Era proprio bello cenare sul terrazzo della signorina Clorinda Bianconi detta Clò. Da lassù si dominava la parte nord del paese, con i tetti e le viuzze incastrate tra archetti e scalinate, si godeva la vista della piazza durante le feste e le processioni e si allungava lo sguardo giù in basso sulla valle verdeggiante, tagliata dal fiume con i suoi pioppi, e macchiata da un laghetto artificiale di pesca sportiva. Esposto a nord il terrazzo era ideale nelle serate estive quando ci si godeva il fresco coprendosi il collo con uno scialletto, e ci si giocava a canasta fino a tardi, fino a che le case piano piano spengevano le luci e il buio invitava ad andare a dormire.
Aveva tre amiche Clò che le riempivano il cuore e le giornate, e la riempivano soprattutto di chiacchiere, passatempo che riusciva bene grazie ad un allenamento che superava il settantennio. Tappa fissa, da quando la vita le aveva riportate tutte a vivere stabilmente nel paese natio, era la casa di Clò il martedì sera, per la canasta e la pizza, servita con birra fresca e un dolce, in barba al diabete e al colesterolo. Perché della salute precaria, le vecchie amiche si preoccupavano in ogni giorno della settimana, ma non quando stavano insieme, allora gli strappi alla regola diventavano la normalità e loro ritornavano le ragazze spensierate di un tempo.
Nelle loro cene erano ovviamente gradite le varianti culinarie e, in quella sera di fine aprile, intorno al tavolo della sala da pranzo, Onorata Ridolfi detta Rina (o più spesso Digos) aveva portato per le amiche delle zucchine ripiene di carne e un’insalata di puntarelle con aglio e alici. Ubaldina Goro, detta Nena (con la e larga) aveva preparato un dolce con burro, frutta secca e cioccolato: «Ho portato la caprese napoletana. La caprese non fa male ve’?» aveva chiesto con aria innocente, facendo l’occhiolino.
«No, no, almeno il nome no» aveva risposto decisa Clò, cha da qualche tempo era esentata dal cucinare per via delle condizioni di salute che la costringevano quasi tutto il giorno in poltrona.
Stavolta erano insolitamente in tre e, ovviamente, parlavano dell’amica assente.
«Perché è sempre stata una cretina!» tuonò Clò, con la voce roca da ex fumatrice incallita, indicando fuori della finestra con la mano ossuta.
«Fammi parlare!» rispose Rina Digos, mentre versava alle due amiche un vinello bianco e secco che scivolava giù da solo. Aveva le guance paffute arrossate che spiccavano sotto la capigliatura bianca e riccioluta, e un sorrisetto che era la quintessenza della malizia.
«E parla allora!» acconsentì Clò attaccando con la forchetta una zucchina ripiena traboccante olio extra vergine di oliva, e qualche altro condimento tassativamente proibito.
«Mi ha detto proprio così» parlava facendo girare il vino nel bicchiere «che lui sembrava ispirato, che si era persino commosso. A Setta era sembrato pure di vederlo piangere, lì davanti alla tomba del santo. E lei figurati pensava che Padre Pio le avesse fatto la grazia! Ma non era certo questa la grazia che voleva. No, certo che no» e bevve un sorso, come per mandare giù quel pensiero.
«E invece gliel’ha fatta sì la grazia! Quello è sempre stato un malandrino, un violento» commentò Clò ingoiando velocemente il boccone. «Ma vi ricordate quante paia di occhialoni neri ha cambiato quella poveraccia, che la chiamavamo pure Panda? Sempre più grandi poi per coprire gli occhi gonfi.»
«E quando le ha strappato il vestito perché era troppo colorato?» intervenne Nena, una moretta segaligna con occhialetti neri anni sessanta che rimarcavano implacabilmente la sua miopia, e confermavano il suo stato civile di zitella.
«Un porco, un manesco!» puntualizzò ancora Clò con le vene del collo che si gonfiavano.
«Calmati che poi ti senti male. Lo so che non l’hai mai sopportato» la rimproverò con dolcezza Rina Digos «ma te la prendi troppo a cuore.»
«Però questa proprio non me lo aspettavo» continuò Nena, mordendo con avidità del pane alle noci, «e nemmeno lei.»
«Ma che ne sappiamo noi? Magari è proprio la grazia che Setta aveva chiesto» continuò Clò, «ve la immaginate lì sulla tomba di Padre Pio a pregarlo di redimere quel coniuge tanto amato ma tanto discolo. Ma sotto sotto, nel più profondo del cuore, a pregarlo di liberarla da quella catena, da quel cancro. Se potessimo sapere la gente cosa chiede in ginocchio nelle chiese rimarremmo di sasso».
«Insomma» continuò Rina Digos, che non vedeva l’ora di raccontare il gran finale «dice che Armando ha cominciato a sudare, a sudare. Allora sono usciti dalla chiesa per cercare un bagno, perché lui voleva rinfrescarsi un po’. Lo hanno fatto bere e sono usciti sul piazzale, tutti, pure don Ciccillo. Qui Armando si è guardato intorno come se non sapesse dove si trovava, ha girato lo sguardo su tutti con fare stupito, poi si accasciato, piano piano, e non c’è stato niente da fare».
«Però poveraccio» disse Nena facendosi il segno della croce «era ancora giovane».
«Ottantasei anni» scandì Clò.
«Però portati bene» precisò Nena.
«Oggi sono in viaggio e domani alle dieci ci saranno i funerali, giù alla chiesa sul lago» continuò Rina.
«Ci andiamo insieme?» chiese Nena.
«Io non vengo» rispose secca Clò «quell’uomo non mi è mai piaciuto, figurati se con tutti i miei acciacchi mi sposto per lui».
Rina Digos posò la forchetta e le puntò l’indice contro: «Sei la solita stronza. Fallo per Setta!».
«Con Setta ci vediamo martedì prossimo che è il primo di maggio. Ce ne andremo tutte alla villetta, prenderemo il sole e faremo un brindisi alla conquistata libertà» e alzò il bicchiere ingoiando un sorso di nettare alcoolico, in barba alle sue fragili coronarie.

Così avvenne che Marisa Ciondoli in Peretta, detta Marisetta, detta pure Setta (con la e stretta), reduce dal funerale del marito e ancora stravolta per l’accaduto, quello stesso martedì accompagnò le amiche nella villetta della Clò in riva al lago, piangendo e frignando per tutto il percorso.
«Dai mi innervosisci, e poi guido male. Non piangere più ti prego» la supplicava Rina Digos «se prendo una multa me la paghi tu!».
Setta, seduta nel sedile posteriore stringeva la mano di Nena e si asciugava le lacrime con un fazzolettone bianco: «Sì, ci mancherebbe pure la multa da pagare!» e tirava su con il naso.
«Dai che oggi brindiamo!».
«Ma Clò che dici? A cosa dovrei brindare alla mia disperazione? Quel disgraziato mi ha lasciato con il conto in banca vuoto come, come… Niente, non mi è rimasto niente!».
«Allora è vero che giocava a carte!» commentò Rina Digos, che ovviamente lo sapeva già, ma a che serve sapere tutto di tutti se poi non si può intervenire nei discorsi per dimostrarlo?
«A carte, alla lotteria, ai gratta e vinci, all’animaccia sua! Sto disgraziato!» confermò Setta sventolando il fazzoletto.
«Ma tuo figlio non ti può aiutare?» chiese Nena cercando di allontanarsi da quel ricettacolo umido di batteri.
«Macchè! In pochi giorni ha trovato la soluzione ai miei problemi. Siccome casa loro è piccola ha pensato di affittarsela e di trasferirsi da me con moglie e figli. Ecco il suo aiuto: invadermi casa! Ma io a vivere con quella strega di mia nuora non ci penso proprio. No Signore!».
«Almeno una pensione te l’ha lasciata?» chiese Clò con il suo fare risoluto.
«Mi hanno fatto due conti, ad occhio e croce sarà una pensione di reversibilità da fame, grazie all’INPS! Che non ci pago nemmeno le bollette. Intanto mio figlio ha pagato il funerale, e io ho promesso di ridarglieli: ma come? Il disgraziato mi ha lasciato in mutande!».

La villetta di Cloe si trovava in fondo alla vallata, praticamente a un quarto d’ora di macchina dal paese, per loro però ogni volta era un viaggio. Si trattava di una costruzione indipendente al centro di un quadrato di terra poco curato, una monocamera con divano letto, caminetto con poltrona, angolo cottura e bagnetto. Il giardino era circondato da una fila di pioppi e dava da un lato sul fiume e da un altro si affiancava al laghetto di pesca sportiva. Le donne piazzavano le sedie a sdraio in giardino, accanto al tavolo di marmo con le panche di pietra e qui, appartate dal mondo, si godevano il sole lontano da occhi indiscreti. Veramente c’era stato un tempo in cui i pescatori gettavano audacemente l’amo anche in quel giardino di delizie, e loro fingevano di coprirsi la pelle esposta scandalizzate, ma questo non capitava più da almeno mezzo secolo. Adesso il sole non serviva più per la tintarella ma per incamerate vitamina D, per asciugare le ossa, e per il buon umore.
Clò si era piazzata sulla sdraia aiutata dalle amiche, data la sua difficoltà a muoversi da sola, e sembrava la più allegra del gruppo. Si era anche portata il cellulare, che in effetti amava poco, e stava scattando delle foto alle margherite sul prato: «Dai guardate qui che scatto un selfie e lo mando a mia nipote».
«Com’è che ci penii?» chiese Rina Digos «di solito non te ne frega niente dei tuoi nipoti».
«Lei è l’unica che mi sopporta e che merita qualcosa, e ieri mi ha pure chiamata. Una brava ragazza, peccato sia così insicura, così fragile, così… tontolona. Chissà da chi ha preso».
Anche Setta sembrava rilassata e aveva smesso di piangere: «Avete portato la crema solare?».
«Sì e pure la crema pasticcera!» rispose Nena ridendo e facendo il verso di spalmarsela sulle braccia. Poi si rivolse a Clò che rideva e cercava di sistemarsi meglio sulla sdraia: «Ma non riesci a rilassarti? Ti agiti su quella sdraio, se si alza ti prende a sberle!» e a questa battuta risero tutte come non facevano da qualche tempo.
Poi Clò cercò di rialzarsi: «Oddio chi mi accompagna dentro? Devo andare in bagno, mi fate pisciare sotto! Ho fatto male a non portare il carrello deambulatore».
«E allora che ce l’hai a fare le amichette?» rispose Setta scattando in piedi per aiutarla «solo per trattarle male? Ti accompagno, e visto che ci sono… dai sbrighiamoci o me la faccio sotto pure io».
Allora Nena riprese fiato: «Signore belle, avete la prostata debole?».
«Le donne non hanno la prostata, ignorante!» rispose Setta piccata, e tenendo sotto braccio Clò che non smetteva di ridere. A piccoli passi le due raggiunsero l’interno: «Vai prima tu Setta o me la fai qui, fammi sedere un attimo in poltrona che ho il fiatone per ridere».
«Come il fiatone?».
«Sì, quando Nena ci si mette mi fa morire dal ridere!».
«Stai sudando un sacco, non ti senti bene?».
Ma Clò non riuscì a rispondere, appena seduta poggiò la testa indietro e rimase in quella posizione con gli occhi sgranati puntati su una crepa del soffitto e un’espressione sulle labbra tanto simile a un sorriso.