La naia rappresentava, nella vita di ogni ragazzo italiano, un momento indimenticabile della propria crescita individuale, ma anche un sacrificio di allontanamento da tutte le cose care. Non si era pronti a quell’età ad abbandonare un piccolo paese per ritrovarsi in una città.
È così che comincia la sua storia. Nelle mie mani il suo diario che sto leggendo. La sera precedente la partenza si fece festa tra amici, tutti in piazza: erano ben quattro ragazzi che dovevano partire e tra effetti di alcool e risate arrivò l’ora della partenza.
Così racconta Pietro «Era il 9 ottobre del 1979 partii da Roma con Giovanni e Fabio, dopo aver salutato in crisi di lacrime Paolo che partiva da solo per Barletta, ci ritrovammo noi tre sul treno per Ancona, destinazione Pesaro.»
E così, catapultati, si ritrovano in caserma, non nella stessa compagnia, ma la sera finalmente riuscivano a stare insieme.
«Dopo 18 giorni di addestramento feci il giuramento; uno dei giorni più belli della vita militare, dopo quello del congedo.»
A novembre furono trasferiti a Bologna e assegnati alla “Fanteria Folgore 37° Bat. Mecc.”Ravenna.” Da qui cominciò la vera naia: pulizia cucina, piantone camerata, pulizia bagni, esercitazioni varie, tiri col fucile, lancio bombe ecc… Finalmente si torna a casa licenza.
«Sono rientrato a Bologna dalla licenza, avevo dentro di me un senso di crisi, tutti quei giorni a casa… avevo dimenticato ciò che mi attendeva, di nuovo.» « Dopo il corso di guida, ed esami di pratica e teoria – è lì che presi la patente – entrai a far parte del plotone trasporti.»
Era inverno e le giornate passavano in un clima sempre nebbioso e freddo.
«Questa mattina mentre facevamo l’alza bandiera tutti sull’attenti, il disco che suonava all’inizio ha fatto una specie di pernacchia, e noi tutti a ridere, il capitano ci ha lasciato lì, in punizione, un altro quarto d’ora, con le mani congelate dal freddo.»
«La sera uscivamo, andavamo alla SIP a telefonare, come ogni volta ho chiamato Irene e i miei genitori. Da lì siamo andati alla casa del soldato a vedere un film.»
«Dopo gli esami di guida mi avevano affidato il pulmino per il giro posta, rientravamo verso le 11,30.»
«Quel giorno mi successe una cosa buffa appena rientrato con la posta dovetti accompagnare il capitano a casa, e tornare a riprenderlo nel pomeriggio. Aspettai un’ora sotto quel palazzo, improvvisamente mi si affiancò una 112, era un mio commilitone» «Che cazzo fai!»«Il capitano è arrivato a piedi ed è preoccupato!»
«Ecco quanto! Sembravano tutti uguali, avevo sbagliato palazzo.»
Pietro arrivato in caserma dovette andare a chiedere scusa al capitano, che ridendo lo tranquillizzò.
Così passavano i mesi tra alti e bassi della vita militare.
Quella mattina faceva molto caldo, d’altronde era agosto, Pietro e il suo camerata di turno fecero il giro posta, poi arrivarono alla stazione e lì, dopo aver sbrigato altre commissioni ripartirono per la caserma.
Improvvisamente lungo le vie di Bologna, ambulanze, vigili del fuoco a sirene spiegate; non capivano cosa stesse succedendo. Era il 2 agosto 1980, ore 10:25 un orario che difficilmente si dimentica e che l’orologio fuori dalla stazione ricorda ancora. Dove quel pulmino militare, poco prima, era parcheggiato.
Arrivati in caserma furono tutti allarmati e trasferiti sul luogo della tragedia. Anche Pietro uscì col camion, si ritrovò a scavare tra le macerie corpi dilaniati, per poi trasportarli in obitorio.
«Eravamo stanchi ragazzi assetati tra la polvere, nei bar vicini ci davano acqua, furono giorni infernali.»
«I corpi straziati tutti allineati in obitorio venivano lavati con un budello sotto un getto d’acqua e messi dentro le bare.»
«Lo strazio più grande: l’arrivo dei parenti per il riconoscimento delle salme, le urla strazianti, vederli riconoscere i propri cari attraverso un orologio, un anello…»
Da casa vedevamo le notizie dei tg, avevamo capito, dopo tante preoccupazioni, perché quei nostri ragazzi solo dopo una settimana, finalmente, riuscirono a telefonarci.
Una pagina drammatica della storia italiana, raccontata su un diario da un ragazzo, che mai dimenticherà.