Correva l’anno 1943 periodo in cui l’Italia era impegnata in quel conflitto meglio noto come Seconda Guerra Mondiale.
Con queste poche righe desidero dare la mia testimonianza di quel periodo infausto.
Sono nato nel 1936 e mi sono trovato bambino di appena 7 anni, coinvolto in qualcosa di atroce, come sono tutte le guerre.
Orfano fin dall’infanzia, abitavo con le mie due prozie materne a Roma in via Re Boris, attualmente Via Filippo Turati nei pressi della stazione centrale Termini.
Quelli che sono i normali agi che oggi sembrano naturali ed a cui non si da importanza erano in quel tempo sconosciuti.
Tutto era razionato.
Si andava a comprare quel poco che c’era con la tessera annonaria. Potevi prendere solo 125 grammi di pane a testa e poichè avevo meno di 10 anni avevo diritto a un quarto di litro di latte.
Anche l’acqua era razionata e per averne un po’ di più, bisognava recarsi a prenderla con i fiaschi alle fontanelle pubbliche.
L’abbigliamento era sfruttato fino all’inverosimile.
Per proteggere le scarpe dall’usura si applicavano ferretti salvatacchi e salvapunte.
I cappotti e le giacche venivano rivoltati e gli inevitabili buchi dovuti all’usura venivano ricoperti dalle toppe.
Per ironia della sorte ora i buchi sui jeans sono di moda…..
Ma non finivano qui i disagi.
Nell’estate del ’43 iniziarono i bombardamenti di Roma e l’incubo degli allarmi era quotidiano.
La sera si andava a dormire mezzo vestiti pronti a saltare giù dal letto, appena si sentivano le sirene e ciò significava che gli osservatori avevano avvistato i bombardieri.
Si prendeva una borsa, sempre pronta, in cui c’era poche povere cose, una bottiglia d’acqua, un po’ di pane, un asciugamano, qualche maglione di lana e si correva al rifugio.
Noi di solito andavamo in quello a noi più vicino.
Una cava abbandonata dietro la basilica di Santa Maria Maggiore all’Esquilino.
Era una cava piena di sassi al cui centro c’erano le rotaie per i carrelli adibiti al trasporto.
Ci si adagiava su dei giacigli improvvisati, formati da vecchie coperte e si cercava se non di dormire almeno di riposare.
Cosa non facile dato il rumore delle bombe che cadevano.
Ricordo una delle ultime sere.
Suona l’allarme, ci copriamo come posiamo. Si porta dietro la borsa con una bottiglia di acqua ed un po’ di pane e si corre verso il rifugio. Ma non facciamo in tempo, le bombe cadono e ci infiliamo in un portone, aspettando il cessato allarme.
Ma quello non arriva !
Siamo rimasti due notte e due giorni in quel portone, grazie alla cortesia degli abitanti del palazzo che ci portavano qualcosa di caldo e ci permettevano di usare i servizi igienici.
Poi finalmente la mattina suona il cessato allarme ed usciamo.
La scena era tremenda.
Molti militari a terra morti, uccisi dai tedeschi in ritirata.
Uno addirittura ostruiva con il suo corpo il passaggio ed abbiamo dovuto quasi scavalcarlo.
Dopo pochi giorni l’armistizio e l’entrata delle truppe americane ponevano la parole “Fine” a questo incubo.