È stato giù, là in cantina, che me ne sono ricordata.
È stato quando, cercando tra le derrate alimentari conservate sugli scaffali in metallo, mi è improvvisamente venuto in mano “lui”, quello strano barattolo di latta, ben sigillato, che con un sorriso indecifrabile mi avevi regalato quel giorno, in stazione, subito prima di salire sul treno che ti avrebbe portato lontano dalle mie braccia, per sempre.
Non lo sapevo, allora.
Constatavo soltanto, una volta ancora, la tua originalità, che già avevi avuto modo di dimostrare in altre occasioni, nel donarmi quell’oggetto cilindrico – una lattina! – che presi dalle tue mani con un sorriso incerto ed emozionato. Pur incredula, ti ringraziai con gratitudine assaporando la gioia sottile che provavo nell’immaginare il nostro successivo incontro.
Quello che non fu.
Fui molto sorpresa, allora, delle parole che mi dicesti porgendomi quel barattolo:
“Non aprirlo, non subito. Prometti che lo aprirai soltanto in un giorno per te difficile, quando sentirai il bisogno di un sostegno amico, di una carezza al cuore…”
Non feci molto caso allora a quelle parole, ero solamente concentrata ad osservare il tuo viso, che di lì a poco sarebbe diventato un puntino scuro all’orizzonte fino poi a sparire, per imprimermi nella mente le sue fattezze per me così carezzevoli, particolarmente in quel momento del commiato.
Tornai a casa, parcheggiai con la solita precisa meticolosità l’auto nel garage adiacente al vano cantina, e quindi riposi quel barattolo sull’ultimo scaffale in alto di quella struttura metallica che orgogliosamente avevo assemblato da me qualche mese prima, quando finalmente presi possesso di quell’alloggio dopo infinite estenuanti trattative col proprietario.
La nostalgia, forte e malinconica, mi assalì ogni giorno per molto tempo. Poi, lentamente, cedette il passo ad un pensiero dolce e costante, fino ad occupare stabilmente un angolino remoto ma ben vivo del mio cuore.
Una presenza invisibile, ma perfettamente percepibile dentro me, sempre.
L’ho saputo solo oggi, stamattina.
Non c’erano e non ci sono mai stati contatti con altre persone che avrebbero potuto comunicarmi la notizia, e di come fosse successo, del perché tu ti trovassi là, proprio là, in quel momento.
Quel preciso momento in cui le ruote sferraglianti di quel treno sul quale così spesso eri solito salire, stavolta ti passarono sopra trascinandoti lungo le rotaie per alcune decine di metri prima che lo stridio della frenata, interminabile, sconvolgesse il silenzio di quell’ora notturna facendo ammutolire i pochi viaggiatori testimoni e la vita stessa.
L’ho saputo solo oggi, stamattina.
È così che sono scesa in cantina per cercare qualcosa di cui non conoscevo ancora bene la consistenza né l’esistenza. Qualcosa che però premeva con forza dentro me per placare il dolore sordo che avvertivo fin nelle viscere, nel cuore, nella testa, nell’anima.
Qualcosa che infine trovai.
Quel barattolo di latta, ben sigillato, che da un tempo incalcolabile, a quel punto, giaceva mimetizzato tra decine di altri anonimi “generi alimentari” a lunga conservazione, di quelli che nutrono il corpo, ma non la mente…
Ricordai le tue parole: “… soltanto in un giorno per te difficile…’
Lo aprii, stavolta.
Dopo tanto tempo.
Ed appena riuscii a rimuovere il coperchio inserendo il dito nell’apposito anello metallico e sollevandolo, spuntò fuori con un balzo un… un…
Ma cos’era? Uno scherzo? Un burattino?
Un Arlecchino??
Un Arlecchino!
Un Arlecchino morbido, di stoffa imbottita, con il suo caratteristico sgargiante costume di vari colori ed un sorriso complice ed ammiccante, disarmante persino, nel sorprendermi in tal modo.
E spontaneo, in quel momento, fu anche il mio, di sorriso. Lievemente accennato, sincero.
Di sorpresa, ma anche di gratitudine.
Mi ricomposi subito, consapevole della realtà come del grande dono che mi avevi infine lasciato.
Per sempre.
La Gioia spesso si nasconde nelle cose più semplici, rinchiusa in barattoli di latta ben sigillati che custodiamo nelle profondità delle nostre cantine interiori, e lì altrettanto spesso la dimentichiamo, troppo impegnati a salire e scendere e rincorrere il treno della vita…
Arlecchino, da oggi, non tornerà più in quel barattolo.
(immagine Claude Verlinde – 1927)