Che cosa sia la consecutio temporum lo sappiamo tutti.
Che uno scrittore con buona pratica della lettura riesca a concordare modi e tempi ‘a orecchio’ pure, così come sappiamo (dovremmo sapere) che la lingua italiana contiene tante sottigliezze e tranelli che è facile cadere in errore, anche se ci si crede esperti.

Poco male, succede a tutti e ci sono manuali a cui ricorrere (per esempio questo: http://grammatica-italiana.dossier.net/grammatica-italiana-17.htm), esattamente come  quando ci si dimenticava come risolvere un’equazione di secondo grado e si ricorreva al libro di testo nascosto sotto il banco: il Delta, chi era costui?

Discorso diverso quando si tratta di dialoghi, specialmente per quanto riguarda la scelta dei tempi e il loro utilizzo nei sintagmi di legamento, in particolare per quanto concerne l’uso-abuso dell’imperfetto e una scarsa attenzione all’effetto della punteggiatura sulla dinamicità dell’azione. Ma andiamo con ordine: per chi non lo sapesse (io, per esempio, non lo sapevo) il sintagma di legamento, detto anche verbo di attribuzione, è l’unità sintattica che introduce la battuta in un discorso diretto legato, o in un discorso indiretto legato. Tanto per fare qualche esempio:

accoglie / accolse
accorda / accordò
afferma / affermò
ammette / ammise
annuisce / annuì
approva / approvò
asserisce / asserì
chiede / chiese
commenta / commentò
continua / continuò
conferma / confermò
consola / consolò
dice / disse
dichiara / dichiarò
enuncia / enunciò
esclama / esclamò
esordisce / esordì
fa / fece
grida / gridò
ordina / ordinò
protesta / protestò
provoca / provocò
reitera / reiterò
replica / replicò
ribatte /ribatté
rincara / rincarò
risponde / rispose
ritiene / ritenne
si inserisce / si inserì
sottolinea / sottolineò
spiega / spiegò
tenta / tentò
tronca / troncò

Non è un caso se ho riportato tutti questi esempi: ho ritenuto che potessero servire quando ci si sta scervellando a cercare delle alternative al classico “disse” (che comunque rimane sempre il migliore sintagma di collegamento, perché nei fatti è praticamente trasparente).

Avrete notato che in questi  esempi non è presente l’imperfetto, ed il motivo è semplice: l’ imperfetto è sinonimo di una azione continuata nel passato e se questo può essere (quasi) l’ideale per una narrazione, è molto critico nei dialoghi.

Un esempio:

«È possibile che tutte le volte che metto fuori il gatto tu lo faccia rientrare dalla finestra?» aveva detto Mario a Luisa.

In questo dialogo – un po’ banale – l’imperfetto ci sta, dà l’idea che l’azione sia cominciata nel passato e che il dialogo debba continuare. Certo, usando “disse” la contestualizzazione sarebbe stata immediata, mentre utilizzando il presente sarebbe sembrato di trovarci nella battuta di una sceneggiatura, ma andiamo avanti:

«Ma povera bestia! Non vedi che non vuole restare da solo?» aveva risposto Luisa.

«Se credi che Silvestro abbia di queste malinconie sei scema!» aveva ribattuto Mario. «Quella bestiaccia vuole solo farmi diventare matto!».

Come è facile vedere, già alla seconda battuta l’imperfetto non va bene, relega tutta l’azione nel passato e la cristallizza, allontanandola dal lettore. Nella terza, poi, diventa addirittura ridicolo, e il punto dopo ‘Mario’ è un altro elemento di disturbo, interrompendo l’azione che invece dovrebbe scorrere veloce come in un dialogo reale*. Questo è tanto più necessario, in quanto i dialoghi scritti non corrispondono realmente a quelli della lingua parlata, pieni di pause, mormorii e gesti empatici, per cui bisogna prestare molto attenzione a costruire scene finte che diano l’illusione del vero, proprio come nel cinematografo o nella televisione.

Ma vediamo la stessa scena con i tempi corretti:

«È possibile che tutte le volte che metto fuori il gatto tu lo faccia rientrare dalla finestra?» disse Mario a Luisa.
«Ma povera bestia! Non vedi che non vuole restare da solo?» rispose Luisa.
«Se credi che Silvestro abbia di queste malinconie sei scema» ribatté Mario, «quella bestiaccia vuole solo farmi diventare matto!».

Semplice e lineare, no?

Per quanto concerne, infine, la notazione esistono diverse scuole, quasi una per Casa Editrice. Io preferisco usare le virgolette basse doppie, dette anche virgolette francesi o sergenti, da non confondere con i segni di maggiore e minore, ma è possibile usare altre notazioni, basta mantenerle per tutto il testo. Se non compaiono sulla tastiera non c’è da spaventarsi: i codici ASCII sono rispettivamente ALT+174 e ALT+175 e il gioco è fatto.

*Nei dialoghi dopo una interruzione in cui compare un verbum dicendi si deve mettere il punto e la maiuscola.

Per maggiori informazioni sull’argomento: Scrivere un dialogo che funziona

https://www.wattpad.com/288450425-tecniche-di-scrittura-scrivere-un-dialogo-che