Vittoria

˗ Mamma, le tue pasticche…

˗ Che vuoi? Chi sei?

˗ Sono Vittoria mamma, tua figlia. Su da brava…

Ha quasi ottant’anni e se non fosse per la perdita della memoria darebbe filo da torcere a quelli più giovani. A lei sicuramente, che di anni ne ha sessanta.

È passato più di un anno da quando le hanno diagnosticato la demenza senile.

Ogni giorno perde un tassello della sua vita, eppure conserva ancora quell’arroganza di sempre.

Seduta davanti alla finestra con lo sguardo fisso sul palazzo di fronte muove le mani come se lavorasse a maglia. Un filo invisibile le scorre fra le dita. Il capo che tentenna come se assecondasse il ritmo di una musica che è solo nella sua testa.

E poi quegli scatti improvvisi che la fanno sobbalzare: “ Fai rientrare le galline che sta per piovere!”

La sua gioventù trascorsa nei campi, ricordi arrugginiti che la mente rispolvera con una nitidezza impressionante mentre il presente e tutto quello che è avvenuto negli ultimi anni è stato spazzato via.

Fosse così anche per lei…

Annoda con rassegnazione un foulard intorno al collo a coprire il colletto consunto della camicetta.

Potrebbe comprarsene una nuova ora, ma non lo fa, non ne è capace. Ora che sua madre ha perso la testa si ritrova a gestire la sua pensione, ma la sua presenza ingombrante riesce a frenare ogni suo slancio. In fondo non le ha mai permesso di maneggiare il denaro, ci ha sempre pensato lei ad acquistare ciò di cui avevano bisogno.

I soldi li custodiva dentro un sacchettino di cotone in mezzo ai seni scarni. Ancora adesso si porta le mani al petto in un gesto incondizionato.

Anche quando le hanno messo il pacemaker e non è più uscita di casa ha continuato a tenere stretti i cordoni della borsa. Le dava i soldi contati al centesimo. La considerava ne più ne meno di un garzone.

D’altronde sua madre ci teneva a rammentarle che ogni cosa in quella casa le apparteneva. E in quanto a lei era suo preciso dovere accudirla visto che le passava da mangiare e le dava un tetto sulla testa.

Aveva letto da qualche parte che chi è povero di portafoglio è povero di cuore.

Quanto era vero!

La odia. E non solo per questo.

Finisce di vestirsi, a momenti arriverà la ragazza che ha preso per un paio d’ore la settimana. Aspetta con ansia questo momento. È la sua ora d’aria da quell’inferno.

Un filo di trucco a ravvivare quello che resta della sua bellezza sfiorita. Non sa neanche se lo sta mettendo bene. Anche questo fa parte della sua nuova vita.

˗ È permesso?

˗ Vieni, accomodati pure…

Alisa ha vent’anni, l’acne e un diploma di ragioneria. È molto timida, per questo le piace. La sua goffaggine la rassicura, è materna con lei, è un po’ come prendersi cura di se stessa.

˗ Ci sono dei biscotti nella dispensa se vuoi fare merenda ˗, le dice mentre finisce di vestirsi.

˗ Grazie signora Vittoria, sto bene così ˗, le risponde avvampando mentre si dirige verso sua madre.

˗ Salve Costanza, come va?

˗ Che vuoi? Chi sei?

˗ Sono Alisa…

˗ Ti sei fatta toccare dagli uomini, eh sudicia?

La porta è ormai chiusa quando le arrivano le ultime parole. Quanto la odia.

Il bar pasticceria è a un isolato da casa sua, già da lontano quando riesce a scorgerne il color amaranto della facciata il cuore prende a batterle all’impazzata.

“Dolci tentazioni” recita l’insegna.

Davanti alla porta a vetri si ferma un attimo a guardare la sua immagine riflessa, si umetta le labbra ed entra accolta dall’odore dolciastro dell’ambiente.

Lui sta servendo con pazienza una signora che continua a dire: “ Mi raccomando che siano fresche!”

Lui, Amedeo.

L’uomo che le ha levato il sonno.

L’uomo che immagina le sfiori il corpo con la stessa delicatezza con la quale allinea quei bignè sul vassoio.

Quando la scorge e le fa un sorriso il sangue le affluisce tutto al volto; maledetta timidezza!

“Respira, respira”, si dice, cercando di essere il più naturale possibile mentre si siede a un tavolino in disparte.

Dopo una manciata di minuti che le sembrano interminabili la signora paga ed esce.

˗ Vittoria, il solito? ˗ le chiede Amedeo con quella voce baritonale che le sembra tanto maschia.

˗ Ss… si…

Una sfogliatina alla crema e un caffè macchiato.

La sfogliatina le piace, il caffè macchiato no.

Vorrebbe dirgli che lei il caffè lo ama nero, forte e senza zucchero ma sulla schiuma compatta del latte lui le disegna un cuore e non se la sente.

Un cuore. A lei.

Per non parlare di quella volta che di resto le ha dato un cioccolatino. Ce n’erano di svariate forme ma lui no, gliene ha dato uno a forma di cuore.

E questo cosa vuol dire?

Vuol dire che la ama. Sissignore, la ama.

Come quando le ha detto che ha un nome bellissimo.

Lei lo ha sempre odiato il suo nome. Vittoria. Come santa Vittoria, vergine e martire.

C’ è un quadro che la raffigura sulla testata del suo letto.

Così l’ha voluta sua madre “Vergine e martire”

“Sempre fresca fu la rosa che non vide mai il sole.”

Quante volte glielo ha detto? Ma lei, la vecchia, il sole lo aveva visto, eccome!

Il sole si chiamava Pietro ed era suo padre.

Lo ha conosciuto solo per fotografia perché se ne è andato subito dopo la sua nascita.

A cercare lavoro in Germania. Pare che all’inizio avesse spedito dei soldi, poi il silenzio. Aveva trovato un’altra donna e non era più tornato rendendo di fatto sua madre una vedova bianca.

Sarà stato questo ad incattivirla e a rendere la sua vita una via crucis.

Se si poteva chiamare vita, la sua.

Ma ora non ci vuole pensare preferisce guardare Amedeo che le sta venendo incontro con un vassoio che quasi scompare fra le sue grandi mani.

Quando si piega per appoggiarlo sul tavolo i loro volti sono così vicini che sembrano toccarsi o almeno così le pare.

La sua vicinanza le fa mancare il fiato.

Lo scontrino sotto il bicchiere d’acqua sembra un biglietto d’amore.

˗ Posso avere un cappuccio e un pezzo?˗ grida qualcuno davanti alla vetrina delle paste.

Mentre Amedeo si allontana si ricorda di respirare.

Se la vedesse sua madre!

Le ha sempre impedito di relazionarsi ai maschi, le ha raccontato cose orribili sul loro conto.

E poi il peccato e poi la chiesa… e poi l’inferno per le peccatrici… e poi :“devi curarmi perché io sono tua madre e tu hai il dovere di farlo…”

Dio quanto la odia!

Ma prima o poi non ci sarà più e allora lei e Amedeo…

Resterebbe li per ore ma il tempo corre veloce e c’è un altro posto dove deve andare.

Mentre esce si muove con eleganza, sicura che la sta guardando. Si, sicuramente è così. Perché lui la ama. Le ha disegnato un cuore sul caffè.

˗ Buongiorno Vittoria.

Da dietro il bancone del mercatino dell’usato Carmine la saluta allegro come sempre.

˗ Buongiorno, è arrivato qualcosa di nuovo?

˗ Si, te li ho messi da parte.

L’uomo sparisce per un attimo dietro una tenda di panno verde sbiadita dal tempo, tutto in perfetta sintonia con l’ambiente.

Mentre lo aspetta inspira profondamente l’odore di vecchio che impregna l’aria. Qualcun altro storcerebbe il naso, lei no. Lo trova rassicurante. È qui che spende i suoi soldi. In romanzi d’amore consunti, dalle pagine ingiallite e a volte mancanti.

˗ Quattro Harmony e tre Blumoon, che fai… li prendi tutti?

˗ Certamente… puoi appoggiarmeli lì? Do un’occhiata in giro.

˗ Fai con comodo.

C’è di tutto in questo posto. A lei piace perdersi fra quegli oggetti. Raccontano storie.

Vecchi dischi, candelabri, zuccheriere sbeccate, mobili tarlati e riviste lise con le foto sognanti di divi d’altri tempi.

Tocca, sfiora, annusa, immagina.

In fondo al capannone su uno stand di metallo abiti con pailettes dall’orlo sfilacciato, boa di struzzo, scaldini in terracotta e…

No! Non riesce a credere ai suoi occhi.

Pensava fosse una fantasia di sua madre invece appoggiato su una cassapanca polverosa c’è l’oggetto che in assoluto l’ha più inquietata nella sua adolescenza. Inquietata e in qualche modo eccitata.

Sua madre ne parlava con disgusto senza risparmiarle alcun dettaglio.

Ne segue con le mani i contorni scoprendone i particolari poi si guarda intorno imbarazzata. Dio non voglia che qualcuno l’abbia vista. Che vergogna!

Fa finta di essere interessata a un cappello di feltro e poi si allontana verso la cassa.

˗ Dunque, sono quattro a un euro e tre a due… dieci euro. Dico bene?

Fa cenno di si con la testa mentre Carmine si abbassa a cercare un sacchettino. Mentre rovista in una scatola le chiede: “ E Costanza… Costanza come sta?”

˗ Ogni giorno peggio… è dura.

˗ Lo immagino. Brutta bestia la demenza senile. Ti istupidisce e magari campi fino a cent’anni. Mi ricordo del Songino, il babbo di Renzo il macellaio che…

Ha smesso di ascoltarlo. Un boato nella testa. “Cent’anni”.

Il passato, il futuro, immagini che girano vorticosamente. E poi lei… e poi Amedeo… e sua madre e…

˗ Carmine aspetta a fare il conto, devo prendere una cosa ˗, dice mentre si allontana verso il fondo del capannone.

Fa freddo fuori. Si è alzato un po’ di vento. Mentre cammina spedita verso casa la busta le sbatte contro il ginocchio. Il contatto le da un senso di repulsione come se dentro ci fosse la carcassa di un gatto morto.

Non c’è sorriso sul suo volto quando Alisa apre la porta di casa. La ragazza è già pronta per andare riceve quanto pattuito ed esce.

˗ Che vuoi, chi sei?

Che orribile visione. Alla luce fioca di una lampada i capelli scomposti di sua madre hanno un che di spettrale.

Non le risponde, ma lei incalza: “ Ti sei fatta toccare le cosce? Eh, schifosa? Brucerai all’inferno fra atroci sofferenze. Chiedi perdono al Signore!”

˗ No! Nessuno mi ha mai toccato le cosce. Nessuno mi ha mai fatto una carezza. Ed è tutta colpa tua!˗ urla in preda ad un’ira incontenibile.

Non è sua madre quella che la sta guardando con lo sguardo vuoto ma un mostro a cinque teste.

Un mostro orribile che si dibatte mentre lei comincia a spogliarla con rabbia, un mostro che le conficca gli artigli nelle carni nel vano tentativo di difendersi.

˗ Ti odio, ti odio!˗ urla lei mentre la denuda per poi infilarle a forza la camicia da notte presa al mercatino. All’altezza dell’inguine quella fessura incorniciata da una scritta: “ Non lo fo per piacer mio ma per dare figli a Dio.” Uno squarcio a giustificare l’orrore del peccato.

Un peccato che non le ha mai permesso di commettere.

“Cent’anni.”

Ancora le risuonano quelle due parole dette da Carmine.

˗ Schifosa da chi ti sei fatta toccare?˗ urla ancora il mostro.

Ma lei non lo sta più a sentire.

Un foglio dopo l’altro i romanzi d’amore vengono smembrati e posizionati davanti alle sue zampe. Una montagna di carta che sfiora l’orlo della camicia da notte. Poi il bagliore di un accendino.

È bella la fiamma è come l’amore. Lo ha letto da qualche parte.

L’amore. Amedeo.

Amedeo la ama. Sissignore. Le ha fatto un cuore sul caffè macchiato.