Mi chiamo Vincenzo Scalisi, ho 28 anni, sono single, disoccupato e vivo da solo a Messina in una casa al secondo piano in via delle Monacelle, 13, lasciatami dai miei genitori.
Vivacchio, facendo qualche lavoro saltuario come imbianchino, idraulico, elettricista o qualsiasi cosa mi possa capitare.
La vita da solo mi fa spesso pensare e fare voli con la fantasia, ma una cosa così, non mi era mai capitata.
Quella sera dovevo avere mangiato pesante.
Sarà stata la peperonata o il fresco vinello di Alcamo, ma non riuscivo a prendere sonno.
Mi giravo e rigiravo nel letto, cercando di contare le pecore, ma dopo averne contate un migliaio, ero sveglio come prima.
Mi alzai per bere un bicchier d’acqua per calmare l’arsura e nel bagno gli occhi mi caddero su un tubetto di colore azzurrino, posto sulla mensola sotto lo specchio.
Lo presi per esaminarlo.
Era un sonnifero ma non mi ricordavo neanche di averlo.
Non ricordavo di averlo mai comprato e tanto meno di averlo messo li.
Di solito i medicinali li tengo in un armadietto, sempre nel bagno.
Lo guardai meglio e vidi che il prodotto era scaduto da più di un anno.
Cercavo disperatamente di ricordare e mi sovvenne che, qualche anno prima, il dentista, che mi aveva estratto un molare, mi aveva prescritto un antidolorifico e forse assieme a quello mi aveva prescritto anche un sonnifero, che poi non avevo usato.
Sul come poi fosse finito sulla mensola, mistero fitto.
Stavo per gettarlo nel cestino, quando mi ricordai che i medicinali scaduti, non fanno male. Al massimo perdono di efficacia.
Decisi di rischiare e provare.
Scartai l’involucro, aprii il tubetto,.
Conteneva dodici capsule gommose di colore ambrato.
Ne presi una, la misi in bocca e la ingoiai, aiutato da un sorso di acqua.
Spensi la luce del bagno e tornai a coricarmi, ma dato che il sonno non arrivava accesi il piccolo televisore che avevo sul comodino.
Trasmettevano “Porta a porta” trasmissione abbastanza noiosa, l’ideale, pensai, per conciliare il sonno.
Non so quanto tempo fosse passato ma ad un tratto mi resi conto che le trasmissioni erano finite, ed al posto dello schermo, era rimasta la sola porta da dove entravano gli ospiti.
La porta era diventata smisuratamente grande fino e prendeva l’intera parete.
Incredulo allungai la mano per toccarla, ma la porta cedette e mi trovai nella strada.
Ma come ? Feci tra me e me.
Come faccio a trovarmi per strada, se abito al secondo piano e non ho percorso nessuna scala ?
E perché sono vestito, mentre dovrei essere in pigiama ?
Non mi raccapezzavo proprio e mi voltai a guardare indietro e la mia bocca si spalanco per lo stupore.
Al posto del palazzo di cinque piani c’era una piccola casa di un solo piano e di fronte a me una vecchia porta, senza pulsanti o citofono, ma solo con un vecchio battente in ferro, con una testa di leone.
Era semi buio ed il tutto era rischiarato solo da una pallida falce di luna.
Strinsi gli occhi per vedere meglio l’ambiente che mi circondava.
Era un paesaggio insolito che non avevo mai visto.
A destra un basso muretto. A sinistra una siepe e di fronte, affiancato da due file di alberi, un lungo viale di cui non vedevo la fine. Dietro la casa una fitta boscaglia che formava una macchia oscura.
Non sapevo che pesci pigliare.
Rientrare non era possibile.
La porta era chiusa e sapevo che dentro non c’era nessuno che avrebbe potuto aprirmi.
Non avevo scelta, dovevo cercare qualcuno che potesse aiutarmi a rientrare in casa, ammesso che quella fosse ancora la mia casa.
Presi il coraggio a quattro mani e mi avviai guardingo e titubante per il viale dinanzi a me.
Camminai, camminai, ma senza incontrare anima viva. Cominciava ad albeggiare ed un tenue chiarore penetrava tra i rami degli alberi.
Poi, man mano sempre più forte arrivò alle mie orecchie un brusio.
Camminai ancora e sbucai in una piazza, affollata di persone che stavano allestendo i banconi di un mercato.
Le scene di mercato non erano nuove, per me, che amo spesso alzarmi ed andare in giro molto presto, ma quella scena aveva qualcosa di insolito.
I banconi erano i soliti, il pesce e la frutta pure, ma le persone no.
Erano vestite, come avevo visto solo in cartoline e quadri del primo 900.
Le donne mi colpivano in particolare. Portavano gonne lunghe fino ai piedi. Sopra le bianche camicette, quasi tutte portavano un corpetto ed in testa un fazzoletto che avvolgeva i capelli.
Osservavo incredulo ed incantato quella scena. Intanto il tempo passava ed il mercato cominciava ad affollarsi anche di massaie e di visitatori, che venivano a fare le compere.
Tra questi mi colpì un signore distinto che indossava una redingote color prugna ed un paio di pantaloni a righe verticali bianche e nere. Ai piedi un paio di scarpe ricoperte da due ghette bianche color crema ed in testa un panama bianco con una fascetta nera.
Lo seguiva una donna, probabilmente la domestica, che riponeva nella sua sporta di paglia, ciò che l’uomo andava man mano acquistando.
Mi parve la persona più adatta a darmi delle informazioni, mi feci coraggio e mi avvicinai a lui .
– Scusi signore, mi può dire l’ora ?
Mi guardo, come se avesse visto un ramarro, spuntare da un muro. Probabilmente il mio vestito ed il mio aspetto era completamente diverso da quello degli altri.
Poi si ricompose e trasse dal panciotto un orologio a cipolla.
– Secondo il mio oriolo, dovrebbero essere le dieci e mezza.
– Grazie signore, ma di quale anno ?
Qui il distinto signore perse del tutto la sua imperturbabilità.
Strabuzzo gli occhi e mi apostrofo :
– Ma giovanotto, avete perduto il lume dell’intelletto ?
– Oggi é il 27 Febbraio del 1908 !
Ringraziai e mi allontanai, ma sentivo sulla mia nuca lo sguardo sospettoso di quell’uomo.
Bighellonai un po’ nel mercato e dato che mi era venuta un po’ di fame, mi misi le mani in tasca e trovai un paio di monete da un euro.
Mi avvicinai al banco di un fruttivendolo e chiesi delle arance.
Il fruttivendolo dopo avermi guardato, come un marziano, a causa dell’abito, quando vide gli euro, che gli porgevo, per pagare si convinse che dovessi esse almeno straniero.
– Nun su boni sti muniti, nun valuno nenti, ma si pigghiassi puru l’aranci. I muniti ci dugnu a me figghiu pi iucari…
( Non sono buone queste monete, non valgono niente, ma prenda pure le arance. Le monete, le darò a mio figlio per giocare.)
Presi le arance e me ne andai a sedere su una panchina sul lungomare.
Mi era faticoso anche mangiare gli spicchi di quelle arance.
Pensavo sempre a quella strana situazione in cui mi trovavo.
Non riuscivo a capire come mi ci ero cacciato dentro e non trovavo il modo di come venirne fuori.
E pensando, pensando giunse la sera.
Ero stanco per le emozioni e per avere camminato tanto senza meta.
Dovevo cercare un posto dove potere riposare.
Lo trovai sotto l’arcata di un ponte dove passava il treno.
Era un piccolo spiazzo erboso.
Mi tolsi la giacca e la ripiegai come fosse un cuscino e mi adagiai per riposare.
Mi addormentai subito di un sonno profondo e senza sogni, ma ad un tratto mi svegliai di soprassalto con una domanda inquietante .
Ma che giorno ha detto quell’uomo che era oggi ?
Il 27 Febbraio del 1908 ?
Ma allora domani, anzi oggi é la data del grande terremoto che distrusse Messina e Reggio !
Non feci in tempo a pensarlo.
Erano le 5,21 di Lunedì 28 dicembre 1908 ed una serie di scosse e boati cominciavano a distruggere la cittadina. Il terremoto ed il maremoto poi sia sussultorio, che ondulatorio di una violenza inaudita
Cercai di trovare scampo e riparo da qualche parte ma inutilmente.
Un muro mi venne addosso e mi travolse.
Sentivo il peso di quel muro, che mi teneva imprigionato e non riuscivo a liberarmene.
Poi qualcosa cedette.
Il muro ?
No !il lenzuolo in cui ero inviluppato e mi svegliai sudato ed ansimante nel letto della mia stanza.
Era stato solo un brutto sogno ! Un incubo !
Colpa del sonnifero avariato ?
Chi lo sa…..
R. Margareci