Augustin rientra alla Ruche che sta ricominciando a piovere. È ancora abbastanza chiaro per provare a fare qualche schizzo, ma l’incontro con Alice gli ha tolto ogni ispirazione. Andrebbe volentieri a fare un giro a Montmartre, al Bateau-Lavoir, ma non ha voglia di uscire di nuovo sotto l’acqua, avrebbe voglia…
Avrebbe voglia di infilarsi sotto le lenzuola con Jeanne, ma dopo quella prima volta e poche altre la bella modella ha preso altre strade. D’altra parte, lo sa, le donne della Ruche sono libere ma difficilmente si fermano con qualcuno. A meno che non sia veramente un grande artista. O forse no, ma la bella Jeanne…
Probabilmente ad Alice non sarebbe dispiaciuto dividere il suo letto, ma non se la è sentita di portarla nella sua squallida stanzetta, tra l’altra ingombra di studi mai portati avanti, e tantomeno può coinvolgerla in… La verità è che probabilmente lui non è portato per fare l’artista, e il confronto con gli inquieti abitanti della Ruche non fa che dimostrarglielo.

«Ehi!»
L’uomo che incrocia per la scale quasi lo travolge. Barcolla.
«Ciao Dedo, tutto bene?» chiede.
L’italiano si volta e lo fissa con uno sguardo allucinato.
«Certo! Perché?»
«No, mi sembrava…»
«Tranquillo, va tutto bene!» esclama, e si allontana dondolando sotto la pioggia come se fosse uno splendido pomeriggio di un mese primaverile invece che uno schifoso novembre.
Augustin esita alcuni istanti, poi supera la sua stanza e va in quella di Modigliani, che come tutte ha la porta aperta. Accatasti ad un parete ci sono diversi quadri, ma i suoi occhi vanno ad una tela su cui il pittore italiano sta ancora lavorando, e ha un tuffo al cuore. È Jeanne che lo guarda, sdraiata languidamente su dei cuscini, le braccia sollevate, il triangolo del pube in vista, il seno che sembra prorompere dal quadro. Per un attimo Augustin sente in bocca il sapore lievemente aspro del sesso di lei e ha una erezione. Ondeggia, vorrebbe sedersi, ma anche sullo sgabello c’è un piccolo quadro e deve appoggiarsi allo stipite della porta per non cadere.
Nessuno dovrebbe rappresentare una persona in questo modo, con questa intensità, si dice, e nello stesso tempo ha la conferma di due suoi pensieri: che Modigliani è davvero un grande artista e che ama veramente Jeanne. Anzi, tre: anche Jeanne è innamorata di lui, perché una donna non potrebbe mai assumere una posa così sensuale se non partecipasse con tutta l’anima. E di anima, Jeanne, ne ha davvero tanta.

Dopo qualche minuto Augustin riesce a riprendersi. Vorrebbe rubare quel quadro, vorrebbe strapparlo, vorrebbe riprendere Jeanne per sé, ma sa che non può fare nessuna di queste cose, quindi, sia pur malvolentieri, esce dalla stanza. Sa che non potrebbe acquistare quel quadro, anche se avesse i soldi (e forse li ha) perché vorrebbe dire avere l’immagine di Jeanne sempre davanti agli occhi, e l’immagine è solo un simulacro della realtà, al massimo un simbolo.
Ancora sottosopra rientra nella sua stanza, e si trova davanti ad un’altra figura femminile, questa volta in carne ed ossa.
Per un attimo rimane interdetto, ma la donna si volta e gli sorride. In mano ha una tavolozza di colori, con i quali sta abbozzando un quadro sul suo cavalletto. La tela su cui lui stava lavorando è appoggiata al muro, coperta con cura.
«Bonjour» dice la donna, come se il fatto che si trova lì fosse la cosa più naturale del mondo.
«Buongiorno» risponde lui, «chi…»
«Mi chiamo Nadine, Nadine Flaubel, piacere» dice lei, facendo per porgergli una mano, ma sono entrambe occupate, «spero che non ti dispiaccia se ho usato la tua stanza quando eri via. André mi ha detto che non te la prendi mai.»
La guarda: sotto i capelli scurissimi c’è un volto sorridente, le labbra piene, le sopracciglia ben disegnate, e due occhi neri capaci di perforare qualsiasi ostacolo. E qualsiasi cuore, pensa, ma è un attimo.
«Figurati» risponde, e il suo sguardo va alla pelle colore dell’oro, «immagino che tu sia nuova di Parigi.»
Lei ride. «Attento osservatore, eh?»
«L’abbronzatura.»
«Già». Fa per mettere via i colori, poi ci ripensa e aggiunge una pennellata. È un paesaggio vagamente fauve, forse più espressionista che altro.
«Continua pure» le dice, stendendosi sul letto.
«Grazie, ma non riesco a lavorare se qualcuno mi osserva.»
«Chiudo gli occhi?»
Lei scoppia in una risata argentina.
«È lo stesso!»
Ride anche lui: «Ci ho provato!»
Nadine posa i colori e si siede sul letto vicino a lui.
«Come mai non sei ubriaco?» gli chiede.
Questa volta è Augustin a stupirsi: «E perché mai dovrei esserlo?»
Nadine alza le spalle: «Lo sono tutti» dice, come se fosse una osservazione naturale.
«No, Marc Chagall non beve mai. Quasi mai» si corregge.
«Allora non hai niente da offrirmi da bere.»
Augustin si alza, va alla vecchi credenza smaltata di bianco e ne tira fuori due bottiglie.
«Cosa mi offri?» chiede lei, incuriosita.
«A tua scelta» risponde lui, mostrandole una bottiglia di colore ambrato, «cognac…». Ne alza una quasi piena di un liquore verde: «Absinthe… o» e fa il gesto di mettere insieme le due bottiglie: «Tremblement de Terre, la migliore opera del mio amico conte Henri!»
«Tu sai come conquistare il cuore di una donna!» esclama Nadine, ridendo ancora una volta e alzando un bicchiere che ha trovato sul comodino.