Un rumore  di colpi secchi e ripetuti la risvegliò.

Erano quei rompiballe dei vicini, i Rossetti, che stavano facendo il caffè e sbattevano il portafiltro per togliere la polvere usata.

Tutte le mattine alle sette la stessa storia. Metodici fino alla nausea e mai una volta che non la facessero svegliare.

E non si spiegava se quel fastidio fosse dovuto al fatto che erano dei maleducati o se la colpa fosse da attribuire a quel velo di muro che li separava.

Carla viveva in un monolocale ma l’appartamento adiacente era più ampio. La coppia che vi abitava aveva sfornato un paio di pargoli quasi coetanei che, a giudicare dalle urla, si erano svegliati decisamente pimpanti e in vena di litigare tra loro.

Dio quanto li odio questi bambini. Sembrano delle piccole bestiole che pretendono tutto e succhiano la vita a quei due poveri cristi. Una sculacciata e via, li rimetterei subito a posto, pensò schiacciandosi il cuscino in faccia per attutire quei rumori.

Certo, Carla non era dotata di un grande istinto materno e forse non sapeva neanche cosa fosse, visto che già sua madre non ne aveva mostrato molto nei suoi confronti.

Si rigirò nel letto in direzione della finestra che era restata aperta ma con le persiane socchiuse.

Accidenti! Aveva beccato uno spiffero d’aria ed ora le doleva il collo, a completamento di quella notte che già aveva trascorso male. Eppure, quella mattina avrebbe dovuto essere in forma in modo da affrontare al meglio l’ennesimo colloquio di lavoro come commessa in un negozio d’abbigliamento.

Dopo una doccia veloce, era ritornata nella zona notte del monolocale. Mancavano ancora due ore all’appuntamento e aveva tutto il tempo per scegliere cosa fosse meglio indossare. La parte ‘notturna’ dell’armadio era socchiusa e, nella luce incerta del mattino, sullo sfondo scuro del vano si stagliava il candore del tailleur indossato la sera precedente.

Chiuse con un colpo deciso le ante e, come trafitta da un improvviso pensiero, si lasciò cadere seduta sul letto.

Affanculo a tutto, Luana… perché non mi rispondi? Pensò, mentre componeva ancora una volta inutilmente il numero della sua amica.

Niente. E la cosa iniziava a darle molto pensiero.

Scelse un paio di jeans classici ed una camicia a piccoli fiori bianchi e azzurri da mettere sotto un cardigan blu. Intendeva dare di sé un’immagine semplice ma curata, sapeva che l’avrebbero passata ai raggi X ed ogni particolare avrebbe potuto fare la differenza.

Poco dopo, uscendo di casa aveva incrociato il vicino che le aveva rivolto uno svogliato “buon giorno” e lei lo aveva ricambiato con pari cordialità.

Stava iniziando per niente bene quel cavolo di giornata e per l’autobus mancavano ancora dieci minuti buoni, giusto il tempo necessario per entrare nel bar lì accanto a prendere un caffè.

Mi sento frastornata e ho bisogno di tirarmi su per essere lucida, pensò mentre attendeva d’essere servita.

Accanto a lei, due donne stavano chiacchierando mentre consumavano la colazione.

«Ho accompagnato Paolo a scuola. Lo debbo fare per forza perché non è più come una volta. Pensa un po’ che invece io ci andavo a piedi e da sola.» stava dicendo la prima.

«E sì! Non ci si può fidare, con tutta la delinquenza che c’è in giro.»

«Certo, e poi tu lo sai meglio di me… tuo marito è poliziotto, no?»

«Sì, ma non mi racconta molto perché quando torna a casa non ha voglia di portarsi dietro tutte quelle brutture. Però me lo fa capire che è un macello e succede di tutto. Ogni giorno ne capita una. Stanotte per esempio…»

«Che è successo, che è successo?».

«Hanno aggredito una prostituta.»

« È morta?»

«No, no ma quasi. L’hanno portata in fin di vita al pronto soccorso.»

A Carla si era di colpo raggelato il sangue e con difficoltà aveva mandato giù il sorso che aveva in bocca.

Ripensò al volto teso che aveva l’amica mentre stava uscendo e allo sguardo inquieto che le aveva lanciato. Era una strana cosa, quella, per una tipa come Luana che sembrava ormai abituata a quello schifo di vita e per la quale c’era ben poco che la spaventasse. Ma quella sera no, qualcosa la preoccupava per davvero e inoltre le aveva fatto pure cenno che le voleva dire qualcosa, ma cosa?

Forse era sotto minaccia di un’arma e chiedeva aiuto? O forse  quello era il protettore da cui s’era sganciata tempo prima?

No, non doveva, non poteva trattarsi di lei, accidenti.

Tuttavia, riflettendoci bene, l’aggressione di cui parlava quella tipa poteva spiegare il silenzio della sua amica, le due vicende combaciavano. E se così fosse stato, che cosa avrebbe dovuto fare lei adesso? Non poteva certo restare con quel dubbio.

Guardò l’orologio ed uscì sulla strada, stava per arrivare l’autobus la cui sagoma gialla s’intravedeva già in fondo alla via.

Doveva decidersi e doveva farlo subito, ma l’agitazione che le stava crescendo dentro non le consentiva di pensare lucidamente.

Insomma, avrebbe fatto meglio andare a cercare Luana o saltare su quel pullman  che si stava facendo sempre più vicino?

In un flash di caotici pensieri, aveva infine deciso di recarsi al colloquio perché occasioni di quel genere erano rare e quella non poteva farsela scappare. E poi, non sapeva neppure in quale pronto soccorso fosse stata trasportata la sua amica, ammesso che si trattasse di lei.

In quel momento si trovava in buone mani e quasi certamente non avrebbe potuto far niente per lei.

Perciò sarebbe stato meglio aspettare il pomeriggio per informarsi in qualche modo su quale fosse l’ospedale in cui era stata portata e poi dopo ci si sarebbe recata.

Era quindi salita sul bus che trovò gremito di gente perché quella era un’ora di punta.

Il farsi strada tra corpi oscillanti, odori e olezzi, le provocavano la stessa sensazione di disgusto che spesso provava a contatto con quegli estranei che le alitavano addosso.

Evidentemente le ante del suo armadio non chiudevano bene, non tanto quanto avrebbe voluto.

Il colloquio era stato veloce, uguale a tanti altri sostenuti e, come al solito, s’era concluso con un “le faremo sapere” che quasi certamente equivaleva ad un no. Peccato! Ci aveva sperato, ma la delusione che ora provava era  superata dalla preoccupazione per la sua amica.

Appena le era stato possibile, aveva provato ancora a chiamarla ma stavolta, dopo un paio di squilli, aveva finalmente sentito che all’altro capo qualcuno aveva attivato la comunicazione.

«Pronto? Luana…» aveva quasi gridato, col cuore in gola.

Una voce maschile le aveva risposto: «Pronto, qui l’agente Di Leo. Chi parla?»

«Pronto… pronto» aveva tentato di dire confusa « Sono Carla Bettucci, un’amica di Luana. Dove sta? Che succede?»

E l’altro, con tono privo di emozione: «Sono spiacente ma la sua amica è stata aggredita ed è stata portata all’ospedale di Torrette.»

«Oddio! Come sta?»

«Le condizioni sono critiche e non sono autorizzato a fornire certe informazioni se non ai suoi stretti congiunti.»

«Ma Luana non ha parenti vicini» replicò Carla, «per lo meno che io sappia. Sono l’unica con cui ha amicizia …»

«Se è così, può recarsi all’ospedale, è in rianimazione. Anzi, vada pure al Torrette, troverà alcuni miei colleghi che le faranno qualche domanda sulla vittima.»

Ecco, questa cosa non le garbava affatto.

Certi aspetti della sua vita dovevano restare nascosti mentre invece stavolta avrebbe dovuto esporli in modo circostanziato e credibile.

Ma, ormai, aveva fornito le sue generalità e la polizia conosceva il suo numero di cellulare, non aveva via di uscita.

Più tardi, aveva deciso di usare la sua vecchia Fiat Panda per recarsi più velocemente all’ospedale. Però, quel mezzo catorcio che stava parcheggiato sotto casa da diverso tempo, era tutto impolverato e sicuramente aveva poca benzina nel serbatoio. E come se non bastasse, non ne aveva pagato l’ assicurazione e la tassa di circolazione.

Che rischio corro se mi beccano! E poi vado proprio dritta in bocca alla polizia. Sono proprio un’incosciente, andava pensando mentre guidava con la massima prudenza osservando bene che in giro non ci fossero blocchi di controllo stradale.

Non dirò niente del perché mi trovavo lì a quell’ora a meno che non mi costringano. Accidenti a tutto, ma… come starà adesso Luana…

Fortunatamente, l’interesse degli agenti si era rivolto solo all’identikit dell’uomo con cui Luana era uscita dal bar e non le avevano chiesto nulla sul perché della sua presenza al Luna Blù.

Volle credere che loro la considerassero una informazione non significativa per le indagini mentre, in verità, agli agenti la questione appariva più che chiara ed evidente.

Aveva infine tirato un gran respiro di sollievo quando le avevano detto che poteva andarsene, cosa che avrebbe fatto subito e ben volentieri ma non prima di aver tentato di vedere Luana o averne notizie.

Come temeva, un infermiere a cui si era rivolta per sapere se ciò fosse possibile le aveva risposto che  non lo era, perché la paziente era in rianimazione e non era permesso accedere a quel reparto.

Ma Carla era una tipa ostinata, l’aveva sempre sorretta una ferma volontà nel superare gli ostacoli altrimenti le disavventure della sua vita l’avrebbero travolta già da un pezzo.

Si era recata fino alla porta chiusa del reparto, dove da uno stretto vetro che vi era inserito si poteva sbirciare nel corridoio interno.

In una stanza aperta giù in fondo aveva visto un letto occupato da una persona collegata a qualcosa che intuiva essere un groviglio di sonde e tubi.

Ne aveva ricevuto un pugno al cuore che le aveva riempito gli occhi di lacrime. Forse non si trattava di Luana, ma quella era la condizione della sua amica in quel momento.

Era restata lì appena un attimo, il tempo di riprendersi da quella emozione. La sua presenza non era opportuna, era stanca e avrebbe fatto bene ad andarsene a casa per concludere quella giornata.

Aveva parcheggiato sotto casa dopo un tragitto senza problemi, consapevole di aver rischiato grosso e, nel prendere le chiavi per entrare, si era voltata ad osservare la sua auto dall’aspetto degno di uno sfasciacarrozze.

Sarà meglio che la venda, pensò tristemente, Non posso permettermela e magari ci posso ricavare un migliaio di euro in modo che per un po’ potrò evitare di andare al Luna Blù.

Stava per varcare il portone condominiale, quando alle sue spalle aveva sentito una forte esclamazione di una voce femminile.

«Accidenti! Che guaio…»

Era la signora Artegni del terzo piano, un’arzilla signora di circa ottanta anni, vedova d’un funzionario postale.

Guardava per terra, sconsolata, i numerosi oggetti che erano rotolati fuori dalla sua sporta della spesa che s’era sfondata.

Stava facendo molta fatica nel piegarsi per raccoglierli tra il via vai dei passanti, così Carla aveva deciso di aiutarla.

Aveva tirato fuori dalla borsa una sportina che teneva di riserva e, dopo aver raccolto tutto, aveva fatto il gesto di stendergliela ma, nel farlo, si era resa conto che il peso era comunque eccessivo per quella signora.

«Gliela porto io su in casa, anche perché l’ascensore è rotto.»

Come segno di assenso aveva ricevuto un enorme sorriso.

«Ma grazie! Lei è molto gentile, non se ne trovano più di persone gentili e di buon cuore.»

Arrivate di sopra, la signora aveva insistito per farla entrare in modo da offrirle qualcosa.

Si era ritrovata in un salottino che dava su una terrazza vista mare ed in cui il tempo sembrava essersi fermato a trenta anni prima.

Centrini fatti a mano sparsi ovunque, foto, soprammobili e ninnoli vari ricordo di chissà quali eventi testimoniavano una intera vita.

«Abita da sola, signora?»

E lei, versandole il caffè: «Sì, ho un figlio a Stoccolma e mio marito non c’è più ma ho delle amiche e ancora me la cavo con le mie cose.»

«Ma fa tutto lei?»

«Ho una donna che viene una volta a settimana ma sto pensando ad assumere qualcuno che mi assista più costantemente. Ma non è facile trovare una persona fidata.»

«Signora, mi scusi se le potrò sembrare sfacciata, ma io abito qui sotto, sto cercando lavoro… mi adatto a tutto con impegno…»

«Potrebbe essere una soluzione. Magari vediamo come va per un mese.»

«Grazie, grazie! Non la deluderò.»

Poco dopo, concordati orari e compiti, Carla aveva sceso le scale e le sembrava quasi di volare.

Forse s’intravedeva un raggio di sole nel cielo cupo della sua vita!

Doveva essere così, lo voleva con tutte le forze.

No, non voleva rischiare di fare la fine di Luana, doveva trovare una via d’uscita.

Guardò l’armadio, ne aprì il reparto ‘notturno’ quindi prese un paio di sacchi per l’immondizia e li riempì con quei vestiti. Poi si preparò per la notte.

Era maledettamente stanca.

Domani mattina scenderò a buttarli, pensò prima di addormentarsi.

Foto dal web.