La notte era ormai avanzata e il disco bianco della luna splendeva enorme sulla pampa desolata. Leandro si voltava nel letto, cercando un sonno che non voleva venire, mentre il vento ululava sinistro sulla grande pianura. Perché quelle persone erano venute a turbare la sua pace tanto faticosamente raggiunta? Cosa c’entrava lui con gli intrighi di una città lontana? E perché allora tanta inquietudine? Nel tentativo di sfuggire a quei pensieri Leandro richiamò alla mente l’immagine dei suoi giorni a Buenos Aires: la miseria della Boca, i gruppi di marinai ubriachi all’uscita delle bettole, la coltre di smog che ammorbava l’aria come una coperta soffocante. Poi immagini spezzate, la polvere nera sul fazzoletto quando si soffiava il naso, i bambini che tossivano giocando nelle pozzanghere, suo padre riverso sull’asfalto, il cranio spaccato da un colpo di bastone, e sangue, sangue mentre scivolava nel sonno.

«Allora, Leandro, ci siamo tutti. Andiamo?»
Leandro si voltò. Alvar? No, imposible! Alvar è morto…
Alvar prese il gesto come un segnale di assenso. «Vamos, las mujeres no esperan.»
Il gruppo di giovani uomini si mise in movimento, trascinandolo con loro. Insieme uscirono nella strada e cantando forte si diressero verso il porto. La Taberna de la felicidad come sempre era aperta fino alle prime ore del mattino, e le prostitute ciondolavano nei pressi, sicure di raccattare uomini non troppo ubriachi per fare la serata. Lungo la strada Leandro vide il “Círculo del partido socialista”, dove sicuramente suo padre aveva passato la serata e dove aveva tentato invano di farlo entrare tante volte. Quanti anni erano passati? Ma no, entrando nella Taberna Leandro vide il suo riflesso nello specchio vicino al guardaroba, e l’immagine era quella di un uomo sui venticinque anni, con la barba ancora rada e senza quelle spruzzate di bianco che…
Come in un improvviso déjà vu Leandro vide sé stesso giovane andare al banco e poi ad un tavolo con i suoi amici, invitare delle donne e ridere e bere e…
Vide un amico arrivare trafelato al tavolo, mettergli una mano sulla spalla, trascinarlo fuori: «Tu padre.» Vide il genitore morente per strada, i manifesti che stava affiggendo sparsi in disordine sulla terra bagnato, il sangue che si mischiava all’acqua nera dei rivoli di scolo…

«E così, Leandro, cerchi ancora di nasconderti di fronte alle tue responsabilità!»
L’immagine di suo padre era maestosa e dolente. Leandro percepiva l’irrealtà della visione, ma non riusciva a staccare gli occhi da quell’uomo alto e leggermente curvo, le mani grandi e la fronte spaziosa, che teneva sottobraccio un rotolo di manifesti.
«Papà, no, non andare, ti stanno aspettando!» singhiozzò.
«Devo andare, Leandro» rispose suo padre, «non si può sfuggire al proprio dovere.»
«¡Pero te matarán, papá!»
«Neanche al proprio destino si può sfuggire.»
Adesso Leandro vedeva il suo giovane volto bagnato di lacrime che rigavano il sottile strato di polvere scura che vi si era depositato.
«Cosa posso fare per fermarti? Per farti rimanere con me?»
Il padre mosse una mano e Leandro sentì come una carezza sul volto.
«Io sarò sempre con te, Leandro. So che tu non mi deluderai.»
La figura adesso sembrava svanire, mentre la realtà irrompeva nel sogno.
«Aspetta! Dimmi almeno chi ti ha ucciso!» lo implorò Leandro.
La voce del padre adesso era solo un sussurro, un flebile soffio di vento. «Sono stati gli squadristi guidati da quel joven español… Francisco Fran…»

La porta che si apriva fece sobbalzare i due che stavano facendo colazione nell’unica stanza della locanda. Tostadas e medialunas stavano impilati su piatti di ceramica scura, mentre manteca e Grasa erano in due ciotole vicine. Un bricco con il caffè e un altro con del latte completavano il menù.
Anita e Miguel mangiavano svogliatamente, nonostante l’aria fresca stuzzicasse l’appetito.
«Ma tu credevi veramente che saremmo riusciti a convincerlo?» chiese l’uomo.
Anita posò la tostada che stava mangiando. «MI dirai che sono stupida, ma sì, io ne ero convinta. Ho sentito parlare tanto di lui a Buenos Aires…».
«Di leggende se ne sentono tante: se dovessimo dar retta a tutte crederemmo anche che l’uomo andrà sulla Luna!»
«Ma no, non si tratta di credere alle favole! Ho parlato con gente che ha condiviso le avventure di Soria e dicevano tutti le stesse cose. Solo lui sa come muoversi nei quartieri poveri.»
«Resta il fatto che ci ha detto di no e adesso siamo qui in mezzo alla pampa a pensare a dove trovare qualcun altro al suo posto.»
«Mierda!»
Un coltello comparve nella mano di Anita e si piantò in mezzo al tavolo, sorprendendo il barista che stava arrivando con altro caffè. La lama continuò a vibrare per alcuni istanti.
«Qualcosa faremo!» disse la donna alzandosi di scatto senza smettere di masticare.
In quel momento la porta si aprì, sbattendo con violenza contro la parete di legno, e davanti agli occhi sbalorditi di Anita e Miguel comparve un Leandro Soria in abiti da viaggio, che posò sul tavolo una consunta borsa di cuoio scuro facendo sobbalzare piatti e bicchieri.
«Vedo che cominciamo bene!» disse, accennando al coltello.
«Leandro» esclamò Anita «¿Qué te pasa?»
Leandro staccò il coltello dal legno con uno strattone secco, ne infilò la punta in due medialunas e se le portò alla bocca. «¿Todavía estás desayunando? ¡Vamos!»
«Andiamo? Dove?»
Una largo sorriso illuminò il volto scuro di Soria mentre sfilava con un unico gesto dal fodero che portava dietro la schiena il machete e ne provava il filo sul palmo della mano. «¡Vamos a matar a Francisco Franco!»