LA CONFESSIONE

Non l’avrei mai immaginato, allora.
Anzi, proprio non prendevo in considerazione, neppure lontanamente, l’ipotesi di soccombere alle miriadi di specchietti per le allodole posizionati qua e là tra le parole ed i respiri, in un gioco semiserio che, dopo le divertenti scaramucce iniziali, aveva lentamente e impercettibilmente assunto quell’aura di impalpabile magia dalla quale sarebbe stato interessante lasciarsi anche sedurre, convinta di poter comunque condurre a piacimento le redini del gioco, allentandole o stringendole a seconda dell’umore o della sfida in atto, per infine ritornare, esausta ma soddisfatta, da quel viaggio a briglia sciolta attraverso quei sentieri da entrambi delineati.
Invece no.
Non è andata così.
Così come avrei ipotizzato, se solo mi fossi fermata un momento di più a considerare i rischi cui sarei potuta andare incontro, continuando a giocare e mettendomi, io stessa, in gioco.
Senza maschere di sorta, solo col sorriso ineffabile e lievemente sornione di chi, sopravvalutando allegramente le proprie difese immunitarie dai possibili eventi della vita, ritiene di potersi giostrare in piena e consapevole autonomia la libertà dei propri movimenti e delle proprie azioni, incurante dei sempre possibili ma snobbati effetti collaterali cui spesso, invece, l’eccessiva sicurezza può condurre.
È così che, senza averlo desiderato né cercato, mi sono offerta vittima involontaria alle tue manovre di (in)cosciente adescamento, camuffate sotto mentite spoglie di lusinghiera ammirazione.
È tardi, ormai.
Non si torna indietro.
Il Tempo consuma la fragile volontà di riscatto e di affrancamento dal dolce giogo ammaliatore.
E mi danno nella consapevolezza dell’unica realtà: ho perso la testa.
Ho perso la testa.
Per te.