Il rumore della tv nelle sere d’estate. Quello che senti quando si mangia all’aperto… È solo in quelle sere che trasmettono certi film. E ogni anno li danno, e li ridanno, e li ridanno: pellicole che ormai sanno di salsedine. Non li puoi vedere i fotogrammi, ma tanto li conosci a memoria, e non è difficile indovinare dall’intensità della luce che arriva, da quelle piccole variazioni cromatiche sul muro, il momento esatto un cui lei lo guarda e lui, più o meno inconsapevole, si innamora. E sai, tu già lo sai, che sarà per sempre.

Sono una da cinema impegnato, Luca lo sa bene, dottore, eppure non sfuggo all’addomesticamento sensuale di certi prodotti meno pregiati.

In quei film è così. Come nelle favole in cui tutti vissero felici e contenti.

Che mica ci credi se ti dicono che finisce che lui se la fa con la segretaria. Quello è un altro film, diverso: non è possibile no!Non possono proprio essere il seguito l’uno dell’altro.

Il fatto è, dottore, che per un bel po’ ho pensato che anche per noi sarebbe stato lo stesso. Per sempre. Fino a rinunciare agli altri sogni per onorare l’unico degno di essere vissuto: la nostra storia.

Luca lo sa: volevo andare all’estero io, per dedicare la mia vita al cinema. Sì, volevo provarci almeno.

La cinepresa mi ha sempre fatta sentire viva, la mia estensione naturale, una necessità. Riprendere e girare il mondo. Non credevo di poterne fare a meno. E Luca questo lo adorava un tempo, anche se ora non lo ammette.

O forse non lo ricorda? Deve essere così. L’odore di lei ha soppiantato il mio aroma, e con esso il senso di noi.

Diceva incantato di adorare la mia testa stramba. Di essere affascinato dal mio pensiero. Dal modo in cui ridisponevo le tessere per combinarle in nuove visioni. Così disse. Così mi ha conquistata. Poi… cosa è cambiato? Mentiva? A quale scopo?

Il fatto è, dottore – Dio, che voglia di una sigaretta! – che quando qualcuno ti guarda come ha fatto lui allora, non può che essere per sempre.

Il primo incontro? Sì, oh sì, lo ricordo bene.

Fu quando entrai nell’aula gremita dove ci sarebbe tenuta a breve quella infinita lezione di storia e critica del cinema. Io, nascosta dietro le mie trecce – che cose strane si fanno in certe età! – cercavo un posto libero per ospitare la mia timidezza eccessiva, dannata lei!

E sentii i suoi occhi addosso. Non so se ha il coraggio di negarlo, Luca, che non riusciva proprio a staccarli da me. Con lei, miss Basic Instinct, è diverso. Il desiderio è carnale. Sporco. Ma io… mi gurdava come fossi, che sò, la Madonna. Non voglio risultare offensiva: è proprio per indicare di quanta purezza fossero pervasi i suoi desideri impuri, mi perdoni il gioco di parole, dottore.

Mi imbarazzai, ma colsi grata la sua offerta, fatta con gesto sicuro, di una sedia al suo fianco, in quella insperata seconda fila, che avrebbe avuto il merito di togliermi dall’opprimente esposizione pubblica.

La sua sicurezza. Quel dare tutto per scontato, che oggi spesso mi manda in bestia… sì, all’epoca la trovai molto attraente. Tutto è relativo, non c’è che dire, Einstein ha scoperto una grande verità, applicabile ad ogni sfera esistenziale.

Lui era lì quasi per caso. Aveva scelto quella come materia complementare per la sua laurea in Filosofia.

E aveva scelto me, al primo sguardo.

Io? – potrei avere un bicchier d’acqua? – Ecco io dottore, semplicemente non trovai ragione per resistergli.

Il fatto è, dottore – grazie, ho la gola così secca – che quando qualcuno fa l’amore con te, come ha fatto lui in quella stanza vuota di tutto e pregna di noi, colma dell’incanto dei suoi occhi su ogni mio lieve difetto esaltato a perfezione, rivestita dagli aromi del nostro nuovo umore immischiato, non può che essere per sempre.

Il fatto è che quando la testa è sempre lì, a ripassare il profilo, a riconsiderare la perfezione di un ruga o di un accavallamento dentale, quando la fantasia si aggira sempre intorno al brusio che impegna lo stomaco appassionatamente sottosopra, non può che essere per sempre. Così ti dici.

Non bastarsi mai.

Noi, in quei primi tempi.

Quando ad unirci c’era il cinema, la politica, nuovi territori e sapori da scoprire, c’erano i libri. E il nostro odore.

Troppo per dover aspettare un incontro. Troppo per non decidere di avere una casa tutta nostra. Un letto fisso in cui ritrovarsi la notte. Due tazze uguali ad accoglierci al mattino.

Converrà con me, Luca, che uno neanche se ne accorge quando tutto inizia a cambiare. In un momento quella contemplazione del perfetto diventa un ricordo. Fino a ieri tutto era una meraviglia: ci sentivamo speciali, fortunati. Ma poi quell’idea di noi ha iniziato a sbiadire. Eravamo ancora noi ma non lo eravamo più. E non è che all’improvviso si può fare a meno di aggrapparsi a quel noi, quando è per quello hai fatto ogni tua scelta. Rinunce che non sembravano rinunce. Ma lo erano…

E, vede dottore, ad un certo punto succede: prende possesso di te l’idea che lui ne abbia fatte meno di rinunce, e quando lo osservi ed hai la sensazione che sia esattamente lì, dove avrebbe voluto essere, geograficamente e professionalmente, ti chiedi se sia un vostro traguardo… o forse, ecco, forse è stato solamente il suo?  Suo e di chi? Di una puttanella di segretaria? Ma non me la voglio prendere con lei, no! Siamo sempre così nemiche del nostro genere noi donne. Chissà perché? Se non lo fossimo avremmo in mano il mondo, che sarebbe un posto migliore. Resta il fatto che Miss Moneypenny a me non doveva proprio niente, in fondo, ma Luca… Con Luca amalgamavo la vita.

Era il nostro traguardo la felicitá di entrambi. Ma quando quella felicità finisce riassorbita dalla pelle inaridita come il deserto, restano solo rinunce e traguardi raggiunti. E il disequilibrio… dottore, da principio è disarmante. Non hai più l’amore. Non hai più niente. Ti restano figli ormai grandi che cercano la loro autonomia.

Parlarle dei miei… dei nostri figli?

È un argomento che mi fa così paura…

Sì, ammetto di non averne mai parlato prima perché sono spaventata.

Ho paura di scoprire che siano stati, in qualche modo, l’inizio della fine.

Non voglio indagare. Preferisco pensare siano stati… che só… un acceleratore. Ma la verità è che l’ho dimenticato. Non saprei dire se prima, subito prima di averli nelle nostre vite, eravamo felici. Come dire… felici e basta. Il fatto è dottore, che come spesso succede, sono stata io a volerli.

E mia ogni responsabilità.

Non intendevo sminuire Luca in quanto padre: li ama, lo so. Provvede a loro. Ma non se ne occupa. Il suo lavoro ben pagato e impegnativo funziona come un esonero.

Papà paga. Al resto ha sempre pensato mamma.

Se mi è pesato? No… No!

Mi è pesato non godere della gioia di ascoltarli in due, mi è pesato non poter dispensare consigli che siano frutto di una riflessione condivisa e non soltanto mia.

Io ad educarli. Io lo sport. Io la musica. Il fatto è dottore, che poi, alla fine, ci si abitua all’assenza. La si dà per scontata, tanto che Luca ogni tanto ha lamentato di non essere stato coinvolto.

Ma che senso avrebbe una volta sì e cento no?

Ci ho anche provato, a vedere se fosse mia la colpa… a raccontargli degli amori, dei turbamenti, delle sconfitte e dei traguardi dei suoi figli. Non ha funzionato.

Ma loro ormai sono grandi. Ho fatto quello che potevo. E per loro, dottore, ci saremo sempre. Ma noi?

Quell’assenza si è radicata tra le mura di casa.

Il fatto è, Luca, che ieri ho sentito le vibrazioni di quel film da poco… che mi ha cullata in un vortice di nostalgica e ingenua tenerezza.

E ho realizzato che abbiamo tradito ogni premessa.