Capitolo undicesimo
Caterina era circondata da bambini: piccoli pazienti, nipotini, figli di amici che nascevano come funghi.
Lei non se la sentiva di avere un figlio perchè pensava che si deve essere in grado di prendere in braccio il proprio bambino, occuparsi di lui, non dargli il carico di una madre malata.
Giuseppe non sembrava farsene un problema o per lo meno non glielo faceva pesare.
Volevano molto bene a tutti quei piccolini che li chiamavano zii e si prendevano solo coccole, visto che gli zii non hanno l’obbligo di educare i nipoti.
Con Tiziana e Fabrizio poi passavano lunghi periodi di vacanza in una casa colonica vicino a Fiesole.
Era circondata da un prato coltivato a ulivi, un ciliegio davanti alla porta e in fondo una enorme quercia munita di altalena e casetta per gli gnomi.
Caterina e Giuseppe si godevano la vita di campagna sdraiati sulle poltrone, leggendo, guardando i bambini giocare, Marisa che faceva giardinaggio, Tullio che zappava, potava, spaccava la legna, riparava il tetto.
Come tutti i fiorentini Tullio era un piccolo Leonardo da Vinci: sapeva fare di tutto, era pieno di ingegno, non stava mai fermo.
Giuseppe, che era un contemplativo, non lo aiutava ma forse lui era più contento così.
Alla sera si riunivano davanti al camino a chiacchierare o attorno al tavolo a giocare.
Fu un bel periodo per tutti.
Caterina e Giuseppe continuavano i loro viaggi, non più in ‘500 ma in Mini Morris.
Allargarono i loro orizzonti e cominciarono viaggi a tema:in Francia sulle orme di Maigret e di Caterina De Medici; in Spagna la Via di Santiago, i luoghi di Hemingway, in Irlanda quelli dei poeti e scrittori Yeats, Swift, Wilde e Joyce.
Per i dieci anni di matrimonio andarono in Palestina e pur tra ebrei, musulmani, soldati, riuscirono a trovare lo spirito del Vangelo.
Immaginavano di vedere Gesù Bambino in quella grotta ricostruita in una chiesa a Betlemme della quale tre tipi di ordini religiosi disputavano il possesso; oppure appariva loro mentre camminava sulle acque del lago di Tiberiade dove però non c’era San Pietro ma vaporetti, motoscafi e sulle rive, stabilimenti balneari.
Lo ascoltarono sul Monte delle Beatitudini e lo videro addormentato sotto un ulivo millenario davanti alle mura di Gerusalemme.
Fu uno strano viaggio, pieno di emozioni in una terra dove le contraddizioni c’erano tutte: guerra e pace, amore e odio, poveri e ricchi, profeti e falsi profeti.
In duemila anni non era cambiato nulla.
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Jacqueline era una ragazza bretone e aveva una famiglia numerosa che viveva in una fattoria dove si recava, appena poteva, con la sua “Due cavalli”.
Una volta che entrambe erano libere portò anche Wendy che si ritrovò su questa buffa auto, targata 75, numero di cui gli automobilisti parigini andavano fieri.
La casa di Jacqueline era vicino a Rennes; all’andata passarono lungo le spiagge della Normandia.
Queste distese di sabbia, spazzate dal vento, il mare minaccioso così diverso da quello al quale era abituata Wendy, il fascino di Mont St.Michel: era una emozione unica.
All’arrivo alla fattoria Wendy si trovò circondata da bambini chiassosi, oche starnazzanti, cani, gatti, galline: la famiglia di Jacqueline.
Contenti di averla con loro erano ospitali con l’amica della figlia e furono due giorni di festeggiamenti.
In un paese dove le donne indossavano ancora il costume caratteristico della regione, Parigi sembrava lontano anni luce.
Al ritorno fecero un altro percorso e così a Wendy apparve, in fondo a una distesa di grano, la Cattedrale di Chartres.
Con questa visione negli occhi tornarono a Parigi dove Wendy riprese a lavorare facendo anche i doppi turni per accumulare più tempo libero da dedicare ai suoi nuovi interessi: musica e viaggi.
A questi pensò Jaap: di ritorno da una serie di gare nelle quali si era fatto onore ma sempre come gregario, non stufo di andare in bici, propose a Wendy di seguirlo nel suo progetto di viaggio.
Lei si fidava di lui così forte e protettivo, anche se, in fondo, non aveva bisogno né di aiuto né di protezione.
Partirono col furgoncino e con le biciclette, si fermarono a Beaune: una cittadina al centro della Borgogna , la regione di Francia dove cucina e vino sono una scelta di vita.
Si concessero due notti in un bell’albergo anche per poter visitare con calma l’Hotel Dieu con i suoi magnifici tetti colorati.
Lasciarono lì il furgone e partirono in bici, Jaap carico come un mulo, Wendy con uno zaino leggero.
Attraversarono vigneti infiniti che sembravano tavolozze di un pittore, costeggiarono canali dove le chiatte erano tirate dai cavalli, si fermarono a guardare il meccanismo delle chiuse che si incontravano quando c’era un dislivello nel terreno.
Il tutto con una brezza che accarezzava il viso e portava profumo di bosco, di erba umida, di fiori.
Alla sera Jaap sceglieva un posto tranquillo: o in un bosco, o in riva a un fiume, o sotto una enorme quercia.
Lì piantava la piccola canadese e dopo una cena romantica ma sostanziosa nel villaggio più vicino, il meritato riposo.
In questo itinerario nel cuore della natura Jaap aveva inserito la visita a una serie di abbazie e di castelli.
Quella che piacque di più a Wendy fu quella di Fontenay, nascosta in un vallone verdeggiante, nessun segno di civiltà intorno, immersa in un silenzio assoluto.
Fu un viaggio memorabile, per la compagnia di Jaap, per quello che aveva visto e per il mezzo di trasporto che aveva usato.
Di questo sarebbe stata grata a Jaap per tutta la vita.
continua…….