Sono nato nel 1936 a Roma e da bambino mi sono trovato nel bel mezzo di una guerra e tutte le comodità o i piaceri banali, di cui neanche ci accorgiamo, erano praticamente sconosciuti.
I viveri erano razionati e con la tessera annonaria avevi la possibilità di acquistare 125 grammi di pane al giorno e se si aveva meno di 10 anni un quarto di litro di latte.
Pure l’acqua era razionata ed occorreva fare la coda alle fontane pubbliche per riempire qualche recipiente.
Chi aveva la fortuna di conoscere qualcuno che abitava in campagna poteva avere qualche uovo o un po’ d’olio, genere molto raro e richiesto. Per il resto cio che si poteva trovare al mercato erano delle verdure e poca frutta.
La carne era una cosa rara che si mangiava nelle grandi occasioni.
Ad onor del vero, si poteva trovare di tutto al mercato nero, ad un prezzo esagerato e non era raro il caso in cui per comprare un genere di conforto, occorreva vendere anzi svendere qualche prezioso di famiglia.
Lo stesso avveniva per il vestiario.
I cappotti andavano rivoltati e per proteggere le suole delle scarpe si mettevano sui tacchi e sulle punte i ferretti.
Ma non erano soli questi gli inconvenienti.
Si andava a dormire mezzo vestiti, perchè erano sempre in agguato i bombardamenti.
Ed appena gli osservatori avvistavano l’arrivo dei bombardieri facevano suonare le sirene che ti svegliavano di soprassalto..
Bisognava allora saltare giù dal letto e recarsi al piu vicino rifugio portandosi dietro un po’ di acqua ed un po’ di pane, perchè non si sapeva quanto potesse durare l’allarme.
Noi, di solito, poichè abitavamo in via Re Boris, attualmente via Filippo Turati, ci recavamo in una cava abbandonata dietro Santa Maria Maggiore all’Esquilino e ci sedevamo su improvvisati giacigli, creati con delle vecchie coperte o stracci, aspettando il suono liberatorio del cessato allarme.
Ricordo una delle ultime volte.
Suona l’allarme e partiamo per il rifugio, ma le bombe cominciano a cadere e non facciamo in tempo a raggiungerlo.
Ci infiliamo in un portone e ci adagiamo sugli scalini.
Ma il cessato allarme non giunge.
Siamo rimasti due giorni e due notti in quel portone grazie all’aiuto degli abitanti del palazzo, che ci offrivano quel poco che potevano offrirci e permettendoci di usare i loro servizi igienici.
Poi quando, finalmente, potemmo uscire, si presentò ai nostri occhi una scena orrenda. Diversi militari morti a terra.
Uno dovemmo quasi scavalcarlo perchè ostruiva il passaggio.
Questi ricordi nella mente di un bambino rimangono indelebili.

R. Margareci