(Revisione di un precedente racconto eliminato)
Carla aprì l’anta della parte dell’armadio dove teneva i vestiti per le uscite serali.
Non le piaceva quello che c’era né l’odore che vi sentiva.
Certo, faceva il possibile per la pulizia e l’ordine ma provava comunque un certo disagio nel toccare quei capi e preferiva toglierseli velocemente, schiaffarli lì dentro per poi chiudere subito lo sportello, quasi a negare la loro esistenza.
L’ultima volta su quella gonna nera con lo spacco s’era strusciato un uomo panciuto con la barba.
Le era sembrato solo un po’ brillo e lo stava portando alla camera 24 della pensione Le Vele, quell’edificio cadente, stile Liberty a due passi dal porto.
Ne risentiva il tanfo mentre lui già per le scale voleva infilarle addosso le mani.
L’aveva spinta col suo ventre gonfio all’angolo di un pianerottolo.
«Eh, bella, non compero se non controllo. Fammi sentire la merce.» aveva biascicato col suo alito fetido.
Si era divincolata, intuendo una situazione fuori controllo.
«Fermati. Se non ti calmi non ti faccio entrare», gli aveva intimato sperando che ragionasse.
Ma lui no, era ciucco di brutto e con quella idea fissa.
«A me piace controllare prima quello che compro» insisteva con voce impastata, « Lo sai quante vecchie baldracche tutte stuccate vanno in giro?»
Alla fine, ce l’aveva fatta a toglierselo di dosso e poi, dopo aver salito di corsa l’ultima rampa, era riuscita ad entrare in camera e a chiudere veloce la porta alle sue spalle.
Quella specie d’orso eccitato era restato un po’ sul pianerottolo ad urlare le sue pretese, infine lo aveva sentito mentre se ne andava biascicando bestemmie e insulti al suo indirizzo.
Con le spalle appoggiate alla porta, era restata un attimo a respirare profondamente. Chissà cosa le avrebbe combinato quel tipo.
No, quella gonna non la voleva più rivedere. Via, in lavanderia o forse meglio ancora nel cassonetto.
Era da un po’ che Carla arrotondava in quel modo le entrate e si era abituata a molto ma non ancora a tutto. Aveva conservato una certa innocenza nel considerare quell’aspetto della sua vita, accettandolo solo perché costretta e come una fase temporanea.
Certe cose no, ad esempio. Se l’era prefisso, in una sorta di bon ton della marchetta.
Ma al ‘Luna Blu’, piccolo bar, pizzeria e paninoteca vicino al porto girava di tutto e chi ci andava amava raschiare il fondo, anche se indossava un vestito elegante. Quindi aveva ben poco da fare la schizzinosa e poi, lì dove gli avventori erano prevalentemente stranieri, era più certa di non incontrare gente che la conoscesse.
Si sentiva diversa dalla sua amica Luana che invece sembrava sempre serenamente pronta ad essere usata purché la pagassero.
Lei no, aveva due reparti nell’armadio: quello per le uscite serali e quello per il lavoro ‘ normale’. Perché quello, se lo ripeteva, era un momentaneo passaggio, non la sua vita.
Guardò dentro e decise di indossare il tailleur bianco con spacco laterale che diventava molto audace se lasciava salire la gonna da seduta. Un top reggiseno di pizzo dorato sotto la giacca le fasciava il seno tonico e florido dei suoi ventitrè anni. Insomma, mostrava in trasparenza quel che bastava a far capire senza strafare.
Doveva uscire per qualche sera, per forza. C’era infatti da pagare a breve l’affitto di casa e al supermercato non l’avevano più chiamata per qualche sostituzione.
Quella mattina aveva provato, aveva fatto un giro di telefonate per altre posizioni lavorative ma senza successo.
Marcò un il trucco, gonfiò i capelli cotonandoli.
Due o tre clienti ad ogni uscita per una settimana e sto a posto, pensò.
Si specchiò.
No, non ce l’aveva scritto in faccia.
La cercavano anche per quello, perché dava l’illusorio gusto della conquista.
Ma questo dipendeva dal tipo di locale. Al ‘Luna Blu’ gli avventori erano sbrigativi, andavano al sodo. Si lavorava sulla quantità, prezzi contenuti ma alla fine gli incassi erano consistenti.
Entrò e una nuvola d’aria calda e puzzolente di hamburgher e fritto l’avvolse.
Si sedette al bancone del bar sull’alto sgabello vicino a due tipi probabilmente sbarcati da poco a terra che, come la videro, si azzittirono e le piantarono gli occhi addosso.
Percepiva la loro voglia di femmina, sentiva la loro fame.
«Come va la serata, Rik?» chiese al barman indaffarato.
« Così così» fu la risposta, data senza neppure guardarla in faccia.
E poi: «Solito caffè lungo, vero?»
Carla si girò verso i piccoli tavolini alla sua destra e, come si aspettava, Luana era seduta lì.
Un cenno del capo e Luana ricambiò con la sigaretta in bocca.
Certo che non lasciava spazio a fraintendimenti con quei pantaloncini ‘tecnici’ di pizzo nero e la camicetta trasparente sbottonata fino allo stomaco.
Era l’unica amica che avesse da quando si era trasferita ad Ancona, ma Luana aveva un solo reparto nell’ armadio e già da tempo non provava neanche più a uscire da quella vita.
E, forse, non le dispiaceva in fondo più di tanto.
Un tipo ossuto e calvo si avvicinò a Luana.
Giusto due parole e la vide uscire insieme a lui.
Sulla porta, Luana si voltò, le lanciò uno sguardo e fece cenno con la mano come per dire: ho da parlarti, dopo te lo dirò. Era seria, non del solito umore.
Intanto i due tipi al banco erano attratti dallo spacco che lei aveva lasciato salire a scoprire la coscia.
Bevve un sorso ancora di caffè poi si decise a sbloccare la situazione. D’altra parte era lì per quello.
Si girò sullo sgabello verso di loro appena sorridendo, sbottonò la giacca lasciando che la luce del bar di taglio mettesse in risalto il seno.
Sentì i loro occhi scorrerle addosso, poi uno dei due, un tipo rosso pieno di lentiggini, poggiandole una mano sulla coscia nuda, le chiese il prezzo senza tergiversare.
Poco più di mezzora dopo era già a darsi una riordinata nella camera 24 della pensione. Non c’erano stati imprevisti o richieste particolari, erano solo due giovani da troppo tempo in mare.
Si cotonò di nuovo i capelli e si rimise in ordine perché ci teneva a non sembrare uno strappo di scottex usato.
Magari trovo un altro paio di clienti così e poi me ne torno a casa, pensò.
Nell’uscire passò davanti alla stanza 18 che di solito prendeva Luana.
Chissà che cosa aveva da dirle…
Bussò ma non ci fu risposta.
«Luana, ehi, Lù!» insistette per un po’, poi pensò che fosse già tornata al bar.
Il locale era gremito, segno che qualche altra nave aveva attraccato. Avrebbe di certo trovato qualcuno con cui chiudere la serata.
Si diresse verso i tavolini a destra dove di solito sedeva Luana ma c’erano alcuni avventori intenti a chiacchierare.
Strano. A quest’ora avrebbe dovuto essere qui. Che lavoro le avrà chiesto quel tipo?
«Rik, hai visto Luana? Non è tornata?» chiese al barista .
«Non ci ho fatto caso, ho da fare. Però è un po’ che non la vedo.»
Trovò una panca in un angolo e vi si sedette a controllare il suo cellulare.
Provò a chiamarla, inutilmente.
Ma dov’era finita?
Voleva parlarle, ma di solito la loro conversazione si manteneva su di un piano di serena superficialità. Preferivano scherzare piuttosto che andare a pescare nel mare di problemi in cui si aggirava la loro vita.
C’era sempre un ‘Gratta e Vinci’ milionario che le aspettava dietro l’angolo, diceva Luana.
Beata lei che sembrava sempre prendere tutto con leggerezza!
Sempre, tranne che qualche giorno prima.
Ricordava che aveva l’aria pensierosa e stava guardando fuori dalla finestra vicino al tavolino.
Aspirava, quasi divorava l’ennesima sigaretta e tamburellava con una mano.
«Che ti passa, Lu?».
E lei senza distogliere lo sguardo da fuori: «Quando ti pare che ce l’hai fatta a liberartene…niente».
«Ma chi…».
«Il solito stronzo che m’ha fottuto la vita».
Lei non aveva insistito a chiedere, l’aveva sentita aggiungere tra i denti.
«Ah, ma non cedo stavolta».
Poi, con un sospiro s’era alzata di scatto e s’era diretta verso un tipo entrato da poco.
«Al lavoro!» aveva esclamato.
Già, al lavoro, pensò e si diresse anche lei al bancone.
C’erano altri uomini da poco sbarcati, sembravano greci.
Fu facile, le bastò come al solito aprire lo spacco e la giacca.
Erano ormai le due di notte quando uscì dalla camera 24 per tornarsene a casa.
Passando davanti alla 18 bussò inutilmente.
Era davvero strano quel silenzio perché loro due si incrociavano spesso.
Giunta a casa, si spogliò appena entrata e gettò lontano i vestiti.
Era stanca, aveva solo bisogno di una lunga doccia.
Poi, si mise a dormire ma aveva un vago senso di ansia e nausea che stavolta la doccia non era riuscita ad eliminare.
Ma quando arrivava il sonno?
E Luana dov’era finita?
Accidenti a lei! Spero che non le sia successo nulla, pensò. Quella sciagurata è poco accorta. Non si tira mai in dietro, non s’è lasciata manco la speranza di uscire fuori da questa vita, non ci prova neppure.
Io invece sono prudente e poi… poi è solo per un po’ di tempo. Ho due armadi, io. Ho un’alternativa.
Di solito, quell’idea la confortava prima di addormentarsi.
Anche se, in realtà, uno dei due suoi armadi giorno per giorno era sempre più vuoto e l’altro si riempiva di lustrini ed abiti hot. Anche lei, lentamente, ci stava scivolando dentro a quella vita.
Foto presa nel web