CARLOS

Una busta ben sigillata giunse alla stazione di Polizia, l’Agente che smistava la posta si allarmò, n c’era nessun mittente sul retro, solo una parola: “URGENTE”. Il Commissario ordinò di aprirla con le dovute cautele. All’interno solo un sacchetto contenente un paio di guanti sporchi di sangue e un biglietto anonimo scritto a macchina:

“L’ASSASSINO DI JERRY COSTA E’ CARLOS PERRO. ECCO LA PROVA”

Nient’altro. La Polizia non dà credito solitamente alle lettere anonime ma in quel caso le indagini non avevano portato a nulla, quindi il Commissario decise che era meglio far esaminare i guanti alla scientifica.
Carlos vide i poliziotti venire verso di lui ad arrestarlo per l’omicidio di Jerry Costa, li guardò con espressione beffarda e, alla frase di rito:
“Quello che dirà potrà essere usato contro di lei”
scoppiò in una fragorosa risata:
«Avete preso un abbaglio! Ve ne pentirete, sarò fuori già domani!»
Diede ordine ai suoi scagnozzi di avvertire il suo avvocato e seguì gli Agenti. Era furioso, come avevano fatto ad arrivare a lui? Non c’era nessuno quella sera nel vicolo, ne era sicuro. Qualcuno lo aveva tradito? Quando trovarono il corpo di Jerry, alcuni componenti della banda avevano sperato di prenderne il posto, ma la maggioranza votò per lui, così dovettero ingoiare il rospo e stare ai suoi ordini.

Lupo seguì la scena dell’arresto, ben nascosto dietro un muro, per il momento era soddisfatto, la prova che aveva fatto pervenire alla Polizia era schiacciante, l’assassino non poteva cavarsela…

STEPHEN

Viziato figlio di papà, studente ormai fuori corso, amava circondarsi di persone di livello molto più basso del suo, non perché fosse un tipo alla mano, semplicemente gli piaceva sentirsi superiore a tutti, quasi onnipotente, gli piaceva che ognuno di loro avesse sempre qualche favore da chiedergli. Non rifiutava loro mai nulla, gli erano necessari per nascondere le sue malefatte al momento giusto. In caso di “necessità” avrebbero testimoniato qualsiasi cosa per salvarlo. D’altronde la vita di Stephen era noiosa, non sapeva cosa fosse il lavoro, passava le giornate a poltrire nel letto fino a tarda mattinata, dopo aver cacciato in malo modo la donna di turno che gli aveva dormito accanto per quella notte. Il più delle volte non sapeva neppure il loro nome, tanto era ubriaco la sera prima. La sua famiglia lo ignorava, anzi lo detestava, era un buono a nulla, capace solo di combinare guai e spendere soldi in grande quantità. Spesso per “divertirsi”, dopo essersi fatto di coca, entrava in un locale gay, ne sceglieva uno a caso e lo fissava con intenzione per alcuni minuti, sorridendogli come lui sapeva fare. Poi usciva dal locale e si fermava poco più in là. Immancabilmente il prescelto lo seguiva, pregustando il piacere che avrebbe provato con quel ragazzo affascinante. Stephen lo prendeva per mano e lo portava dietro l’angolo del caseggiato, malamente illuminato. Il sorriso ammiccante si spegneva immediatamente, una gragnuola di pugni e calci sommergeva il malcapitato, totalmente impreparato a un simile trattamento, quindi se ne andava sghignazzando, lasciandolo a terra pesto e sanguinante.
Falco aveva sentito parlare di lui nel locale dove lavorava come buttafuori, una sera lo aveva anche visto, era entrato a bere, era già alticcio, un collega di Falco glielo indicò:
«Ecco è lui, un vero bastardo! Speriamo che non faccia casino qui da no»i.
Invece andò tutto bene, Stephen bevve due o tre bicchierini tutti d’un fiato e barcollando uscì.
Falco decise di pedinarlo. Chiese di uscire in anticipo e lo seguì. Il ragazzo fermò la macchina davanti al locale gay ed entrò. Falco si appostò dietro un muro ad angolo e aspettò. Dopo una mezz’ora vide uscire Stephen da solo, si stava avviando verso il vicolo buio dietro il locale. Pochi secondi dopo un giovane in pantaloni di pelle nera aderentissimi, il torso nudo, sul viso un sorriso malizioso, lo seguì ancheggiando. Falco sentì un grido strozzato, corse nel vicolo, giusto in tempo per vedere Stephen che picchiava selvaggiamente il malcapitato con pugni e ginocchiate nel bassoventre. Subito si precipitò a separarli, Stephen, vedendo quell’uomo così grande e grosso, ebbe paura, fuggì come una lepre verso la sua auto e partì a razzo. Falco decise di seguirlo, voleva saperne di più di quel mascalzone. Lo seguì in macchina a luci spente, non ci volle molto, il ragazzo si fermò davanti ad una villa stupenda, aprì il cancello col telecomando e sparì nel viale d’accesso. – Un maledetto figlio di papà – pensò Falco disgustato. Restò un momento a guardare il cancello chiuso, gli occhi si posarono sul nome del proprietario scritto sull’elegante targa dorata:

“VILLA FRANK SELLER”

Falco fissava quel nome come inebetito, quindi Stephen era il figlio di quel Franz che aveva tradito David e Samuel anni prima. Doveva farlo sapere ai Capi, immediatamente. Scrisse “FESTA” su un biglietto, lo piegò e partì immediatamente verso la casa dei due fratelli. Imbucò il messaggio e tornò a casa…

 

CARLOS

Come previsto, Carlos Perro uscì su cauzione dopo qualche giorno. Tornato fra i suoi uomini, cominciò ad interrogarli uno ad uno, voleva scoprire chi lo avesse tradito. Ovviamente nessuno di loro sapeva nulla, quindi Carlos passò alle maniere forti, soprattutto con chi sapeva gli fosse ostile. Non risparmiò loro pestaggi e torture, finchè uno di loro per non subire altri tormenti confessò, dietro promessa di aver salva la vita.
«Sono stato io Carlos, perdonami, lasciami andare, me l’hai promesso».
«Certo che ti lascio andare» – disse Carlos con uno sguardo feroce. Fece un cenno ai due picchiatori, i quali presero il “traditore” per braccia e gambe e lo scaraventarono dalla finestra, incuranti delle sue urla di terrore.
«Che vi sia di lezione – sibilò rivolto a tutta la banda – nessuno tradisce Carlos Perro, ricordatevelo! Ora vado a riposare, non disturbatemi per nessun motivo». Appena entrato nella sua grande stanza da letto si guardò intorno, aveva l’impressione che qualcosa fosse fuori posto. Si accorse che la finestra era socchiusa, maledisse in cuor suo la disattenzione dei suoi uomini poi, mentre si dirigeva verso il letto a baldacchino, vide qualcosa pendere dall’alto, una corda che terminava con un nodo scorsoio. – Ma che diav… – Non riuscì a finire il pensiero, due mani possenti lo afferrarono e gli infilarono la testa nel cappio e lo sollevarono da terra tirando la corda con forza. Carlos si dibattè pochi minuti e morì.
«Giustizia è fatta» – disse Lupo a bassa voce. Uscì dalla finestra, attraversò il giardino e scavalcò il muro di cinta. Nessuno si accorse di lui.

 

SAMUEL E DAVID

David trovò il biglietto di Falco nella cassetta delle lettere, lo fece vedere immediatamente al fratello e, subito mandarono un messaggio a tutti e tre i buttafuori, dando loro appuntamento a mezzanotte al solito posto. Si presentarono puntuali nello spoglio stanzone semibuio, entrando uno per volta a distanza di una manciata di secondi uno dall’altro.
«Allora – disse David – cosa c’è di tanto urgente?»
Falco lasciò che prima parlasse Lupo:
«Missione compiuta Capo, Carlos Perro non ucciderà più nessuno. Credeva che un suo uomo l’avesse denunciato, ed ha estorto la confessione con la tortura ad uno dei suoi, poi lo ha ucciso».
«Ben fatto Lupo, non è stato un bene farlo uscire su cauzione. C’è altro?»
«Sì Capo – intervenne Falco – una cosa che ritengo molto importante. Ho scoperto il luogo dove vive Frank Seller, quel Franz che vi tradì anni fa».
I due fratelli si fecero attentissimi:
«Davvero? Come hai fatto, parla!»
«Stavo sorvegliando un giovane bullo che maltrattava i gay e non solo loro, un essere spregevole. Ieri l’ho bloccato appena in tempo mentre massacrava di botte il malcapitato di turno, lui è fuggito in macchina e io l’ho seguito fino a casa: Villa Frank Seller! Ho ritenuto importante avvisarvi subito».
Samuel e David rimasero immobili con gli occhi chiusi per qualche istante, poi Samuel guardò Falco con riconoscenza:
«Grazie, hai fatto benissimo, una notizia davvero preziosa, ti ringrazio Falco. Ora lasciateci il tempo di organizzare un piano per fargli pagare le sue colpe. Voglio che muoia lentamente e con sofferenza. Avremo bisogno di voi ragazzi quando sarà il momento».
«Contate su di noi Capo» – disse subito Falco – Lupo e Condor assentirono a loro volta.
«Per stanotte abbiamo finito, vi faremo sapere. Potete andare e grazie ancora».
I due fratelli tornarono a casa senza dire una parola, ognuno di loro rivedeva i terribili episodi che avevano distrutto la loro famiglia, risentivano le parole rassicuranti di Franz “non ti preoccupare, penserò io ai ragazzi” “un finto funerale, ne abbiamo salvati tanti così”. Rivedevano il corpo della loro mamma riverso sulla strada, uccisa senza nessuna colpa, tutto a causa del tradimento di quell’essere spregevole! Parlò per primo Samuel:
«Deve pagare! Hai in mente qualcosa?»
«Forse sì – rispose David – Sappiamo dove abita e chi è suo figlio».
«Intendi forse uccidere il ragazzo?»
«No, ma possiamo far prendere un terribile spavento al padre, non credi?»
«Hai ragione non ci avevo pensato, dimmi cosa vuoi fare»… Tre sere dopo Falco, Condor e Lupo ricevettero un messaggio:

“FESTA”…

 

STEPHEN

Quella notte, Stephen Seller uscì barcollando dal locale notturno, aveva bevuto e sniffato coca come al solito. Inspirò l’aria fresca della notte e si avviò verso la sua auto con passo incerto. Mentre apriva la portiera due braccia lo immobilizzarono, un odore acre gli penetrò le narici e un sacco di stoffa grezza gli coprì la testa e il viso. Il giovane perse subito i sensi, Falco e Lupo lo trasportarono fino all’automobile dove Condor li aspettava seduto al posto di guida. Si recarono senza fretta, per non dare nell’occhio fino al luogo dell’appuntamento. Samuel e David erano già ad aspettarli nello stanzone.
«Ottimo lavoro ragazzi. Abbiamo bisogno che uno di voi, a turno, resti qui a sorvegliare il ragazzo».
«Scusi Capo – disse Falco – non avrete intenzione di ucciderlo!»
«No Falco, noi vogliamo suo padre, lui è solo l’esca».
«Bene, allora se siete tutti d’accordo, mi fermerò io adesso, ci daremo il cambio ogni otto ore con Condor e Lupo. Va bene così?»
I due fratelli acconsentirono e tornarono a casa, la spia stava per pagare il conto, ma non avrebbero dovuto sbagliare niente…

 

FRANK SELLER

Si svegliò abbastanza presto quel mattino, da un po’ di tempo soffriva d’insonnia, si svegliava più volte durante la notte. La moglie, invece, dormiva tranquillamente.
Sto diventando vecchio – pensò – mentre allo specchio scrutava con fastidio le borse sotto gli occhi e le rughe che gli solcavano il viso. Andò a controllare la stanza di Stephen, era vuota, il letto ancora intatto. – Non è rientrato, maledizione, quel ragazzo mi farà morire di crepacuore. Lo squillo del cellulare lo fece sobbalzare. Chi può essere a quest’ora – grugnì – maledicendo in cuor suo il seccatore.
«Pronto».
«Abbiamo suo figlio».
«Cosa? Ma chi è…chi parla!?»
Clic.
Seller era come inebetito, camminava avanti e indietro per il grande salone: “abbiamo suo figlio” aveva detto quella voce cavernosa, ma perché ha chiuso la comunicazione? Di nuovo lo squillo del cellulare. Frank si precipitò a rispondere:
«Pronto!»
Invece di una risposta gli arrivò una foto sul display: il suo Stephen legato e imbavagliato, nastro adesivo sulla bocca che, con occhi terrorizzati, fissava l’obiettivo.
«Stephen figliolo, cosa ti hanno fatto! Pronto! Dite qualcosa, cosa volete da noi?»
Finalmente qualcuno parlò:
«Se rivuole suo figlio vivo prepari 500.000$».
«Ma è una cifra enorme…ok, ok, datemi il tempo di raccogliere il denaro».
«Entro domani».
«Domani? Ma come faccio…io non… d’accordo! Ma non fate del male a mio figlio. Dove devo portare i soldi?»
«Chiameremo noi».
Clic.
Frank Seller era terrorizzato. Doveva assolutamente racimolare il denaro, altrimenti avrebbero ucciso il suo unico figlio. Quel ragazzo gli dava tante preoccupazioni in verità, ma lui lo amava così com’era.
Cominciò subito a darsi da fare telefonando alle banche, non fu un problema, nel giro di poche ore ottenne la cifra necessaria. Nel pomeriggio una valigetta piena di contanti era pronta per la consegna. Doveva solo sperare che i sequestratori mantenessero la parola…