Sensazioni

Erano partiti all’alba, sicuri che giocando di anticipo avrebbero evitato la transumanza dei vacanzieri natalizi, fedeli come loro alla prima parte del proverbio “Natale con i tuoi.”
Ma non aveva funzionato.
Che quello sarebbe stato un viaggio da incubo lo avevano percepito già dopo neanche un’ora che avevano lasciato Firenze. Il primo rallentamento lo avevano trovato alle porte di Incisa Valdarno dove un numero non precisato di italiani, sicuramente tanti, avevano avuto la loro sputata intuizione intasando l’autostrada del sole in direzione sud.
In realtà loro ci erano abituati, in trent’anni, tanti quanti erano gli anni di matrimonio, mai una volta una, che in prossimità delle feste avessero fatto un viaggio da cristiani.
E da trent’anni, a parte la crema al Gran Marnier che aveva sostituito canditi e uvetta nei panettoni stipati in bauliera, il resto era rimasto tale e quale.
Ma tutto sommato lei ci vedeva della poesia in questo, quella forma di cameratismo che si appella “al mal comune mezzo gaudio” che ti fa sentire parte di un insieme.

«Alla prima stazione di servizio, ci fermiamo» aveva detto lui che già dava segni di insofferenza.
La sua incontinenza verbale aveva dato fondo a tutti gli epiteti possibili e immaginabili. Ne aveva coniati anche di nuovi. Irripetibili.
E in perfetta sincronia con il resto dei compagni di ventura si erano fermati ad un’area di servizio poco prima di Arezzo.
Fila per la benzina, fila per la toilette, fila per fare lo scontrino al bar. Gli inservienti con una notte di lavoro sulle spalle, in attesa del cambio turno avevano servito di malagrazia cappuccini annacquati e cornetti che sapevano di cartone pressato.
Lui si era fermato a fumare una sigaretta, la prima di una lunga serie, lei invece si era persa nell’angolo dei libri. Ne avrebbe acquistati due: uno per l’andata, uno per il ritorno.
La gente si meravigliava sempre di come riuscisse a leggere in macchina senza vomitare sul cruscotto.
Aveva scelto due gialli e stava per andare alla cassa quando un piccolo volume era caduto ai suoi piedi. Lo aveva raccolto, stava per posarlo ma poi si era accorta della copertina: “Il treno del sole.”
Un libro di narrativa per ragazzi, letto alle medie. Il suo primo libro. Quello che le aveva trasmesso l’amore per la lettura.
Si sentiva euforica mentre lo porgeva alla cassiera.
«Toh, questa è bella», aveva esclamato quest’ultima, «E’ prezzato ancora in lire…tremilacinquecento per l’esattezza… non capisco come sia finito lì, è pure usato…»
«La prego…le do quindici euro…che ne dice?»
La donna ci aveva pensato un attimo poi, fatto scorrere il lettore sul codice a barre, che non aveva rilevato nessun prezzo, le aveva consegnato lo scontrino. I quindici euro li aveva messi in tasca.
Mentre tornava alla macchina si era sentita come una bambina che aveva ricevuto in dono un regalo tanto atteso.
Si erano rimessi in viaggio, le previsioni del tempo avevano annunciato dei possibili temporali.
Il traffico sembrava scorrere e suo marito si era rilassato. Nell’autoradio un cd di Vasco Rossi.
Alla fine della terza traccia lei aveva già tirato fuori il libro.
“ Editore: Garzanti; Quattordicesima edizione (1977)”
Aveva tredici anni nel 1977.
Sicuramente qualcuno lo aveva appoggiato distrattamente sulla pila di libri nuovi in esposizione e lo aveva dimenticato.
I bordi esterni delle pagine erano un po’ ingialliti e un origami di orecchie facevano capolino negli angoli in alto. Che strano, profumava di liquirizia Cru. Sua nonna ne andava matta.
Via via che leggeva a storia riacquistava i contorni vestendosi con le stesse immagini che le aveva dato la prima volta. Come rivedere un vecchio film. Al secondo capitolo, un appunto a matita:“C’è un tempo per viaggiare e un tempo per fermarsi.”

Quasi a voler sottolineare quelle parole il fragore di un tuono aveva lacerato l’aria. Una strana sensazione si era fatta largo nella sua mente, un qualcosa di indefinito, senza spiegazione.
« Fermiamoci, devo andare in bagno», aveva detto a suo marito che si era lasciato sfuggire uno sbuffo di impazienza.
Per poco non avevano perso l’uscita per l’autogrill perché un tir carico di legname ne aveva oscurato la visuale.
Era entrata nella toilette ma solo per lavarsi le mani. Quella di fermarsi era stata solo una scusa. Aveva ubbidito ad un richiamo interno. Il perché, non avrebbe saputo dirlo.
Sentiva che doveva traccheggiare ancora un po’, così si era infilata nel bar facendosi largo fra la ressa.
« Due caffè da portare via», aveva urlato da dietro a un tizio che non si schiodava dal bancone.
«Deve fare lo scontrino prima»
« Ah, ok…»
Era riuscita ad emergere da quel bailamme di gente con due contenitori di polistirolo in mano prima di fare la gimcana verso l’uscita.
Erano ripartiti, la pioggia cadeva copiosa tanto che i tergicristalli faticavano a spazzarla dal parabrezza.
Settanta la velocità di crociera, poi sessanta… trenta…fermi.
Un operatore autostradale aveva dirottato il traffico nella corsia d’emergenza. Erano andati avanti a passo d’uomo per quasi un chilometro prima di rendersi conto di cosa fosse successo.
Un tir accostato al guardrail aveva perso un tronco che ora giaceva di traverso sull’asfalto. Quel tir.
« È lo stesso camion che era davanti a noi», aveva detto suo marito, « Fiuuu! Ci è andata di lusso!»
Si era girata a guardare l’autoarticolato e aveva avuto un brivido. Sul parabrezza il nickname del camionista: “Il treno del sole”
D’istinto aveva cercato il libro. In borsa non c’era. No! Ora ricordava. Lo aveva appoggiato sul bancone per prendere i caffè…
« Non senti anche tu odore di liquirizia?», aveva detto suo marito mentre rientravano in carreggiata acquistando velocità.
«Si, lo sento anch’io.»
Aveva chiuso gli occhi mentre una lacrima scivolava lieve.
« Grazie nonna», aveva sussurrato.