Quando era stato colpito non se ne era neanche reso conto. Una botta tremenda alla spalla destra che l’aveva fatto roteare su se stesso, come se qualcuno gliela avesse voluta strappare via. Aveva perso l’equilibrio e girando era finito a terra, incredulo. Poi era venuto il dolore, forte, fortissimo.

Aveva portato la mano sinistra sul punto dove aveva sentito il colpo e l’aveva ritratta coperta di sangue. Solo allora aveva realizzato cosa era successo.

Chi gli aveva sparato? Non vedeva nessuno in giro, eppure doveva esserci qualcuno nascosto dietro una persiana, o sopra un terrazzo. Un cecchino, maledetto lui!

Provò a muovere la spalla, con cautela. Il dolore era terribile, ma un certo movimento era possibile, probabilmente non aveva niente di rotto. Però perdeva molto sangue, lo sentiva bagnare la camicia grigioverde. Doveva levarsi di lì, e presto.

Strisciò penosamente attraverso la strada, aspettando in ogni istante il colpo di grazia, ma non venne. Chi gli aveva sparato si era accontentato di ferirlo, oppure stava a vedere cosa succedeva, si divertiva a vederlo agonizzare, prima di finirlo.

Raggiunse il muro e ci si riparò dietro, poi, con mille sforzi, riuscì a tirarsi a sedere. Prese un fazzoletto dalla tasca e tamponò alla meglio la ferita. Si sentiva debole, vedeva…

Accanto a lui vide il G-43 che aveva lasciato cadere quando era stato ferito. Cristo santo! Se i tedeschi l’avessero trovato lì l’avrebbero fucilato sul posto! Doveva farlo sparire, doveva…

Doveva sparire. Non c’era nessuno intorno, chissà chi gli aveva sparato. La neve sotto di lui era arrossata dal suo sangue, che continuava ad uscire copiosamente. Provò a fermarlo tamponandolo con una mano, ma come la toglieva riprendeva ad uscire come prima. Morire così, da solo, in mezzo ai boschi! Sempre meglio che farlo in una camera di tortura, pensò. Il bosco era silenzioso, dopo quell’unico colpo. Chi  aveva sparato?

«Ehi,  chi sei?». Aveva sentito un gemito dietro al muro, qualcuno che respirava a fatica.

«Sono ferito, puoi aiutarmi?», chiese.

Dall’altra parte un rantolio, quasi una risata.

«Sono ferito anche io, ho paura che se non aiuti tu a me…»

Silenzio. Ora da entrambe le parti del muro si respirava a fatica.

«Mi chiamo Guido», disse infine il primo.

«Io Olmo», rispose l’altro.

«Che nome strano!»

«I miei sono contadini, dalle mie parti si usa così».

«Sei figlio unico?»

«No, siamo in cinque, tre maschi e due femmine. E tu?»

«Unico».

«Bella sfiga. A me non sarebbe piaciuto».

«Si vede che i miei avevano troppe cose da fare… Dì, chi ti ha sparato?»

«Non so, i tedeschi, immagino».

«I tedeschi?»

«Si, o i repubblichini. Tu?»

«Credo sia stata la Polizia, o forse i Carabinieri…»

«Bastardi! Aiutano nei rastrellamenti, adesso?»

«No… non so…»

Lasciò perdere, non si capivano.

«Cosa stavi facendo?» chiese, «perché ti hanno sparato?».

«Lottavo per la libertà», rispose l’altro, soffocando un gemito.

«Anche io…».

«E adesso siamo qui a morire insieme».

«Forse no, se ci trovano prima che…»

«Se ci trovano che siamo ancora vivi ci daranno un colpo in testa, fidati. Fanno sempre così, meno problemi.»

Guido sospirò. Probabilmente l’altro aveva ragione.

«Allora aspettiamo». Esitò un istante.

«Olmo, cosa è per te la libertà?»

«Libertà è democrazia!», fu l’immediata risposta dall’altro lato del muro.

Silenzio.

«Non sei d’accordo?»

«No, non credo. Noi abbiamo la democrazia ma non la libertà».

«Da dove vieni?»

«Da Milano…»

«Milano è stata liberata?»

Un pensiero attraversò la mente di Guido.

«Milano anno 1980».

Pausa

«Devo stare delirando».

«Credevo di essere io a delirare!»

«Ma allora, se la libertà non è la democrazia, secondo te, cosa è?»

«Partecipazione! Io credo che la libertà sia partecipazione.»

Da un lato del muro il sole di inizio estate scaldava la pelle dell’uomo che stava morendo, dall’altro i fiocchi di neve stavano già coprendo il corpo senza vita di un ragazzo. Sopra di loro, ignaro, un passero cantava.