? Io avevo degli incubi, mi sentivo chiamare e sognavo che qualcuno buttava giù dal faro un uomo, mi sembrava di impazzire. Ho anche trovato il biglietto d’amore per mio padre di Alfredo nella giacca, chissà come ci è finito. E poi, chi mi ha colpito alla testa quella sera? »
«Quando ti ho visto quella sera ti ho riconosciuto subito, tu non ricordavi neppure il tuo nome. Ero io che ti chiamavo di notte, io ho messo il biglietto nella tua tasca, speravo che ti aiutasse a ricordare qualcosa. Il colpo alla testa è opera di un piccolo delinquente che voleva derubarti, a quanto pare non avevi soldi, oppure è stato disturbato ed è scappato».
«Perché lei aveva il biglietto di Alfredo per mio padre? E’ assurdo».
«Vedi, Alfredo uscì terribilmente traumatizzato da quella situazione, restò in contatto con me, lo aiutai al meglio delle mie possibilità. Via dall’isola venne ad abitare qui nelle vicinanze. Quando fosti ricoverato nel mio ospedale in amnesia totale, fui io a chiedere il suo aiuto. Escogitammo un piano per aiutarti: era Alfredo che ti salutava ogni notte per ricordarti il tuo nome, mi diede anche il biglietto che scrisse a tuo padre, io lo infilai nella tasca della tua giacca, speravo ti aiutasse a ricordare. Accettai di toglierti il monitoraggio, sapevo che saresti andato via alla ricerca dei ricordi. Non sei mai stato solo Amedeo, ti ho sempre controllato e seguito, fino a qui come vedi. Ora vieni, scendiamo».

Sempre più confuso Amedeo segue Barti come un automa, scendono la scala fino alla barca.

«Ecco, Sali pure con mio fratello, io sono arrivato dopo con un’altra barca. Ci vediamo all’isola.

 

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Il dottor Barti si avvicinò al tavolo del ristorante dove Amedeo stava cenando.
«Posso farti compagnia? Devo presentarti una persona».
«Si accomodi dottore, quale persona? »
Barti fece un cenno verso la porta d’entrata e un uomo anziano si fece avanti.
«Ecco, questo è Alfredo».

Il viso di Amedeo diventò di pietra, gli occhi fissi sull’uomo che gli aveva rovinato la vita, e aveva rovinato la sua infanzia. Era tutta colpa sua e del suo vizio.

«Amedeo – disse Alfredo in tono contrito – mi dispiace tanto per quello che è successo, per quanto hai dovuto soffrire».

«Davvero? Mi sembra un po’ tardi non credi? Dopo trent’anni! »

«Hai ragione, anch’io sono stato tanto male, il dottore sa tutto di me, mi ha curato. Poi, non ho avuto il coraggio di farmi vedere ecco, sono stato un vile. Però una cosa voglio dirti: io amavo tuo padre e lui amava me. E’ stato un amore proibito ma vero, sincero».

«Ti pare confortante per me sapere che mio padre era un depravato? Che ha tradito mia madre con… con…»

«No! Ti prego Amedeo non dire così di tuo padre – lo interruppe Alfredo con le lacrime agli occhi – sono qui e ti scongiuro di perdonarmi, di perdonare anche tuo padre».

«Mi dispiace, non posso! Ho bisogno di riflettere, ho bisogno di tempo. Forse un domani, ma ora no. Lasciatemi solo».

Alfredo uscì dal ristorante, le spalle ricurve e gli occhi bassi, accompagnato dal dottor Barti.

Amedeo uscì in giardino, il profumo dei fiori era inebriante, volse lo sguardo al faro, luminoso, imponente, indifferente testimone di quella tragedia.

 

“Che storia terribile – disse fra sé – tu sapevi tutto vero? Non potevi dirmelo, lo so. Ma rivederti mi ha aiutato lo stesso. Grazie”