Lo scaffale che ho deciso di affrontare in questa puntata è piuttosto spinoso. Non tanto e non solo perché riguarda la seconda donna scrittrice di cui questa rubrica si occupa. Da bravo maschietto, sono inevitabilmente in difficoltà quando provo a confrontarmi con l’universo femminile e, nel caso in questione, quel suo modo d’essere donna, aggressivo e graffiante, contribuisce ancor più a mettermi in un qualche disagio: non per nulla appartengo, volente o nolente, alla generazione dei dinosauri, che così è stata educata e l’imprinting a suo tempo ricevuto riguardo alla figura femminile non è facile scrollarselo di dosso. Anche quando si passa tutta la vita a cercare di farlo, col bel risultato spesso di apparire “fuori dagli schemi” tanto agli occhi maschili (e qui non ci sarebbe nulla di particolarmente insolito) che a quelli femminili, anch’essi sovente e loro malgrado, abituati a ragionare per schemi.
In questo caso la cosa si complica ulteriormente. Intanto perché questa giornalista ha passato la sua vita a provocare il mondo. Poi perché con la penna in mano ci sapeva decisamente fare, non ci piove. E la cosa m’ha ossessionato al punto che, una trentina d’anni fa, sentii il bisogno di scriverle una lettera. Rimasta poi nel cassetto è ovvio (o forse sarebbe meglio dire in una cartella di Windows).
Sto parlando – forse è giunto il momento di chiarirlo, d’un nome veramente grande della pagina scritta nostrana: Oriana Fallaci.
Oriana Fallaci, biografia. “Ma lei ha veramente vissuto le cose che racconta?”
In quella lettera, oltre ad inchinarmi al suo indubbio ed indiscutibile talento, le ponevo una domanda importante: “Ma lei, signora, ha veramente vissuto tutte le cose che racconta?”. Ed aggiungevo: “In caso di risposta positiva, mi permetta di dire che lei è stata una scrittrice molto fortunata cui la vita non ha solo donato il talento della scrittura, ma anche un patrimonio non indifferente di esperienze da cui trarre ispirazione. In caso negativo, resto egualmente abbagliato dalla sua incredibile fantasia”.
In effetti Oriana è stata piuttosto “discussa” se è vero com’è vero che, con altre modalità, la stessa domanda gliela han fatta in molti, non ultima la famiglia di Alexandros Panagulis con cui lei ebbe una lunga relazione interrotta dalla morte sospetta di lui. E che lei narrò diffusamente nel suo (peraltro stupendo) libro intitolato Un uomo.
Se la memoria non m’inganna, la famiglia del martire greco contestava ad Oriana che quel rapporto fosse stato così totale e coinvolgente come lei raccontava e, soprattutto, che molti degli eventi narrati non l’avessero affatto avuta come protagonista, diversamente da quanto da lei sostenuto. Come sia finita la diatriba, non lo so: ho provato a fare qualche rapida ricerca sul web ma, stranamente, non si trova traccia della stessa. Me la sarò sognata? Può ben darsi, visto che ormai l’età autorizza sospetti del genere. Tuttavia la lettera in questione, la mia, fu scritta in tempi che sospetti non erano… (al netto di malizie sempre possibili).
Ricordo anche ch’ero fresco reduce dalla lettura molto, molto coinvolgente del suo Se il sole muore ed il sospetto di cui mi facevo portavoce veniva da quella storia ancor più che da quella ellenica. Il dubbio rimane, ma una cosa è certa: Oriana Fallaci è stata una giornalista veramente portentosa ed una scrittrice fuor di dubbio notevole. Credeva talmente nel suo lavoro che non ha mai, si fa per dire, “badato a spese” e di sua iniziativa scelse di fare la corrispondente di guerra (Vietnam), pronta a gettarsi a capofitto in tutti quegli avvenimenti che avevano il sapore di “fare la storia”.
Non per nulla, spinta anche dal padre fervente antifascista, quattordicenne partecipò alla Resistenza e continuò per tutta la vita a sfidare convenzioni e luoghi comuni pur di vivere sino in fondo l’emozione dell’esserci. Magari, come vedremo presto cadendo in contraddizioni che talvolta fanno anche pensare che a spingerla fosse anche una buona dose di esibizionismo. Ma questo nulla toglie, a mio avviso, né al personaggio, né, tanto meno, alla scrittrice la cui bravura, lo ribadisco, è al di sopra di qualsivoglia critica. Grande amica di Pasolini e di un numero sconfinato di personaggi di rilievo tanto nel mondo della cultura che in quello della storia, non ha mai esitato a mettere in piazza la sua vita intima giungendo a parlare d’un argomento tabù per i tempi quale l’aborto (Lettera ad un bambino mai nato).
Durante le dimostrazioni di piazza che precedettero le olimpiadi di Città del Messico del 1968 fu addirittura ferita seriamente con una raffica di mitra a Piazza delle Tre Culture al punto che, considerata morta, il suo corpo fu portata in obitorio e solo per miracolo un prete si accorse ch’era ancora viva salvandola da una fine terrificante.
Non bastasse, è passata alla storia per le sue interviste piuttosto originali ad importanti uomini di potere. Epica fu quella con l’ayatollah Komeini durante la quale irritò (chiamandolo “tiranno” e togliendosi i chador) il fondamentalista al punto da fargli abbandonare l’intervista stessa. Conclusa poi, in qualche modo, il giorno dopo.
Insciallah, l’ultimo romanzo, e la fine a New York
Varie disavventure (incluso un “matrimonio temporaneo” con un mullah per non incorrere nelle piuttosto pericolose conseguenze di aver parlato con l’iman senza essere sposata, successivamente annullato) han visto questa donna battagliera e ricca di contraddizioni accumulare un certo livore verso il mondo mussulmano. Livore che prima si intravede nel famosissimo Insciallah suo ultimo grande romanzo del 1990, ambientato tra le truppe italiane inviate nel 1983 a Beirut nell’ambito della Forza Multinazionale in Libano, per poi esplodere furioso ed incontrollato dopo il crollo delle Torri del World Trade Center di Manhattan.
La scrittrice, che già in precedenza s’era rinchiusa in sé stessa, aveva abbandonato l’Italia per vivere a New York, nell’Upper Side dove stava lavorando al suo ultimo romanzo che venne però interrotto dagli eventi dell’11 settembre 2001. Fu nello stesso periodo che scoprì di avere un cancro, che chiamava l’Alieno, a suo avviso contratto, nonostante fosse un’accanita fumatrice, in Iraq nel 1991, avendo respirato il fumo dei pozzi petroliferi incendiati da Saddam Hussein.
Quale che ne fosse la causa, nel 2006 quel male l’ebbe vinta sulla fibra di questa donna che pareva d’acciaio ed indomabile e ch’era sopravvissuta, per nostra fortuna a mille peripezie. Probabilmente – mi prendo tutta la responsabilità di questa considerazione – negli ultimi anni della sua vita, vissuti in isolamento, giocò un qualche ruolo anche una certa, inevitabile, confusione senile. Non che nella sua vita fossero mancate contraddizioni e lati oscuri, ma di certo l’accanimento degli ultimi anni nel denunciare quello che dichiarava un piano di islamizzazione del mondo occidentale da parte araba era troppo anche per chi, come lei, non aveva perso occasione per gettarsi nelle polemiche più disparate. Soprattutto colpisce il livore con cui chiede che si combatta questo presunto piano dimenticando – il che è poco logico in una persona della sua cultura – che il mondo occidentale, con la sua “cristianizzazione” del globo, ha cumulato colpe e mancanze ben peggiori e più gravi di questo presunto piano arabo. Col risultato in ogni caso, di fornire ampio combustibile a chi in occidente alimenta i vari focolai di guerra nel mondo: una come lei, che di quel mondo aveva visto e denunciato spesso i risvolti più equivoci, non poteva non rendersene conto.
Ma la donna che aveva avuto il coraggio di scrivere Penelope alla guerra in un’epoca in cui il posto assegnato alle donne era quello di “angeli del focolare”, di certo sarebbe stata capace di avere una visione più lucida e meno settaria di un fenomeno tanto indubbio quanto complesso della storia recente del mondo. Ma purtroppo anche quella Penelope, come del resto tante altre, non era stata risparmiata dell’unico, vero dramma dell’essere umano: l’invecchiamento. Con tutte le conseguenze del caso.
Peccato… ma grazie lo stesso di averci dato così tanto, Oriana.