«L’avevo visto seduto affranto su una vecchia panchina di ferro, avete presente quelle panchine verdi senza spalliera che erano nei parchi, quelle indistruttibili, fatte di sbarre parallele intervallate da spazi, cosicché anche quando piove si asciugano subito?».

I ragazzi che facevano cerchio intorno al vecchio assentirono. Qualcuno si fece scappare una mezza risata, subito soffocata. Lo prendevano in giro, lo sapeva, ma andava bene, bastava che gli pagassero ancora da bere.

«Dai, continua, cosa ti ha detto quel tipo?».
Il vecchio buttò giù una sorsata.
«Mah, lui niente, stava lì a guardare la luna riflessa in una pozzanghera, sapete cosa intendo. Sono io che gli ho parlato».
Si fermò e si guardò intorno. Il bicchiere era vuoto. Uno dei ragazzi si alzò, andò al banco, si fece aprire un’altra bottiglia e lo riempì.

«Gli ho chiesto cosa facesse lì tutto solo» continuò il vecchio «era la notte di Natale e nessuno dovrebbe stare solo, non vi pare?».
I ragazzi non risposero: era chiaro che non gli interessava molto della notte di natale. Capodanno, magari.

«Lui non si è stupito nel sentire la mia voce alle sue spalle. “Niente”, ha detto».
«E tu?».
«Be’, non è che me ne sia stato, sapete nessuno dovrebbe…».
«Stare solo la notte di Natale, va bene, nonno, l’hai già detto» lo interruppe uno.
«Ah già, scusate, alla mia età… Bene, mi sono seduto vicino a lui e per un po’ siamo rimasti così, in silenzio».
«E poi?».
«Poi mi sono stufato e gli ho chiesto: “Ma sei qui da solo? Non hai nessuno che ti aspetta a casa?”.
Lui è rimasto sorpreso e si è voltato verso di me. Alla luce del lampione ho visto i suoi occhi: erano
di un azzurro incredibile, blu come il cielo la mattina e profondi come il mare al largo. Ci si poteva perdere in quegli occhi.
“Non ho nessuno e neanche una casa”, mi ha risposto.
Ora capite che quando uno dice una cosa del genere di solito lo fa con un tono carico di emozione: tristezza, malinconia, senso di abbandono. Lui no, era completamente tranquillo, e i suoi abiti erano normali, puliti».

Il vecchio si interruppe e spiò i volti dei ragazzi.

«Non come me» disse, indovinando quello che pensavano.
Ci fu un attimo di imbarazzato silenzio.

«Quell’uomo mi ha guardato dritto negli occhi e così, a bruciapelo, mi ha chiesto: “Tu credi in Dio?”  Voi capite che sono rimasto imbarazzato: ognuno ha una sua idea di Dio – sì, voi siete troppo giovani per pensarci – e così su due piedi mi sono trovato spiazzato. ‘”Sì” ho fatto, sulla difensiva. Naturalmente lui non si è accontentato di quella risposta.
“Ma in cosa credi di Dio?” Si è fermato un attimo, come se riflettesse: “Siamo in Italia e quindi tu sei cattolico, immagino…”
“Sì” ho confermato, senza capire dove volesse arrivare.
“Allora tu credi in un Dio Padre, in Gesù suo figlio, in Maria Vergine e Madre, nei santi, nell’Inferno e Paradiso…”. Poi, vedendo la mia faccia:. “Non proprio a tutto, no?”.
“Be’ no… Insomma, credo in un Dio, ma…”-
“Non ti preoccupare” mi ha tranquillizzato, “è così da tutte le parti: la gente non crede più nelle religioni e forse crede in un Dio solo per vincere la solitudine. Così non è la paura del castigo a dirigere le loro azioni ma solo la sensazione di abbandono”».
«E questo è un male?» chiese uno dei ragazzi. Adesso si erano fatti seri. Quasi. Alcuni.
«Più o meno è quello che gli ho chiesto io, anche se non con queste parole. Lui ha alzato le spalle: “No, è un segno dei tempi. . I tempi cambiano, gli uomini cambiano. Dovevamo tenerlo presente”.
“Dovevate?” ho chiesto io. Lui non mi ha risposto, ma ha guardato il cielo oltre la mia spalla destra. Io mi sono voltato, ma non ho visto niente- Mi sono girato nuovamente verso di lui e, be’, non ci crederete, era sparito».
«Sparito?».
«Sparito».

I ragazzi si guardarono l’un l’altro, delusi dalla conclusione anonima della storia.
«E tu quella sera non avevi bevuto?» domandò uno, ironico.
«Neanche un goccio, lo giuro».
«Perché non avevi un euro…».
Il vecchio sorrise.
«Esatto».

Il gruppetto si era sciolto pian piano, quando i ragazzi avevano capito che non c’era più da prendere in giro nessuno. Il vecchio finì di bere il suo vino, un Barbera ruvido come cartavetro, ma era quello che passava il convento, e uscì fuori sotto la luna. L’aria fredda tagliava la pelle come la lama di un coltello, ma dentro l’osteria si era scaldato, e poi il vino l’avrebbe tenuto su ancora per un po’. Adesso doveva trovare un posto per dormire, ma quelli del Comune avevano fatto gettare via le sue coperte e i suoi cartoni, così poteva solo sperare che avessero aperto le porte della stazione ferroviaria, anche se i giorni precedenti l’aveva trovata chiusa.
Faticosamente si portò davanti al grande portone, ma anche questa volta lo trovò sbarrato. Altri senzatetto erano lì e cercavano una sistemazione sui gradini, ma era come dormire in mezzo a una piazza, non c’era nessuna protezione per il vento ed era un posto tristissimo.
Ritornò così nei giardini dove c’era quella panchina verde, e con suo grande stupore ci ritrovò lo stesso uomo di cui aveva parlato ai ragazzi. Sembrava non essersi mosso da lì, ma era passata quasi una settimana.
«Cosa ci fai qui?» chiese, stupito.
«Se ti dicessi che ti aspettavo mi crederesti?».
Il vecchio alzò le spalle.
«Alla mia età si può credere a tutto».
Parlavano senza guardarsi, entrambi i volti al cielo stellato.
«Fa freddo qui» disse il vecchio.
«Sì, molto freddo»,
«Non so se ho voglia di sopportarlo ancora per molto».
L’uomo gli mise un braccio intorno alle spalle.
«Non devi».
«No».

Quando la mattina dopo un agente della Municipale attraversò il giardino all’inizio del suo giro una sottile patina di ghiaccio aveva coperto ogni cosa e scricchiolava sotto le sue scarpe.
Come vide la figura immobile sulla panchina intuì subito cosa era successo. Si avvicinò con cautela, lo scosse piano, poi tocco la pelle, che era grigia e gelata. Subito prese il suo cellulare e chiamò il 112, poi, in un gesto di umana cortesia, estrasse un fazzoletto e pulì il viso del vecchio dalla brina congelata che l’aveva avvolto come in un sudario
In premio ebbe il suo ultimo sorriso.