«Ti hanno informato male, l’ho visto una sola volta e non ho la più pallida idea di dove sia.» Controbatto, spostando la sua manaccia e cercando di non mostrarmi intimorita anche se, invece, ho una fottuta paura, perché io ed Angelo Fabbri, in “Chicago Blues” abbiamo sottaciuto che Jack è un soggetto borderline.
In realtà, per quel che ci riguarda, è stata una scelta forzata, davanti alla sua minaccia di finire in fondo al Tevere con i piedi incatramati in due casse piene di cemento, la stessa tecnica usata per far fuori i due stupratori di Tina (cap 16 “Up The River”) cosicché entrambi saremmo stati disposti a giurare, e spergiurare, che quel losco figuro fosse l’aiutante di camera del Papa anziché il braccio destro di Don Vito Lo Cascio. Anche se, a onor del vero, ad accomunare Sandro Mariotti, l’assistente di Sua Santità, e Jack Randazzo, il tirapiedi di un mafioso, c’è solo la stessa stazza imponente e la mascella volitiva, ché le somiglianze, per fortuna, si fermano qui. Diversi i caratteri; diversi i datori di lavoro; diversa la missione che sono chiamati a svolgere. Soprattutto diversi i loro modus operandi.
Fingo disinvoltura mentre frugo nella borsetta alla ricerca delle chiavi, come se ritenessi la faccenda chiusa, quando quello, con un ghigno, mi spiana sotto il naso una Colt 1911 semiautomatica (realizzo in un lampo che era la pistola preferita da Al Capone e…come lo so? Bè, per scrivere “Chicago Blues” io e Angelo abbiamo fatto una full immersion nei fatti e misfatti di quel periodo, tenendo conto anche dei gingilli allora in uso) e con un cenno del capo mi fa segno di entrare in casa.
«Cristo, Jack…metti via quell’arma!»
Per tutta risposta lui mi spintona dentro e con un calcio chiude la porta, e senza troppi complimenti mi spinge verso la cucina.
«Posso offrirti un caffè?» Domando conciliante, abbozzando un sorriso che vorrebbe essere seducente ma che mi viene sghembo. Una smorfia per niente attraente.
«Siediti!» Mi ordina indicandomi con la colt la sedia incuneata tra la parete ed il tavolo. Così non ha bisogno neppure di legarmi.
«Non ho molto tempo, Jack, devo andare a lavorare (lavoro in una ditta di pulizie perché almeno ho di che pagare le bollette e la connessione ad Internet, in attesa dei diritti di autore, semmai verranno) e se non mi vedono quelli si preoccupano e mi vengono a cercare. Quindi facciamo presto.» Dico, deglutendo.
Lui tira indietro il capo e scoppia in una fragorosa risata, battendosi le mani sulle cosce: «No so se hai più fantasia o senso dell’humor, piccerè.» Poi, in tono di nuovo minaccioso, aggiunge: «Te lo chiedo per l’ultima volta: dov’è Nazzareno Banderas?»
A questa domanda rispondo irata: «Ti ho già detto che non lo so! Non lo conosco. L’ho visto una sola volta, quando ha accompagnato qui mia madre che si era persa. Devi credermi!»
«Se non lo conosci, spiegami come diavolo è finito nella trama di “Chicago Blues”? Urla, battendo un pugno sul tavolo. «E’ entrato in combutta con Paddy O’Reilly e lo ha convinto a cambiare il finale della storia per avere un ruolo di primo piano, mettendo così a repentaglio gli affari e la carriera politica di don Vito.»
«Paddy O’Reilly non può cambiare il finale: siamo solo io ed Angelo Fabbri, gli autori, a poterlo fare, e non c’è possibilità per altri di manomettere la trama.» Ribatto ridendo, sollevata dalla soluzione così facile ed immediata dell’intera faccenda.
«Paddy O’ Reilly non può cambiare il finale» Mi fa eco, Jack, facendomi il verso. «Allora spiegami come mai don Vito è finito sotto processo, insieme ad Al Capone, per evasione fiscale?» Replica sarcastico, con una luce omicida negli occhi.
«Non ci credo…non è possibile.» Ripeto smarrita, scuotendo la testa e fissandolo attonita.
«Non mi è mai piaciuto quell’irlandese, avrei dovuto farlo fuori già dalla sua prima apparizione. Ma questo Nazzareno Banderas mi piace ancora meno.» Poi scandendo le parole e mostrandomi la pistola, intima: «Hai ventiquattro ore, da questo momento, per sistemare la faccenda. Non un minuto di più.»
«Perché sei venuto a cercare me e non Angelo Fabbri? Il romanzo lo abbiamo scritto insieme e quindi, in tutto questo, anche lui ha una parte di responsabilità.» Chiedo, mentre lui è già sulla porta.
«Perché in “Chicago Blues” Nazzareno Banderas, l’intruso, è giunto tramite te, quindi sei tu a dover rimettere a posto le cose!» Esclama chiudendosi la porta alle spalle e negandomi ogni possibilità di replica.