Parte terza.
Il tempo trascorse veloce, il temporale aveva rinfrescato leggermente l’aria che profumava di fiori e di terra bagnata, il cielo, all’orizzonte, si stava colorando di porpora, la giornata volgeva al tramonto e si accesero le luci, che abbagliarono Giuseppe.
«Potresti abbassarle? Mi fanno male gli occhi» sussurrò.
Fece un’altra pausa, bevve ancora un sorso poi, con fatica, continuò a raccontare.
Quando arrivò a parlare di Giulio, il suo unico amico, era esausto e continuò con un filo di voce.
Non poteva fermarsi.
Poi tacque e rimase a guardare il soffitto, sfinito, in attesa.
Don Luigi rimase in silenzio per alcuni minuti.
Venne l’infermiera a portargli le medicine e gli disse:
«Giuseppe, cosa fa sempre a letto?»
«Il medico le ha detto di scendere, di camminare, di muoversi …» poi, forse comprese il momento delicato, s’interruppe, sorrise ancora e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Il prete iniziò a parlare con dolcezza, non lo giudicò ma lo rincuorò.
Le sue quiete parole lo confortarono e gli donarono un sollievo che non avrebbe mai immaginato di poter provare.
Alla fine gli disse:
«Adesso riposati, si vede che sei esausto; tra poco porteranno la cena, cerca di mangiare e non preoccuparti di nulla. Domani ti verrò a prendere e ti accompagnerò a casa, poi troveremo una soluzione».
Giuseppe trascorse una notte abbastanza tranquilla, senza incubi, anche se dormì poco.
Il suo cervello lavorava a pieno ritmo, senza dargli tregua, ma era notevolmente sollevato.
Il giorno successivo, nel primo pomeriggio, arrivò don Luigi che lo aiutò a preparare la borsa con le sue poche cose.
Ritirò i documenti che gli consegnarono, prese accordi per l’appuntamento successivo e insieme si avviarono all’uscita.
La giornata era splendida e il sole era caldo e abbagliante mentre, l’aria, era piacevolmente profumata; api solerti ronzavano intorno e volavano instancabili sui fiori del giardino, componendo la colonna sonora della rigogliosa natura che li circondava.
Attraversarono il giardino ben curato di “Villa Serena” e si avviarono al parcheggio.
Il traffico era scorrevole e in meno di un’ora arrivarono a casa.
Entrarono nel piccolo appartamento al terzo piano del vecchio palazzo di periferia, dove viveva Giuseppe, il quale fece accomodare il prete nel piccolo e spoglio salotto di una casa semplice ed essenziale, priva di fronzoli, tipica di un uomo che vive solo.
Il prete si guardò attorno.
Pochi mobili, vecchi ma in buono stato, alcune foto in bianco e nero alle pareti, pochi soprammobili, un vecchio giradischi per dischi in vinile e una piccola libreria dove erano raccolti libri e dischi.
Giuseppe disse:
«Accomodati, non ho nulla da offrirti, ma se vuoi un caffè …».
Don Luigi lo interruppe:
«Niente caffè, non abbiamo tempo per queste cose; adesso riposa, questa sera ti manderò una mia parrocchiana con il cibo e da domani verrà a farti le pulizie e a cucinare, poi penseremo a risolvere qualche tuo problema e … », aggiunse osservando Giuseppe che stava per protestare, «non voglio discutere. Adesso c’è una sorpresa per te» e, come a confermare le sue parole, si sentì suonare il campanello della porta.
«Ci penso io, Giuseppe, siediti, sei affaticato, ormai conosco la strada.»
Sentì delle voci in corridoio che non riconobbe poi, come per magia, sulla porta, comparve Giulio che gli venne incontro a braccia aperte sorridendo.
«Giuseppe, amico mio carissimo, che piacere vederti. Mi sei mancato, vecchio brontolone.»
Cercò di alzarsi dalla poltrona ma le gambe gli cedettero.
La commozione era troppo forte, gli spuntarono le lacrime agli occhi e non riuscì a parlare.
Giulio lo abbracciò forte e si vedeva che era commosso anche lui.
«Vi lascio soli», disse il sacerdote, «avrete un sacco di cose da raccontarvi; ci vedremo domani. E, a proposito, il mio numero ce l’hai, chiamami in qualsiasi momento», aggiunse avviandosi alla porta, lasciando soli i due amici.
Erano passate due settimane da quando aveva riconquistato l’amicizia di Giulio e don Luigi, che veniva a trovarlo ogni giorno, aveva mantenuto la promessa.
Si era informato presso le sue conoscenze ed era riuscito ad avere l’indirizzo della famosa ragazza.
Abitava in un paese poco lontano, ma era stato vago con Giuseppe che era sicuro avesse più informazioni di quante gliene avesse fornito.
Sapeva solo che si chiamava Laura, era sposata, con un figlio piccolo.
«Vai a trovarla», gli aveva raccomandato, «fatti accompagnare da Giulio e non preoccuparti, lei capirà.»