Simon “Rice” Jackson, dopo l’avvertimento di Jack Randazzo, e il ko inferto da Micky, non ci aveva più provato con Tina, ma pure l’idea che lei fosse dietro il bancone durante le sue esibizioni lo eccitava. Lo infervorava. Dava il meglio di sé sapendo che lei era lì, nello stesso spazio e a pochi passi da lui, così non gli importava che la sala fosse piena ma che lei ci fosse. E quella sera Tina non c’era, sostituita da una bionda, tutta occhi e labbra e una quarta di seno a stento contenuta nella camicetta di seta di almeno una taglia inferiore.
Una femmina così avrebbe fatto resuscitare un morto figuriamoci una platea di vivi, che quella sera, a quanto gli era dato vedere, affollavano in massa la zona bar afflitti da una gran sete. Quella femmina dietro il bancone era motivo di distrazione, e così non aveva alcuna intenzione di suonare per un pubblico che non fosse lì esclusivamente per lui.
«Chi è quella?» aveva chiesto con aria disgustata a Jack Randazzo, indicando la barista.
«Clarice Heavenly…bella, vero? Ma tu, Jackson, non farci pensieri sozzi che quella è roba di Lo Cascio».
L’avviso di Randazzo era suonato chiaramente minaccioso.

«Tina… perché non c’è lei? Che fine ha fatto?» aveva chiesto di rimando l’altro.

Neppure stavolta c’era ironia nella sua voce.

«Quella distrae il pubblico. Non la voglio qui».
L’ultima frase, Jackson, l’aveva sibilata in tono duro, senza indietreggiare di un passo.

«Non sei tu a decidere chi può starci o meno. Stai al tuo posto, negro, che la mia pazienza non è infinita. Prendi la tua fottuta armonica e dacci dentro: sei pagato per suonare e non per dare ordini».
«Non voglio quella Clarice qui. O lei o me!»
Per niente intimorito il bluesman s’era fatto ancora più sotto, minaccioso, sovrastando l’altro di una buona spanna. Randazzo, allora, gli aveva puntato la pistola contro,  ma proprio in quel momento avevano fatto contemporaneamente il loro ingresso Lo Cascio e Tina, che s’era andata a posizionare al suo solito posto dietro il bancone, mentre Clarice, ad un cenno del boss, era andata a sedersi al suo stesso tavolo.

«Sei fortunato, bianco, stasera potrai godere ancora della mia musica», aveva detto Jackson con un sorriso di scherno, scansando la pistola che l’altro ancora gli puntava contro, e dirigendosi verso l’orchestra.

 

Quando Clarice Heavenly aveva dismesso i panni della barista per indossare quelli a lei più congeniali della donna del boss, il pubblico aveva sfollato la zona bar riposizionandosi ai tavolini, gli uomini invidiando Lo Cascio per avere accesso ad una donna così, e le donne, invece, Clarice, che possedeva il phisique du role per essere al fianco di un uomo di potere. Nessuno di loro, però, immaginava che quella seducente creatura non aveva alcuna voce in capitolo nella vita di Lo Cascio. Clarice era solo uno status symbol  da sfoggiare con la stessa negligenza con cui certe donne indossano le loro costose pellicce trattandole alla stregua di ingombranti, noiose stole,  che con nonchalance strascicavano nella polvere.  Era molto più considerata Tina, o l’ultimo degli scagnozzi, di Clarice Heavenly, che pure, all’apparenza pareva non dolersene, ma anzi mostrava essere soddisfatta del suo ruolo e grata al boss di averglielo assegnato. Così, quando due ore prima Lo Cascio le aveva detto di prendere il posto di Tina dietro al bancone, lei aveva ubbidito senza fare obiezioni. Tina, invece, ne aveva fatte eccome davanti alla proposta del boss che le consigliava, per il bene di Paddy, di fargli da angelo custode.

 

«Il tuo amico è in gamba ma s’appassiona troppo alle storie degli altri, non si fa gli affari suoi e mette il naso dove non dovrebbe, per questo, per il suo bene, devi tenerlo d’occhio e riferire poi a me».
Lo Cascio aveva fatta accomodare Tina nel suo salottino privato e indicando il mobile bar riccamente fornito le aveva chiesto con un sorriso: posso offrirti qualcosa da bere?

«No, grazie, preferisco rimanere sobria» aveva risposto lei sulla difensiva e senza ricambiare il sorriso.
«Non ci si ubriaca con un solo bicchiere. Ma come vuoi».
S’era seduto di fronte a lei con uno sguardo dubbioso, e poi in tono serio e prendendole una mano le aveva chiesto: piccerè, ma non ti fidi di me?
«Non mi fido di chiunque mi chiede di fare la spia».
Tina aveva pronunciato la frase guardandolo in faccia e ritraendo la mano da quella di lui.

«E qui c’è un malinteso, perché non ti sto chiedendo di fare la spia ma di proteggere il tuo amico, e ti spiego perché. Io, pur non avendo contatti diretti con l’irlandese,(chillo nu’ poco mi schifa) lo tengo in gran conto. Come credi che sia entrato a lavorare alla Ford? Grazie alla mia benevolenza e al fatto che dovevo onorare un mio vecchio debito, solo parzialmente saldato, con padre Murray. E i debiti vanno pagati tutti interi, piccerè. Ma ora dopo l’assassinio di quel Wood mi sono pentito di essermi fatto garante per il tuo amico, il cui stupido idealismo potrebbe metterlo forse in pericolo. Per questo dobbiamo fare in modo, tu ed io, che non si cacci in guai seri.  Ma lo faccio anche per me» aveva detto sospirando «perché non voglio che padre Murray dubiti della mia onestà d’intenti e che lo abbia fatto assumere con chissà quale oscuro scopo. Lo devi fare, Tina, per tutti noi, dal momento che O’Reilly è amico di padre Murray e quest’ultimo è amico intimo della tua famiglia. Quasi un parente».
Lo Cascio aveva parlato fino a quel punto in tono paterno, ma poi la sua voce s’era fatta dura. Perentoria.
«E in una famiglia che si rispetti ci si protegge a vicenda».
Su quest’ultima affermazione era calato un breve silenzio, da lui strategicamente calcolato nei secondi occorrenti per prendere la mira e poi sparare. Così l’aveva incalzata senza darle il tempo di una replica
«Ora tutto dipende da te. Pensaci».
Aveva aggiunto freddamente, prima di uscire.

Raise your window, I ain’t goin’ out that door
Raise your window, I ain’t goin’ out that door
‘Cause the man out there might be your man, I don’t know

If you raise your window, I can ease out soft and low
If you raise your window, I can ease out soft and low
Your neighbors gonna be talkin’ that stuff me don’t know

Ain’t but one way out, I ain’t goin’ out that door
Ain’t but one way out, I ain’t goin’ out that door
If I get away this time, I won’t be caught no more

Quella sera, la performance di Simon “Rice” Jackson, completo scuro e bombetta, era completata da un ombrello scenicamente portato all’avambraccio, e con quello passeggiava avanti e indietro nel contempo duettando maliziosamente con la sua armonica. E indirettamente col pubblico. La voce e lo sguardo però erano malinconici, e spesso si posavano su Tina. O almeno così a lei sembrava.

Ain’t but one way out, I ain’t goin’ out that door

“Non è che una via d’uscitanon sto uscendo da quella porta” , cantava Jackson sfiorandola con lo sguardo,  come se quella strofa l’avesse scritta per lei. Una rassicurazione subliminale con cui le indicava un ingenuo tentativo di depistaggio, che in realtà quella porta era solo apparentemente aperta e non contemplava alcuna via d’uscita.
E di questo, Tina, ne era certa.