C’è un posto in cui la nostra anima è nata. A volte coincide con quello in cui è nato anche il nostro corpo, altre no.
C’è un posto, ed è quello in cui è nata la mia di anima, in cui le chiacchiere rubate agli altri, quelle ascoltate con sfuggita attenzione, diventano poesia.
In uno di questi posti nel mio posto mi trovavo a pranzo con mio zio e mia zia. Una calda giornata di Ottobre. Fine estate, nel posto in cui è nata la mia anima.
Tutti e tre distrutti in modo diverso dalla morte di mia mamma, più di una sorella per mia zia, più di una cognata per mio zio. Tutti e tre che cercavamo di far quello che avrebbe fatto lei per l’altro. Una sorte di effetto placebo del dolore con effetti collaterali imprevedibili. Eravamo a mangiare vicino al mare perché io avevo bisogno del mare e zia aveva bisogno di fare quello di cui io avevo bisogno. A zio basta mangiare: nella sua semplicità ha capito tutto di come sopravvivere alla vita.
Peccato non saper riprodurre quelle chiacchiere in dialetto. Il dialetto riproduce il rumore del mare, là dove è nata la mia anima.

“Hai visto come stanno facendo i lavori, lì? Assurdo, hanno messo le panchine al contrario. Schiena al mare. Noi il mare dobbiamo averlo sempre di fronte. Noi il mare dobbiamo vederlo anche da morti. Anche la tomba deve essere vista mare”.

Mia zia è anziana, ed è invecchiata tanto da quando è morta mia mamma. Quei signori al tavolo accanto erano anziani. Io sono più anziana da quando non c’è lei, perché non sono più figlia.
Il mare invece ha tanti anni, ma mantiene tutti giovani.