Se ne tornava a casa in treno Marco , dopo otto anni di silenzio.

Otto anni fuori casa senza dar notizie ai suoi che forse lo avevano cercato, ma forse no. Non sopportava più lo sguardo da animale ferito di sua madre e quello perennemente adirato di suo padre che lo tenevano legato ad una vita senza libertà e futuro.

Andava ripensando a quegli anni mentre guardava il mare grigio d’autunno la cui schiuma lambiva la massicciata della ferrovia in modo così minaccioso da comunicare un’ acuta sensazione di fragilità e d’impotenza..

Tutto incuteva paura, allora, una vita fa.

Ma la sentiva ancora quella voce impastata d’alcol di suo padre.

“Sei nato per tenere il capo chino come tua madre, non vali niente”, gli ripeteva come un mantra quando si limitava solo ad insultare e non piuttosto ad usare le mani.

Non un barlume di incoraggiamento o di stima da parte sua, mai.

E lei, sua madre, che s’aggirava per casa silenziosa, piegata a furor di schiaffi, non poteva certo proteggerlo dalla sua dose quotidiana di violenza verbale e non.

Era un po’ come quel trabucco che vedeva ora lì nel mare, lei, così fragile e precaria sotto l’infuriare delle onde eppure ostinata a restare, a resistere.

Fu in un giorno come mille altri che Marco aveva fatto la vigliaccata più grande che potesse mai realizzare: era scappato via di casa.

Non se n’era parlato nei giornali, né in tv; era semplicemente passato da un nulla ad un altro.

Ma nella sua nuova solitudine aveva lentamente ricostruito sé stesso, trovato un lavoro, una donna, formata una famiglia.

Ed ora si sentiva finalmente forte e pronto a tornare, a riaprire le sue cicatrici, a chiedere scusa a sua madre, a portarla via con sé.

Senza più paura.

Le onde oramai non potevano più trascinarlo via, il treno correva dritto lontano .

 

Foto mia: trabucco in Adriatico