«Appena imboccato il sentiero che si inoltrava in una fitta boscaglia, Pollicino iniziò a lasciar cadere dietro di sé i sassolini che aveva nelle tasche. “In questo modo traccerò il percorso pensava e per tornare a casa, non dovremo far aaaaaltroooo che seguiiiiiire i saaaaas”»..
«Gertude, ehi Gertrude!».
Lizzie cercò di svegliare l’anziana tata che si era addormentata nel bel mezzo della fiaba, ma per quanto tirasse e scuotesse non ci fu verso di ridestarla. L’unica cosa che ottenne con i suoi sforzi fu di far cadere sul tappeto il libro, che rimase aperta sull’immagine di Pollicino che tirava fuori dalla tasca una manciata di sassolini bianchi.
Chissà che fatica avrà fatto Pollicino a trovare tutti quei sassi bianchi! si disse la bambina. Lei ai giardini ne raccoglieva di tutti i colori, ma bianchi quasi mai.
Girò la pagina, ma questa era fitta di scrittura. Il problema era che Lizzie aveva solo cinque anni e non aveva ancora imparato a leggere, così, visto che Gertrude non voleva saperne di svegliarsi l’unica soluzione era quella di fare come tutte le altre volte che i genitori le lasciavano sole: guardare la televisione.
Indispettita ma rassegnata, la bambina si alzò, andò al divano e premette uno dei pulsanti del telecomando. Lizzie era piccola, ma non era sciocca: aveva visto come facevano mamma e papà e aveva imparato come accendere la TV, solo che non riusciva a capire la maggior parte delle storie: se un uomo veniva ucciso, come mai se rivedeva il film era di nuovo vivo? Quando era morta la nonna non era ritornata a vivere, e quando aveva chiesto al papà come mai la mamma della mamma non fosse di nuovo con loro lui aveva abbassato il giornale che stava leggendo e si era lasciato scappare una frase, “Ci mancherebbe ancora!” che lei non aveva capito, ma che aveva fatto arrabbiare molto la mamma.
La trasmissione che stavano dando però era bella: faceva vedere tanti animali, e alberi, e uomini strani e…
Il rumore della porta di casa che si apriva non distrasse Lizzie dalla televisione, ma fece sobbalzare la governante.
«Buonasera signor Dave!».
«Buonasera Gertrude, tutto bene? Dov’è la bambina?».
Gertrude si guardò attorno smarrita, poi vedendo Lizzie sul divano fece un largo sorriso.
«Sta guardando un po’ di televisione, signore, era stanca delle favole».
Dave vide il libro per terra, l’espressione della tata e Lizzie totalmente immersa nella TV, e capì subito cosa era successo.
«Va bene, Gertrude, può andare».
«Ma non devo aspettare la signora?».
«Mia moglie rientra più tardi. Ordineremo delle pizze».
Alla parola “pizza” Lizzie drizzò le orecchie.
«La mia la voglio con la panna e il salmone!» trillò.
La governante era appena andata via che arrivò anche la moglie.
«Ciao Dave, dov’è Gertrude?».
«L’ho lasciata andare via un po’ prima» rispose il marito «poverina, cascava dal sonno».
«Hai fatto bene».
«Abbiamo ordinato delle pizze per stasera, Kate».
«Le ho ordinate io!» intervenne Lizzie, tutta felice.
I cartoni delle pizze erano ammucchiati su un lato del tavolo e Lizzie stava ancora asciugandosi i lati della bocca, sporchi di panna.
«Manca poco al 25» disse Kate «hai già pensato a cosa chiedere a Babbo Natale, Lizzie?».
La bambina si raddrizzò sulla sedia.
«Voglio un albero!».
I due genitori si guardarono.
«Un albero di Natale? Ma ce l’abbiamo già».
«Ma io non voglio un albero di Natale! Voglio un albero vero».
«Un albero vero? E dove lo mettiamo?».
Lizzie sembrò riflettere un poco.
«Lo mettiamo in giardino».
«Il giardino è troppo piccolo per un altro albero, morirebbe, poverino. Come ti è venuto in mente di volere un albero?»
«L’ho visto alla TV: c’erano alberi grandissimi vicini alle case».
«In una città?».
«No, forse in una città no» ammise la bambina «erano case piccole, sembravano capanne».
«Doveva essere un documentario sull’Amazzonia o sull’Africa» disse il padre.
«Gli alberi grandi vivono nelle foreste, Lizzie. Qui in città ce ne sono pochi e stanno nei parchi».
«Come le scimmie allo zoo?».
«Più o meno» concesse Kate «che ne dici di qualche bella bambola? C’è una nuova casa di Barbie che…».
La complessa trattativa andò avanti per tutta la durata del gelato e buona parte del cartone animato della sera, e Lizzie naturalmente ne uscì vincitrice, avendo ottenuto una Barbie e un Ken, oltre alla villa con piscina che era la vera novità di quel Natale.
Quando alla fine riuscirono a metterla a letto erano già passate le dieci, l’ora giusta per guardare ancora un po’ di TV davanti ad un buon drink.
«Ma tu dici che è stato quel documentario a mettere in testa a Lizzie l’idea dell’albero?» chiese Kate.
Dave alzò le spalle.
«E cosa, sennò? Sai come sono impressionabili i bambini».
«Certo che Gertrude non la controlla granché…».
«Povera donna! E poi almeno è fidata: prendi una ragazzina e finisce che si porta in casa l’amico».
«Già, teniamocela cara».
Lizzie, in realtà, non si era addormentata subito come credevano i genitori, ma aveva fatto finta: non appena ebbe sentito che si erano allontanati si alzò sul lettino, giunse le mani e fece la sua preghierina a Babbo Natale:non aveva dimenticato l’albero.
La notte di Natale giunse in un battibaleno, come succedeva sempre ai genitori che erano in ritardo per i regali e mai ai bambini che li aspettavano ansiosi. Sotto la minaccia che Babbo Natale non sarebbe venuto anche i più recalcitranti andarono a dormire prima di mezzanotte – o finsero di farlo – e il silenzio scese sulla città.
Era notte fonda quando un intenso rumore di campanellini svegliò Lizzie. Una luce soffusa aleggiava nella stanza, come se tante piccole stelle brillassero tutte insieme. Più incuriosita che spaventata, la bambina si tirò su e vide che un’ombra si stagliava nel buio della stanza.
«Shhh, vai via!» disse «altrimenti stanotte Babbo Natale non arriva!».
La figura fece un passo avanti, venendo alla luce.
«Ma se Babbo Natale sono io!» rise rumorosamente.
«Fai piano! I miei genitori ti sentiranno!».
«Stai tranquilla» la rassicurò il vecchio «solo tu puoi sentirmi!».
Sì, lo so che l’immagine di un vecchio con la barba bianca nella cameretta di una bambina la notte può essere inquietante, ma non dimentichiamoci il giorno che era: a Natale i miracoli esistono!
Lizzie si alzò del tutto.
«Sei venuto a portarmi l’albero!» esclamò, tutta felice.
«Be’, no, i tuoi genitori hanno ragione: non si possono portare gli alberi nelle città».
«Ah!» fece, delusa.
«Ma posso portare te dove sono gli alberi, e regalartene uno tutto tuo».
E così dicendo sparse una polverina magica sopra Lizzie e in un istante la bambina si trovò a volare del cielo più veloce del… be’, più veloce del suo amico Will in bicicletta, ma molto più veloce.
In pochi istanti la notte divenne giorno, e si trovarono sopra una immensa foresta, più grande del parco cittadino. Quando furono proprio al centro scesero dolcemente verso terra, e si trovarono in mezzo ad uno spiazzo dove l’erba era verdissima.
Babbo Natale la prese per mano e la portò vicino ad un albero grandissimo, la cui chioma svettava alta nel cielo.
«Ti piace questo?» chiese.
Lizzie guardò in su, ma non ne vide la cima. Provò a misurarne la grandezza, ma il tronco era molto più largo di dieci volte le sue braccia. Però tutto sembrava a posto, neanche una foglia gialla, così annuì.
«Sì, mi piace proprio» disse seria.
«Allora dichiaro che questo è l’albero di Lizzie e lo sarà per sempre. Ogni volta che vorrai venire a vederlo ti basterà pensarlo e ti troverai qui, proprio come ora».
«Che bello! Posso scriverci il mio nome?».
Babbo Natale scosse la testa.
«Non vorrai fare del male al tuo albero!».
«Certo che no!» rispose Lizzie, offesa.
«Allora abbraccialo, così lui saprà di essere tuo e l’avrai per sempre nel cuore».
La bambina non se lo fece ripetere, si avvicinò all’immenso tronco e lo abbracciò forte. La corteccia sembrò vibrare sotto la pressione delle sue piccole mani e un piacevole calore si diffuse lungo tutto il corpo. Come per miracolo dal folto della foresta sbucarono piccoli uomini vestiti stranamente e scimmie, e uccelli dai colori sgargianti, e tutti sembrarono sorriderle.
Lizzie restò a lungo abbracciata al suo albero, finché non sentì che la stanchezza stava per sopraffarla. Babbo Natale lo capì e come la vide dondolare la riportò con delicatezza nella sua cameretta e la fece adagiare nel lettino, rimboccando per bene le coperte.
La mattina dopo era Natale, e anche Lizzie andò ad aprire i suoi regali, lanciando gridolini man mano che estraeva le bambole dai pacchi.
I genitori la guardavano sorridenti, contenti di vederla così felice.
«Ci dispiace per l’albero» disse Dave in tono di scusa «magari uno di questi anni Babbo Natale troverà il modo di portartene uno».
«Ma me l’ha già portato!» esclamò Lizzie battendosi il petto «ce l’ho proprio qui nel mio cuore!».
Kate e Dave si strinsero forte le mani senza farsi vedere: «Eh, la fantasia dei bambini!»